Il B2B, i millennial, l’e-commerce e la lenta marcia verso la digitalizzazione
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Tra marzo e aprile sono uscite due ricerche che ogni anno fotografano il paesaggio del marketing e dell’e-commerce nel settore del business to business: l’Osservatorio Netcomm B2B Digital Commerce dedicato al comparto e l’Osservatorio B2B a cura dell’università Ca’ Foscari e di Marketing Arena. Dall’analisi dei due punti di osservazione è possibile trarre alcune considerazioni su di un settore che comprende la maggioranza delle aziende e gran parte del PIL italiano.
Mentre l’e-commerce B2C sembra continuare a viaggiare sulle montagne russe – improvvise accelerazioni seguite da pause di crescita e decelerazioni – il digital nel B2B italiano è da sempre in lenta marcia, un’andatura che molto spesso non riesce a recuperare la distanza che lo separa da simili realtà europee e internazionali molto più avanzate e dinamiche, magari meno avanzate dal punto di vista della qualità intrinseca del prodotto, ma cresciute proprio grazie alle loro capacità di usare il web e l’e-commerce come leva di sviluppo e internazionalizzazione.
Dai dati di Ca’ Foscari si scopre come circa un 40% di imprese B2B decide di investire in digitale solo l’1% del proprio budget di marketing – nel comparto normalmente già non generoso rispetto al fatturato – preferendo investire in attività di awareness, soprattutto offline (cosa che si traduce in pratica nei classici eventi e fiere). Un dato peraltro che può stupire solo chi non conosce a fondo il settore, afflitto nel suo sviluppo digitale dal conflittuale rapporto tra canali fisici e tradizionali e distributivi e la propria presenza digitale. Anche la mancanza di cultura di marketing (e di persone dedicate) all’interno dei propri staff ha un ruolo in questo sottosviluppo. Prova ne è che la lead generation digitale, che dovrebbe essere l’attività chiave del marketing B2B, viene applicata da poco più del 10% delle aziende, per lo più delegando l’attività ad agenzie esterne. Il costo per lead generato a oggi non viene misurato, sostiene Ca’ Foscari, dal 37% delle aziende. Da ciò non può che scaturire il dato sulle transazioni online: a oggi, sostiene l’Osservatorio B2B del Politecnico, solo il 21% delle transazioni B2B viene gestito tramite online, anche se – bisogna riconoscerlo – il dato è quasi raddoppiato in nove anni.
Prima o poi però, come si dice, i nodi arrivano al pettine. La difficoltà di trovare un ricambio generazionale alle reti di agenti, la “rottura della tregua” da parte della distribuzione e del retail, che da partner si trasformano in competitor sull’online, il lento ma inesorabile declino del piccolo commercio locale (spesso il primo sbocco di molte aziende B2B2C, che cioè producono prodotti per consumatori, ma senza un vero contatto diretto con il fruitore finale) e l’avanzata di piattaforme e marketplace come Amazon e Alibaba e altri portali più specializzati hanno messo in discussione il quieto vivere e il lento ingresso del digitale in questo comparto.
Anche se in molti casi obtorto collo, il B2B non può più vivacchiare in attesa che il futuro sia più chiaro: l’e-commerce B2B è oggi sinonimo di miglioramento del servizio al cliente e di efficienza nei costi commerciali, ancora più che di nuovo sbocco per le vendite. Il nuovo buyer millennial, a cui molte aziende B2B rivolgono le proprie attenzioni, non è più disposto – sostiene Netcomm – a soffrire per un percorso di acquisto non “contemporaneo” e adeguato alla sua vita quotidiana, fatta di selezione e acquisto online, con interfacce e app facili e piacevoli da utilizzare, che solo alla fine intende incontrare “fisicamente” il rappresentante del venditore. Perché, se è vero che, come sostiene Seth Godin, il B2B alla fine è un B2C in cui chi compra non paga in prima persona, tuttavia chi firma il contratto (magari digitalmente) pretende che la transazione sia adeguata alle proprie aspettative di velocità, facilità, chiarezza.
Bisogna anche aggiungere che l’aggregazione che va sotto al nome generico di B2B racchiude come sempre un continuum di imprese molto diverse per dimensioni e ruolo sul mercato. Dalla grande azienda che da sempre, tramite EDI, ha accentrato e “forzato” i propri fornitori a procedure automatizzate di acquisto e di scambio documenti, ai citati B2B2C, in cui un produttore fatica invece a costringere i propri partner a usare sistemi di e-commerce per rifornirsi, partner che ancora spesso preferiscono invece modalità tradizionali come telefono, agenti fisici o che hanno addirittura “superato il carrello”, usando per esempio direttamente Whatsapp. Pensiamo al frammentato mondo delle forniture per bar, ristoranti e piccoli negozi, in cui spesso la catena distributiva comprende, oltre al produttore, anche grossisti e distributori locali, che, dal loro punto di forza in quanto “aggregatori” di diversi marchi, potrebbero avere a loro volta implementato propri sistemi di procurement da un lato e vendita digitale dall’altro. Una micro frammentazione organizzativa di filiera che rischia di diventare il nuovo ostacolo alla digitalizzazione nel settore, in cui i rapporti di forza tra imprese decidono presso chi debba svolgersi la transazione, se negli asset del venditore (e-commerce B2B in senso stretto) o del compratore (procurement B2B, naturalmente i grandi retailer pretendono che ogni transazione avvenga sui propri sistemi di procurement quando non sul tradizionale EDI). Altro dilemma chi si imporrà e con quali rapporti di forza nel vendere al consumatore finale (in alcuni settori i produttori già vendono direttamente sia al consumer che al piccolo retailer).
In questo panorama estremamente complesso è difficile capire come investire, il che spiega parzialmente “la lenta marcia”. Non è la tecnologia che manca (ottimi vendor sono presenti a Netcomm), e nemmeno il costo è davvero un ostacolo per aziende che spesso vanno ben oltre i cento milioni di fatturato. È piuttosto la necessità di formazione ed evoluzione delle reti di acquisto e di vendita, che nei prossimi anni vedranno un drastico ricambio generazionale. Se il B2C con l’e-commerce ha tratto un netto giovamento alla crescita nell’affluire di clienti nativi digitali, il B2B deve ancora capire quale sarà l’equilibrio finale tra fisico e digitale, tra e-commerce e procurement, tra reti digitali chiuse da azienda ad azienda o marketplace o – come è probabile – una coesistenza di tutti questi modelli, in cui la tradizionale dominanza del commerciale rispetto al marketing si traduce ora in un gap organizzativo.
Probabilmente una buona guida per il futuro è – impresa per impresa – ripartire dalla strategia: capire quali potrebbero essere gli obiettivi e i guadagni possibili dalla trasformazione digitale in atto. Comprendere vantaggi e definire KPI in termini – non necessariamente alternativi, anche se la focalizzazione è chiave per non disperdere le risorse limitate – di miglioramento dell’esperienza del proprio cliente (e quindi della fidelizzazione dello stesso), di necessità e opportunità di internazionalizzazione o di miglioramente della penetrazione nazionale. In ogni caso, comprendendo a fondo in quale tipo di mercato ci si trova, se un mercato dominato (per forza contrattuale) dal compratore o dal venditore.
A partire da questi ragionamenti, l’e-commerce B2B può quindi prendere forme molto diverse, perfino opposte. È inutile predisporre un proprio e-commerce se non si ha poi la forza di aggregare in quel touchpoint i propri clienti, per mancanza di loro cultura digitale o per sproporzione di potere contrattuale. È invece probabilmente fondamentale se si vuole approcciare un mercato nuovo o internazionale, in cui l’online ha un ruolo non solo transazionale (miglioramento dell’efficienza) ma anche di scoperta, formazione e interazione con il possibile nuovo prospect. Ma, in questo caso, la forma marketplace, almeno a breve termine, può consentire un time-to-market più rapido e una flessibilità indiscussa. E infine, può prendere la forma di interazioni via messaggistica se ci si relaziona con clienti per cui Whatsapp è la colonna portante della loro attività (immaginate il piccolo commercio). Starà poi al venditore razionalizzare questo flusso di messaggi e riportarlo nell’alveo del dato strutturato, senza forzare il proprio cliente a interfacce che non sa o non vuole usare.
Alla fine, nel settore del B2B, l’e-commerce è un servizio al cliente, che può fidelizzare la nuova generazione di chi acquista. Lasciarsela sfuggire potrebbe avere conseguenze di lungo periodo, e cambiare radicalmente mercati che sembravano essere immutabili.
Gianluca Diegoli è esperto di marketing digitale, marketing transformation, retail ed e-commerce.
Il suo blog è minimarketing.it