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Persone e tecnologie nell’esperienza omnicanale

Nel percorso di trasformazione dell’omnicanalità il quadro è in movimento e la direzione è chiara. Ma le realtà mature sono ancora un numero molto ridotto, rileva l’Osservatorio Omnichannel customer experience, e bisogna passare da una prospettiva basata sul prodotto a una sul cliente

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Le indicazioni emerse dalla ricerca dellOsservatorio Omnichannel Customer Experience della School of Management del Politecnico di Milano, che annovera GS1 Italy tra gli sponsor, sono molto nette: le aziende italiane sono orientate verso la scelta omnicanale, i benefici sono ormai chiari. Ma occorre premere sull’acceleratore per passare da una prospettiva prodotto-centrica a una cliente-centrica, che consenta di evolvere il proprio modello di business a partire da una piena conoscenza dei propri clienti. C’è bisogno da un lato di importanti cambiamenti organizzativi, attività di change management e formazione diffuse, dall’altro lato di adeguati investimenti tecnologici per creare una vera “customer data-driven company”. E nell’omnichannel customer experience (Ocx) l’aspetto umano è tanto importante quanto le tecnologie. «Dalle realtà più mature emergono in maniera chiara e incontrovertibile i benefici della trasformazione omnicanale. Non ci sono pertanto più alibi per non affrontare in maniera decisa tale percorso» ammonisce Giuliano Noci, responsabile scientifico dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience.

LA MATURITÀ DELLE AZIENDE

Il grado di maturità complessivo delle medie e grandi imprese italiane, valutato attraverso l“OCX Index”, è pari a 4,5/10 e registra addirittura una leggera contrazione rispetto al valore del 2022 (4,8 su 10), a causa soprattutto del fatto che sono cresciute le imprese nelle fasi iniziali del percorso. Il valore medio dell’OCX Index è quindi frutto di una forte eterogeneità, che ha condotto all’identificazione di sei distinti cluster in funzione del grado di avanzamento nel processo di adozione dell’omnicanalità. Tra i settori, ve ne sono tre ormai maturi: le banche e i servizi finanziari che hanno ormai superato le fasi iniziali di approccio, la GDO che è molto trasversale anche per la varietà delle imprese con storie e dimensioni diverse, e il largo consumo (Fmcg) con una posizione centrale.

Figura1_OssOmnichCX_dic23.jpgFigura 1- La concentrazione dei settori per cluster di maturità omnicanaleFonte: elaborazione da School of Management del Politecnico di Milano “Osservatorio Omnichannel Customer Experience” 2023

Il 21% delle imprese sta avviando il percorso di trasformazione omnicanale. In particolare, il 6% rappresenta aziende “in preparazione”, prevalentemente appartenenti a settori industriali e B2B, che si trovano in una fase esplorativa del tema. Il restante 15% (che rappresenta soprattutto aziende del largo consumo) è “ai primi passi”, dimostrando interesse ma manifestando inerzia attraverso la mancanza di un budget dedicato per iniziative omnicanale.

Il 25% del campione è, invece, classificabile come “in progress”: aziende che hanno migliorato sia la struttura organizzativa, sia l’approccio ai dati, e che hanno predisposto un budget attuale destinato alle iniziative omnicanale e prevedono investimenti in crescita per il 2024.

Il 46% delle aziende sta lavorando positivamente su almeno una variabile chiave dell’OCX Index. Da un lato, le aziende “committed” (21%, soprattutto del settore banche e servizi finanziari) si concentrano sullo sviluppo di una strategia omnicanale attraverso strumenti organizzativi, con la presenza quasi generalizzata di un responsabile dell’OCX. Dall’altro lato, le aziende “tactician” (25%) hanno strutturato un apparato tecnologico adeguato alla costruzione di una buona vista unica sul cliente. Un approccio particolarmente presente nella GDO, nelle Telco e nelle Utility che, ad esempio, sono in grado di integrare le informazioni dei clienti al fine di fornire specifici servizi omnicanale

Solo l’8% delle imprese, infine, può essere definito “avanzato” in termini di maturità omnicanale, ottenendo un punteggio di 7,5/10. Da un lato, queste realtà si distinguono per una struttura organizzativa cross-funzionale, mentre dall’altro, hanno lavorato sulla costruzione di una robusta raccolta e integrazione dei dati e adottano strumenti tecnologici avanzati.

IL RUOLO DELLE PERSONE

Tra i principali freni nel percorso verso la maturità omnicanale vi sono il superamento dei silos organizzativi ma anche il fattore umano. «I dipendenti diventano un pilastro chiave delle diverse esperienze omnicanale che le aziende offrono ai propri clienti. Il loro coinvolgimento diventa dunque di fondamentale importanza per il successo della trasformazione omnicanale, tanto che l’83% delle aziende intervistate ritiene che esista un collegamento diretto tra employee e customer experience. La maggioranza non riesce però a quantificarlo», spiega Francesca Graziano, ricercatrice dell’Osservatorio, che propone un percorso di riferimento in cinque fasi per il coinvolgimento dei singoli nella trasformazione omnicanale.

Figura2_OssOmnichCX_dic23.jpgFigura 2 – Il percorso di riferimento per il coinvolgimento dei dipendenti e le aziende che hanno attivato le varie fasiNota: percentuale delle aziende attive nelle varie fasi (base rispondenti: 132 medio-grandi e grandi aziende italiane). Fonte: elaborazione da School of Management del Politecnico di Milano, “Osservatorio Omnichannel Customer Eexperience” 2023

Tuttavia solo il 27% delle aziende coinvolge in questo percorso i livelli operativi quali venditori e operatori di contact center, mentre il 61% contempla percorsi di formazione, per gran parte passiva, e di sensibilizzazione all’OCX. Questo è legato anche al fatto che solo nel 26% delle aziende la funzione HR e il business lavorano in stretta collaborazione e sinergia per la trasformazione omnicanale.

LA STRATEGIA DEI DATI

Un altro punto critico è la raccolta dei dati avanzati (quella dei dati basici è una pratica consolidata) o comportamentali, provenienti da social derivanti da interazioni umane. Qualche numero. Il 25% delle aziende recupera i dati evoluti e solo un terzo li integra in una logica di vista unica del cliente. Il 34% fa uso di una customer data platform mentre il 73% di un Crm tradizionale. Mancano, nel 62% delle aziende, figure specializzate dedicate all’analisi avanzata delle informazioni.

Le difficoltà nella gestione dei dati si ripercuotono sulla capacità delle aziende di utilizzarli per ottimizzare i processi di relazione con il cliente: nel marketing sono ormai diffusi strumenti di marketing automation (60% delle aziende), ma la personalizzazione delle campagne si basa ancora su segmenti predefiniti. Le attività di vendita evidenziano un’attenzione crescente alla personalizzazione online, nonché un impiego in crescita di modelli avanzati di vendita cross-channel. Infine il processo di assistenza permane come fanalino di coda della trasformazione sebbene rappresenti un punto di contatto cruciale per la relazione cliente azienda: «L'attenzione al processo di creazione di un sistema di conoscenza centralizzato e all'integrazione del customer care con gli altri processi aziendali è buona, ma l'introduzione della tecnologia a supporto della piena integrazione di processo e di analisi strutturata dei dati a sostegno del processo è limitata. Le aziende devono quindi fare un passo avanti e considerare il customer care da centro di costo a centro di ascolto del cliente», commenta Valentina Palummeri, ricercatrice senior dell’Osservatorio.

L’integrazione tra dimensione umana e tecnologica è al centro anche dei trend emergenti che determineranno l’evoluzione dei modelli di omnicanalità.

«Attualmente, il 63% delle aziende italiane sta sperimentando l'utilizzo dell'Intelligenza Artificiale in ambito OCX, focalizzandosi principalmente sulla personalizzazione delle raccomandazioni (32%) e sull'assistenza clienti digitale tramite chatbot o assistenti virtuali (43%). Tuttavia, nonostante le molteplici potenzialità, l'83% degli utenti internet italiani mostra insoddisfazione riguardo a tali strumenti, evidenziando la lunga strada da percorrere per raggiungere una vera Conversational Experience» sottolinea Marta Valsecchi, direttrice dell'Osservatorio OCX.

Ulteriori indicazioni alle aziende emerse dalla ricerca riguardo al customer care sono il potenziamento della raccolta e dell’integrazione dei dati, una rafforzata analisi per una comprensione approfondita del cliente e un maggiore utilizzo delle tecnologie.

MISURARE I BENEFICI

La vera domanda al centro di questo percorso è se sia possibile misurare i benefici dell’approccio omnicanale. «Negli ultimi anni l'assenza di un sistema di misurazione adatto è sempre stata tra le principali barriere allo sviluppo di una strategia omnicanale. Certamente l’investimento pluriennale richiesto e la pervasività della trasformazione richiede una chiarezza di intenti e un'esplicitazione dei benefici, soprattutto in contesti macro-economici complessi e incerti», spiega ancora Valsecchi.

Riguardo ai clienti, personalizzazione, integrazione online-offline, data driven process, automazione sono le aree che impattano maggiormente: nel marketing dove cambiano le modalità di comunicazione, migliora il tasso di conversione, si riducono i costi di acquisizione; nelle vendite dove aumentano lo scontrino medio, la frequenza di riacquisto e le vendite nel complesso e nell’assistenza dove si pone più attenzione ai tempi di attesa e al livello di servizio. «In generale si rileva una migliore interazione tra azienda e cliente nel corso della fruizione del servizio o nell'utilizzo di un prodotto e nei processi operativi e logistici, con l’ottimizzazione di spazi e flussi logistici e la migliore gestione delle scorte», aggiunge Sara Zagaria, direttrice dell’Osservatorio.

Anche i dipendenti, ovviamente, sono coinvolti, non foss’altro perché, secondo i dati della ricerca svolta con Ipsos su 1.600 utenti internet, il 59% dei consumatori preferisce interagire direttamente con il personale, con percentuali molto significative (88%) quando si tratta di risolvere problemi complessi.

Aumento di produttività, soddisfazione e coinvolgimento sono gli impatti positivi sui dipendenti.

Figura3_OssOmnichCX_dic23.jpgFigura 3 – Con chi preferisce interagire il clienteFonte: elaborazione da School of Management del Politecnico di Milano “Osservatorio Omnichannel Customer Experience” 2023

LA SODDISFAZIONE DEI CLIENTI

Ma i consumatori alla fine sono soddisfatti? In generale ciò che genera soddisfazione sono l’interazione con il personale sul punto vendita che già conosce le preferenze d’acquisto e i gusti del cliente, l’accesso alla disponibilità dei prodotti nei diversi canali, i brevi tempi di attesa per parlare con l’assistenza e poter cercare autonomamente le informazioni nella fase di pre-acquisto. Ma senza sconti, perché a seguito di un’esperienza negativa il 57% dei clienti non acquista più, il 25% riduce la frequenza d’acquisto, ma soprattutto il 53% genera un passaparola negativo.

Tra i kpi misurati dalle aziende (almeno uno dal 75%), il Net promoter score (Nps) è quindi il più diffuso (dal 61%, con differenze settoriali). Anche il Nps, 16% di media, ha delle variazioni tra i diversi settori, ma soprattutto, puntualizzano i ricercatori, vi è una metà circa di consumatori che sono “passivi” sui quali occorre lavorare per farli salire di livello. Ciò che conta è che il 31% delle aziende che lo monitora ha dichiarato un suo miglioramento dopo l’introduzione di una strategia omnicanale (il 75% delle imprese più avanzate).

Figura4_OssOmnichCX_dic23.jpgFigura 4 – Il valore del Net promoter score degli utenti internet nei diversi settoriFonte: elaborazione da School of Management del Politecnico di Milano “Osservatorio Omnichannel Customer Experience” 2023

Benefici economici

E sul conto economico, si riescono a misurare i benefici? Anche in questo caso la risposta è positiva. Sui ricavi (vendite incrementali, nuove fonti di ricavo, aumento del valore del cliente) come sui costi (-50% il costo di gestione del cliente, ottimizzazione dell’inventario e del magazzino) già oggi l’82% delle aziende misura l’impatto della strategia omnicanale sulle diverse aree monitorate dalla ricerca con indubbi benefici: il 56% sui processi, il 68% sui clienti, il 31% sul conto economico e solo l’8% sui dipendenti.

Cambio di prospettiva

«Nella prospettiva rilevata dai risultati della ricerca – commenta Giuliano Noci – ci sono tutte le basi per una rivoluzione copernicana, che porti le aziende a passare da una prospettiva incentrata sul prodotto a una in cui l’unità di aggregazione sia il cliente. Per affermare questo cambiamento di prospettiva è necessaria una consapevolezza dal punto di vista strategico e culturale che non è ancora raggiunta, anche se, come abbiamo visto, molti passi avanti sono stati fatti.

Ma a fronte degli impianti tecnologici avanzati vi sono ancora sistemi di analisi tradizionali.

C’è quindi bisogno di lavorare molto sui dati a supporto di questa rivoluzione copernicana. In Italia la presa di coscienza del ruolo svolto dai dati è ancora di là da venire: vi sono molti dati orientati alla dimensione transattiva e al prodotto, meno quelli che qualificano la prospettiva comportamentale dei clienti. Con il risultato di avere in tal modo viste frammentate. Ma avere dati orientati a qualificare tali prospettive richiede di superare la visione a silos molto spesso figlia di un sistema pre copernicano in cui attorno al prodotto si organizzano le attività.

C’è poi il tema cruciale delle competenze. Se di quelle tecniche siamo ben dotati, lo siamo meno di quelle per l’analisi dei dati. Non tanto con riferimento alla data science, ma a quelle competenze in grado di coniugare l’analisi dei dati con il business.

Ultimo aspetto, l’Intelligenza artificiale, che è e sarà sempre più un potente driver di cambiamento. Per il suo carattere pervasivo l’IA rischia di diventare per il sistema Italia, che non possiede campi di addestramento dati, un punto di debolezza, evidenziando la minore consapevolezza di altri altri paesi dell’opportunità di codificare dati e avere dati di qualità per fare operazioni ai diversi livelli. È un tema chiave su cui lavorare per il futuro e per capire se esiste una via italiana all’intelligenza artificiale», conclude Noci.

A cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab