Francesco Fracassi: Buongiorno Vittorio, benvenuto. Anzi, bentornato.
Vittorio Giordano: Grazie mille, è sempre un piacere.
D: Oggi parliamo di fashion e partiamo, come già eravamo partiti durante la nostra chiacchierata sul tema dei marketplace dalla definizione. Quando parliamo di filiera del fashion, o del tessile, che cosa intendiamo?
R: Il settore del tessile e dell’abbigliamento - che per noi in GS1 comprende anche moda e calzature - è molto articolato e ampio: comprende diverse tipologie di aziende, di prodotti e di processi che hanno esigenze peculiari ma che si trovano ad affrontare sfide comuni. Le distinzioni che si possono fare sono tante: pensiamo per esempio alla tipologia di materie prime utilizzate - fibre naturali, sintetiche, miste, pelle, ecc. - o alla tipologia di mercato a cui è destinato il prodotto - il mondo del lusso, del fast fashion (in italiano, la moda veloce, il comparto che produce molto rapidamente, a prezzi ridotti e che lancia nuove collezioni continuamente, ndr) dell’abbigliamento sportivo e così via.
Anche i canali di commercializzazione sono molteplici: il mondo dei grossisti, il mondo dell'e-commerce e dei marketplace - una realtà ormai affermata - il retail multimarca e i flagship store, cioè i negozi di proprietà dei brand.
Ogni step, ogni mercato e ogni materiale chiama in causa attori diversi. Non solo: non dimentichiamo che spesso queste filiere sono internazionali e molto ramificate.
Quando noi parliamo di filiera includiamo tutto il ciclo produttivo, dal produttore della materia prima fino al consumatore. Si tratta di una filiera estremamente intrecciata, globale, ma che nonostante le sue sfaccettature si trova ad affrontare la medesima sfida della trasparenza: quella che sempre più spesso viene richiesta dal consumatore stesso e quella che impone il contesto normativo. Alla trasparenza si affianca poi il tema dell’efficienza dei processi lungo la supply chain guidato dalle esigenze del contesto economico.
Parliamo insomma di un mondo estremamente interconnesso e globale. Di conseguenza, ci sono molte sfide ma, secondo me, altrettante opportunità: il prestigio e l'eccellenza della filiera italiana hanno un ruolo, in questo settore, che è riconosciuto in tutto il mondo.
D: Quali sono i principali attori coinvolti in questa filiera e che esigenze principali hanno?
R: Quando si parla di moda e abbigliamento, ci viene sicuramente in mente il brand. Il brand è considerato un po’ il capofiliera, il responsabile della supply chain di riferimento, ed è sicuramente l’elemento più noto ai consumatori. Tutti noi ovviamente conosciamo i player del retail, che siano multimarca o monomarca, o abbiamo presente i punti vendita dei brand stessi. In realtà la filiera è estremamente lunga. Per arrivare a un prodotto finito si parte da lontano, sono necessari diversi step di lavorazione che in molti casi richiedono esperienza e artigianalità: si inizia dalla produzione di materie prime per passare alla realizzazione di semilavorati - di pelli conciate, o filati e tessuti - e al mondo dei confezionisti, ovvero di chi appunto confeziona i prodotti. Quindi, al variare dei prodotti - che abbiamo visto essere di vario genere - varia anche la struttura della filiera, che si amplia e si allunga. I fornitori spesso si devono adattare alle richieste e ai modelli del brand, e questo complica le interazioni, aggiunge complessità alla filiera: spesso, oltretutto, più si risale la filiera più si riduce la dimensione - e come conseguenza diretta anche il livello di digitalizzazione - delle aziende.
In questa filiera così intrecciata, poi, un ruolo importante è giocato dai solution provider, che supportano le aziende nelle sfide per la digitalizzazione, la gestione di punti vendita e magazzini e la tracciabilità.
Un altro attore importante per la filiera, seppur esogeno, è il legislatore, specie in Europa, per via delle diverse normative che sono entrate - ed entreranno - in vigore per questo settore. Il concetto di circolarità sta diventando sempre più presente nel mondo del fashion, e grazie alle normative diventerà ancora più centrale, coinvolgendo la gestione rifiuti, lo smaltimento dell’usato, del riutilizzo, il mercato del second hand (abbigliamento di seconda mano, ndr) e così via.
Una filiera insomma che anche a valle continua ad accogliere nuovi attori. In questo contesto anche i consorzi, i distretti e le associazioni di categoria hanno un ruolo chiave: sono di fatto i portavoce istituzionali delle aziende e agiscono come aggregatori di idee e di progetti. Non dimentichiamoci, infine, degli enti certificatori e delle altre organizzazioni e iniziative multi-stakeholder per la sostenibilità presenti nel settore.
Per concludere, possiamo sintetizzare che le esigenze principali di questi numerosi attori riguardano la visibilità e la tracciabilità di filiere e prodotti: non solo per sapere “chi manda cosa”, dunque, ma per arrivare a tracciare che percorso ha fatto il prodotto. Questo impone maggiore efficienza tanto nella gestione dei prodotti quanto nella gestione flussi informativi. Esigenze normative e richieste dei consumatori impongono maggiore efficienza e digitalizzazione: meno incertezze, meno errori, minori costi e maggiore velocità nello scambio di dati.
D: Da quanto tempo GS1 e GS1 Italy in particolare collaborano con questo settore? E qual è il tuo ruolo specifico in GS1 Italy relativamente al settore dell'abbigliamento?
R: Gli standard GS1 trovano applicazione nel settore del tessile da molto tempo. Basti pensare al passaggio dei prodotti in cassa grazie al GS1 GTIN: anche l’abbigliamento, come il largo consumo, funziona in questo modo e si avvale largamente di una codifica standard GS1.
La codifica però ovviamente non esaurisce questo rapporto: penso in particolare al legame con la tecnologia RFID, dove attraverso gli standard GS1 entrano in gioco - tanto per i brand quanto per i retailer - ambiti come la tracciabilità, la cattura dei dati e l'analisi degli eventi (i vari passaggi all'interno di una catena di approvvigionamento, come la ricezione di un ordine, la produzione o la spedizione, ndr). Direi che è proprio sulla tracciabilità si è concentrato il supporto di GS1 Italy alle aziende di questo settore fino a oggi.
Un altro standard molto utilizzato è il GS1 EDI, che consente lo scambio elettronico dei documenti del ciclo order-to-cash (il ciclo dall'ordine al pagamento, ndr): questo è particolarmente importante nella parte finale della filiera, quindi nelle relazioni tra brand e distributore, specialmente quando si interagisce in ambito internazionale con player di nazionalità differenti.
Come GS1 Italy vogliamo promuovere un approccio sistemico nei confronti delle sfide che citavo prima. Ancora una volta emerge quindi la nostra funzione di facilitatori, come ricordava anche Paolo [Paolo Cibien, industry engagement director di GS1 Italy, ndr] nella sua intervista: facilitatori nel mettere allo stesso tavolo gli attori di una filiera articolata, complicata, che spesso fatica a comunicare al proprio interno. Il nostro obiettivo quindi è quello di porci come partner per realizzare soluzioni non proprietarie o locali, bensì di sistema e globali, sfruttando standard già esistenti e in uso da più di due milioni di aziende nel mondo.
D: Con quali figure della filiera ti interfacci maggiormente?
R: Le figure con le quali ci interfacciamo sono molte, poiché gli standard GS1 abbracciano diverse funzioni all'interno di un'azienda. Parliamo quindi con tutto il mondo della supply chain, per esempio, ma anche con l'IT e con chi si occupa della gestione dei dati. Ultimamente, poi, specie nel settore del tessile, ci troviamo a relazionarci sempre di più con i responsabili delle funzioni di sostenibilità delle aziende: questo perché gli standard GS1 sono un asset fondamentale negli ambiti della visibilità e della tracciabilità della filiera, e di conseguenza ricadono sempre più spesso all’interno delle iniziative legate alla sostenibilità.
L'altro obiettivo che ci poniamo è anche quello di coinvolgere sempre di più gli attori upstream (a monte della filiera, ndr) che, storicamente, non sono molto vicini al mondo GS1: per avere una filiera tracciata e identificata in modo univoco e globale bisogna coinvolgere gli attori che ne fanno parte nel loro complesso.
D: Facciamo un brevissimo excursus: a chi fai riferimento quando parli di attori “upstream” della filiera?
R: Parlo dei confezionisti, per esempio, o delle filature, ma anche di produttori di materie prime. In GS1 Sweden, per citare un caso concreto di applicazione degli standard, è stata messa in piedi una collaborazione con il brand Filippa K in ambito Digital Product Passport che ha coinvolto tutti gli attori della filiera, dall’allevatore e produttore di lana del Sud Africa fino alle tessiture italiane, alla manifattura nell'Europa orientale e al punto vendita in Svezia. La filiera nel suo complesso svolge ormai un ruolo cruciale e riconosciuto anche per il brand: è importante conoscere e mappare i prodotti e l’origine dei materiali a qualunque livello della catena di approvvigionamento.
Lo standard GS1 da questo punto di vista è molto democratico: è possibile in modo analogo identificare una maglietta o un semilavorato e questo porta gli stessi benefici qualunque sia l’attore coinvolto.
D: Entriamo con più decisione nel tema della normativa. Il settore del tessile è particolarmente sotto i riflettori, soprattutto per quanto riguarda la legislazione dell'Unione europea: quali sono stati gli sviluppi normativi recenti più significativi?
R: L’Unione europea ha dedicato una strategia specifica volta a creare un settore del tessile sostenibile e circolare, visto le oltre 5 milioni di tonnellate di scarti di vestiti che si registrano ogni anno solo nell'Unione europea. Parliamo di circa 12 kg a persona. Un’enormità. Il settore, insomma, ha ampi margini di miglioramento e questo si traduce in uno sforzo normativo che va a regolare e ad armonizzare la legislazione sul territorio europeo.
Questo sforzo normativo si traduce in una serie di direttive che coinvolgeranno il settore coprendo tutti gli aspetti del ciclo di vita del prodotto: dal packaging (Packaging and Packaging Waste Regulation, o PPWR), alla maggiore responsabilità sullo smaltimento dei prodotti tessili (Extended Producer Responsibility, o EPR), dalla rendicontazione di sostenibilità (Corporate Sustainability Reporting Directive, o CSRD) alla deforestazione legata a specifiche materie prime (European Union Deforestation Regulation, o EUDR).
Una menzione speciale va fatta per l'Ecodesign for Sustainable Products Regulation (ESPR), il regolamento che punta a ripensare la progettazione dei prodotti in ottica di economia circolare e che introduce il concetto di Digital Product Passport (DPP). Il DPP è un tema molto caldo per il settore del tessile e abbigliamento, essendo uno dei primi settori in cui, dal 2027, questo strumento diventerà obbligatorio.
L'obiettivo per l'Unione europea è quindi sempre quello di rendere questo settore più sostenibile e più circolare ripensandone alla base il paradigma, trasformando cioè la filiera, che non si occupa più soltanto di sviluppare dei prodotti, ma anche di tracciarli e raccontarli, permettendo al consumatore di fare scelte d'acquisto informate.
In uno scenario normativo così complesso, gli standard GS1 sono essenziali per assicurare l'interoperabilità e semplificare lo scambio di dati lungo l'intera filiera.
D: Entriamo nel merito del Digital Product Passport: di cosa si tratta? Quali sono gli impatti che sta avendo sulla filiera?
R: Il tema del Digital Product Passport - introdotto dal regolamento ESPR del 2024 e previsto come obbligatorio dal 2027 - è estremamente sentito e dibattuto all'interno del settore dell'abbigliamento.
Di fatto, lo scopo principale del DPP è consentire al consumatore di effettuare scelte d’acquisto consapevoli dell’impatto ambientale dei prodotti che sta comprando. La normativa dà già oggi alcune linee guida importanti per definire la struttura del DPP, ma cosa sarà specificamente richiesto - come contenuti e infrastruttura - sarà negli atti delegati che verranno pubblicati tra la fine del 2025 e il 2026. Oggi abbiamo a disposizione delle indicazioni di base che verranno poi perfezionate dal lavoro del CEN/CENELEC, che è l'ente di standardizzazione europeo incaricato di definire gli standard sui quali si poggerà il Digital Product Passport. GS1, peraltro, è parte attiva nei tavoli di lavoro nazionali del CEN/CENELEC che concorrono appunto alla definizione di questi standard
Il DPP, in ogni caso, è uno strumento che spinge le aziende a integrare i dati e a far parlare fra loro gli attori della filiera, che oggi lavorano spesso a compartimenti stagni e con tutti i problemi di comunicazione e interoperabilità a cui abbiamo già accennato. Il coinvolgimento della filiera per raccogliere e diffondere in modo accurato le informazioni richieste e realizzare il Digital Product Passport diventerà fondamentale per i brand, sottolineando ancora la necessità di creare un linguaggio comune per lo scambio dei dati lungo la filiera.
Il DPP, per concludere, non è solo compliance, ma rappresenta un'opportunità di engagement nei confronti dei consumatori, aprendo alla possibilità di aggiungere servizi a valore aggiunto. Per sfruttare queste potenzialità, però, è necessario conoscere, analizzare e tracciare i prodotti e gli attori lungo la filiera.
Il DPP, in ogni caso, verrà richiesto a tutti i prodotti che verranno immessi sul mercato europeo dell’abbigliamento: una sfida non da poco, ma che vuole far emergere alcune criticità della filiera per risolverle, anche mettendo i suoi protagonisti sotto pressione. Il 2027 è dietro l’angolo.
D: In questo quadro si inserisce GS1 con i suoi standard e le sue soluzioni: in che modo questi strumenti soddisfano le necessità del settore, del consumatore e del mercato?
R: Anche se come detto siamo ancora in attesa degli atti delegati, partirei ancora dalla legislazione - e dal Digital Product Passport come elemento conclusivo del lavoro - perché la normativa ESPR ha introdotto alcuni elementi legati al DPP ai quali gli standard GS1 possono già rispondere: parliamo per esempio di concetti come il codice identificativo univoco per gli operatori economici e il codice identificativo unico per i prodotti e i data carrier, che devono essere conformi alla normativa ISO/IEC 15459:2014. In questo ambito GS1 può dare una mano, poiché offre standard compliant alle ISO indicate. Parliamo poi anche del Global Location Number (GS1 GLN), che identifica univocamente e globalmente i luoghi e le aziende - anche a livello di magazzino o dipartimento. Parliamo del GS1 GTIN, a cui abbiamo già accennato, presente come identificativo univoco su tantissimi prodotti del mondo del tessile che passano per le casse. Parliamo infine, spostandoci sui data carrier, del QR code standard GS1 e del GS1 Digital Link, che appunto permettono al consumatore di accedere a molte più informazioni rispetto al codice a barre tradizionale.
Quando si parla di DPP si fa riferimento all'ultimo tassello di un lavoro che però parte da molto più lontano, con l'analisi della propria filiera e la mappatura dei flussi produttivi e informativi. Anche nel mondo della tracciabilità, infatti, gli standard GS1 trovano un'applicazione importante: l'obiettivo è quello di costruire un processo strutturato di tracciabilità che consenta di identificare non solo i prodotti finiti, ma anche i singoli componenti e le materie prime, analizzando il loro percorso all'interno delle filiere. Inoltre, c’è la necessità di far fronte alla mancanza di un linguaggio comune, perché questi obiettivi richiedono scambi di informazioni: l’uso di linguaggi proprietari all’interno di filiere altamente intrecciate e interconnesse è fonte di stress e complicazioni a tutti i livelli. GS1, qui, può giocare un ruolo fondamentale.
Oltre al mondo dei dati esiste quello dei prodotti: gli standard GS1 che identificano gli imballi, gli asset e i trasporti sono una risorsa fondamentale per le aziende, poiché rendono più efficienti i processi operativi mentre tengono traccia di tutto ciò che succede lungo la filiera.
Il ruolo di GS1, insomma, si può tradurre in un concetto molto caro al nostro sistema: trusted data, dati affidabili. Infatti, grazie agli standard GS1 e al ruolo di GS1 come facilitatore all'interno della filiera,lo scambio di informazioni, la tracciabilità e la responsabilità delle filiere vengono abilitati e semplificati. Efficienza e digitalizzazione sono parole da sempre molto utilizzate, ma mai come ora rappresentano un'esigenza per il settore del tessile, sia in termini di compliance normativa sia di operatività.
D: L'ultima domanda riguarda il futuro. Quali sono le prospettive di GS1 Italy nel settore dell’abbigliamento? Quali sviluppi ti aspetti?
R: GS1 Italy ha l’ambizione di diventare un punto di riferimento e una parte attiva nella costruzione di soluzioni sistemiche per aiutare il settore a far fronte alle sfide che sta affrontando. Il ruolo di GS1 è da sempre quello di facilitatore e di abilitatore all'interno delle filiere: questo vale anche per il settore del tessile e abbigliamento. Il bagaglio di esperienza e conoscenza che GS1 può offrire in termini di standard che abilitano un linguaggio comune e facilitano la collaborazione di tutta la filiera è prezioso.
Per quanto riguarda invece le possibili evoluzioni, lavoriamo per affermarci sempre più come partner affidabili. Proprio in queste settimane stiamo iniziando una ricerca per approfondire - attraverso il dialogo con tutti gli attori della filiera - quali sono le esigenze principali del settore da portare nei tavoli di lavoro. Vogliamo insomma aiutare le aziende ad affrontare le inefficienze e le difficoltà concrete che secondo le aziende stesse sono presenti oggi nella filiera.
La digitalizzazione delle relazioni tra le imprese non è solo una questione tecnica: è anche un tema culturale, poiché significa passare da logiche chiuse a un ecosistema aperto in cui i dati viaggiano in modo affidabile, sicuro e standardizzato. Questo passaggio è sicuramente favorito dalla normativa, che richiede espressamente al settore la piena trasparenza nella circolazione delle informazioni. In questo scenario, GS1 e GS1 Italy offrono strumenti concreti per dare struttura e coerenza alle informazioni che accompagnano un prodotto lungo tutto il suo ciclo di vita, dal design allo smaltimento, permettendo così a ogni attore della filiera di parlare un linguaggio condiviso, chiaro e soprattutto interoperabile. A fronte delle diverse normative che si intrecciano, l'univocità dell'identificazione e la standardizzazione delle informazioni abilitate da GS1 sono un aiuto prezioso.
Gli standard GS1, per concludere, non sono semplici codici e regole, sono anche delle infrastrutture digitali che connettono le imprese, tracciano percorsi e abilitano innovazione e compliance. Lo fanno consegnando alle filiere strumenti adatti a garantire loro visibilità. La moda del futuro si costruisce con trasparenza, collaborazione e dati affidabili: gli standard GS1 sono il filo invisibile che cuce insieme ogni attore della filiera, dal campo al guardaroba.
Grazie mille Vittorio, è sempre un piacere conoscere e condividere il tuo punto di vista.
Grazie a voi, e a presto!

