Supply chain e dati: la sfida italiana tra consapevolezza e resistenza tecnologica
Il primo Osservatorio Supply Chain Planning del Politecnico di Milano rivela un interessante paradosso: mentre le imprese italiane riconoscono l'importanza strategica di una supply chain monitorata, mostrano anche una certa fatica nell'adottare soluzioni tecnologiche innovative
Alla sua prima edizione, l’Osservatorio Supply Chain Planning del Politecnico di Milano mette in luce un’apparente dicotomia: da un lato le imprese italiane sono consapevoli dell'importanza di un monitoraggio efficace delle loro supply chain, dall’altro mostrano una forte immaturità nell’adozione di strumenti e tecnologie che potrebbero aiutarle nella gestione e nell'ottimizzazione dei processi.
Nonostante la presenza di strumenti consolidati e nuove tecnologie promettenti, molte aziende continuano a operare con sistemi manuali e solo una piccola parte delle imprese, generalmente quelle di più grandi dimensioni e meglio strutturate dal punto di vista organizzativo, utilizza efficacemente strumenti avanzati.
Siamo di fronte a una sorta di resistenza tecnologica, come la definisce Giovanni Miragliotta, direttore dell’Osservatorio, che può compromettere la competitività delle aziende in un contesto globale sempre più incerto e complesso.
Il nodo dei KPI
Dal canto suo, Nataliia Roskladka, ricercatrice dell'Osservatorio, porta alla luce le evidenze che dimostrano la scarsa cultura del dato che permea le aziende italiane.
Dall’analisi dell’Osservatorio, infatti, l’80% delle imprese dichiara di utilizzare una serie di indicatori di performance per monitorare la propria supply chain, ma l’evidenza dei fatti è che solo il 33% adotta un numero sufficiente di KPI, spesso limitandosi a misurare solo gli aspetti contrattuali come la puntualità o la completezza degli ordini.
Solo l'11% delle aziende ha adottato un sistema avanzato di monitoraggio, capace di tracciare segnali deboli e reagire prontamente alle perturbazioni.
Sono ancora molte, troppe, le aziende, anche di grandi dimensioni, che monitorano solo parzialmente le prestazioni: meno di un terzo delle imprese effettua revisioni periodiche basate sui dati, limitando così le opportunità di un miglioramento continuo della propria supply chain.
In una fase di grande instabilità geopolitica ed economica, appare grave che in tema di gestione del rischio il 70% delle aziende non abbia un processo strutturato e che solo il 15% adotti una strategia per i fornitori critici. Ancora più ridotto è il numero di aziende (3%) che effettuano un'analisi completa e proattiva dei rischi.
Figura 1 - Gestione del rischio nelle aziendeFonte: Politecnico di Milano "Osservatorio Supply Chain Planning" 2024
Per quanto riguarda poi la pianificazione, il 25% delle imprese si basa ancora sull'esperienza dei manager, mentre solo il 17% delle aziende più avanzate utilizza tecnologie come il "demand sensing" (rilevamento della domanda, ndr) per prevedere le richieste di mercato e gestire i picchi di domanda.
La leva tecnologica
Critica anche la situazione dal punto di vista delle tecnologie.
L'evoluzione tecnologica avvenuta in questi anni offre grandi opportunità, ma molte aziende italiane non sembrano in grado di sfruttare appieno le soluzioni digitali disponibili.
Come sottolinea Giovanni Miragliotta, strumenti come MRP (Material Requirements Planning - pianificazione dei fabbisogni di materiali) e DRP (Distribution Requirements Planning - pianificazione delle risorse di distribuzione), utilizzati per la digitalizzazione della supply chain, sono ancora scarsamente adottati. La maggior parte delle imprese opera manualmente, e solo il 39% delle grandi imprese e il 18% delle PMI utilizza sistemi di previsione basati su algoritmi specializzati.
Per questo, il direttore dell’Osservatorio evidenzia l’importanza di chiudere quello che definisce il "ciclo di feedback" tra mondo fisico e digitale, utilizzando tecnologie consolidate come l'Internet of Things (IoT) per tracciare le risorse in tempo reale e ottimizzare i processi, superando nel contempo anche la frammentazione dei sistemi informativi aziendali e la difficoltà nell'integrare i dati, che ancora ostacolano la piena automazione della supply chain.
Lavorare sulla cultura del dato e della collaborazione
Sul tema è intervenuto anche Giuseppe Luscia, ECR project manager di GS1 Italy, sottolineando come ci sia ancora molto lavoro da fare, anche dal punto di vista della collaborazione:
«Serve una cultura di filiera orientata alla collaborazione, che deve essere consapevole dei processi dei partner. Servono standard e processi di comunicazione strutturati, così come serve una nuova cultura del dato. Viviamo in un paese dove solo il 30% degli ordini viene scambiato in formato strutturato, mentre il resto dei dati sulle consegne viene spesso gestito su carta. Abbiamo bisogno di colmare questi gap utilizzando gli strumenti che già ci sono e sono a disposizione di tutti».
A cura di Maria Teresa della Mura