Fare e comunicare la sostenibilità
Nove aziende su dieci comunicano le loro iniziative in campo ambientale, sociale ed economico. In primo piano le iniziative per il contrasto al cambiamento climatico ma è necessario un salto di qualità. L’indagine realizzata dall’Università Roma Tre per Centromarca.
Riflettori accesi sulla sostenibilità dell’industria di marca. L’occasione è la presentazione al Salone della CSR del rapporto “Azioni e impegni per lo sviluppo sostenibile dell’Industria di Marca in Italia”, realizzato da Centromarca in collaborazione con il Dipartimento di Economia aziendale dell’Università degli Studi Roma Tre.
«La ricerca – spiega Carlo Alberto Pratesi, professore di economia e gestione delle imprese all’Università Roma Tre – parte dalla considerazione che l’Europa chiede alle imprese di raccontare quello che fanno in tema di sostenibilità, perché le azioni in questa direzione, da elemento distintivo, stanno diventando un prerequisito; e se un’azienda non comunica non riesce a stabilire collaborazioni e creare alleanze in questa direzione: comunicare è fondamentale per fare bene le cose con gli altri partner». Entro giugno 2024, infatti, dovrà essere recepita anche in Italia la direttiva europea CSRD sulla rendicontazione societaria di sostenibilità, che obbligherà nel giro di tre anni circa 4 mila imprese (anche le PMI quotate) a pubblicare un report di sostenibilità. Una normativa che si ritiene possa agevolare una comunicazione più trasparente e contrastare il greenwashing (se funzioneranno i controlli) soprattutto perché stabilisce un collegamento con il mondo della finanza e con gli indicatori ESG (ambiente, società, governance).
I RISULTATI DELLA RICERCA
L’analisi, realizzata su un insieme di 30 mila dati per oltre 9.500 pagine di documenti pubblici delle 188 imprese aderenti a Centromarca utilizzando i criteri Gri (Global reporting initiative) e Sdg (Sustainable development goals), rileva che l’86% delle imprese comunica le azioni fatte e previste nel campo della sostenibilità, il 39% attraverso un report di sostenibilità, percentuali in crescita rispetto al 2020 quando erano rispettivamente il 74% e il 34%. Figura 1 – La comunicazione della sostenibilità dell’Industria di marcaFonte: elaborazione a cura del Dipartimento di Economia Aziendale dell’Università degli Studi Roma Tre su dati pubblici IdM/Centromarca - periodi di raccolta aprile/luglio 2023
Sono diverse le aree su cui si concentrano principalmente gli interventi delle aziende che aderiscono a Centromarca – con differenze tra i diversi settori in funzione dell’impatto che hanno sulla produzione. Vediamole in dettaglio.
In campo ambientale:
- Interventi per la riduzione delle emissioni (67% delle aziende le rendiconta).
- Azioni per il contenimento e la razionalizzazione dei consumi energetici (61%).
- Uso responsabile delle materie prime (57%).
- Ottimizzazione dei consumi idrici (56%).
- Gestione dei rifiuti (56%).
In ambito sociale:
- Pari opportunità di genere e la valorizzazione delle diversità (60% delle aziende).
- Presidio di salute e sicurezza (54%).
- Occupazione e creazione di posti di lavori (44%).
- Formazione (44%).
Nel campo della sostenibilità economica:
- Diffusione di informazioni sui risultati economici (36% delle industrie).
- Attività anticorruzione (28%).
- Buone pratiche di approvvigionamento (19%).
Tra gli impegni futuri prioritari per le aziende vi sono interventi su materie prime (49%) e su emissioni (48%) nell’area ambientale, mentre in campo sociale ed economico si confermano ai primi posti gli interventi fatti.
«L’Industria di marca comunica più e meglio del resto dell’Industria italiana», sottolinea Pratesi, confrontando i dati di un’indagine Istat su un campione di 4 mila imprese italiane, da cui si rileva che all’86% di IdM che comunicano iniziative e impegni attraverso dati ufficiali pubblici si contrappone il 60% del dato nazionale. In dettaglio: il 78% delle IdM è impegnato in campo ambientale, rispetto al 50% rilevato a livello nazionale, nel sociale il 68% rispetto al 45% e sul fronte economico il 39% rispetto al 37%.
«Occorre insistere sul fatto che non basta fare le cose, ma bisogna comunicarle ed è importante comunicare anche ciò che si intende fare, secondo una logica di filiera, per aprire alla collaborazione con chi sta a monte e chi sta a valle, o anche con imprese di altri settori pensando all’economia circolare. Va anche aggiunto che non è detto che le aziende grandi siano più avvantaggiate di quelle piccole. La vera differenza non la fa la dimensione, ma la cultura della comunicazione della sostenibilità. E per raccontare al mondo che cosa si fa è importante utilizzare denominazioni già entrate nel linguaggio globale, come la tassonomia Sdg. Molte aziende non utilizzano questa nomenclatura pur avendo operato negli stessi campi di intervento, ma è opportuno usare queste classificazioni, perché sono il linguaggio comune e condiviso da aziende, istituzioni, consumatori», conclude Pratesi.
Figura 2 – Le top dieci classificazioni Sdg utilizzate dalle aziende di CentromarcaFonte: elaborazione a cura del Dipartimento di Economia Aziendale dell’Università degli Studi Roma Tre su dati pubblici IdM/Centromarca - periodi di raccolta aprile/luglio 2023
IL PUNTO DI VISTA DELLE AZIENDE
Che la sostenibilità sia una priorità per le aziende lo conferma Marco Travaglia, vice presidente di Centromarca, presidente e amministratore delegato del Gruppo Nestlé in Italia e Malta, «ma la cosa più complicata in questo periodo di forti discontinuità è tenere insieme la volatilità nel breve, che condiziona fortemente le scelte, e la trasformazione sostenibile che richiede investimenti elevatissimi di lunghissimo periodo senza avere risultato nel breve. E avere elevato la sostenibilità a strategia di gruppo è stato un elemento chiave». Sulla stessa lunghezza d’onda anche Sara Scrittore, vice president & general manager Southern Europe di Colgate-Palmolive, che aggiunge: «Il fattore decisivo per fare investimenti mai fatti prima con una prospettiva di lunghissimo periodo è comunque quello di dare rilievo alla sostenibilità di performance economica, alla base della sostenibilità sociale e ambientale, per assicurare continuità all’azienda. Per questo, per esempio, abbiamo una struttura centralizzata sulla sostenibilità che non dipende dai risultati di corto periodo. La sostenibilità è entrata quindi stabilmente nell’agenda del Ceo e questo ha contribuito anche a rompere i silos aziendali».
A rendere più complesso affrontare il tema della sostenibilità vi sono alcuni elementi. Li indica Chiara Faenza, responsabile sostenibilità e innovazione valori di Coop Italia: «Il cambiamento della normativa, certamente. La necessità di far evolvere all’unisono i diversi anelli per dare più forza all’intera filiera. Identificare gli aspetti distintivi all’interno di un perimetro affollato. L’evoluzione tecnologica per una rendicontazione certificata e puntuale. Poi c’è il consumatore che aggiunge un ulteriore elemento di complessità: un consumatore consapevole dell’importanza della sostenibilità, ma contradditorio tra ciò che dichiara e pensa e le azioni che mette in atto contro la crisi, quando taglia i prodotti sostenibili e acquista quelli con i prezzi più bassi».
IL CONSUMATORE E LA FILIERA
Se le cose stanno in questo modo, non sarà che, alla fine, le aziende comunicano ancora poco? Che cosa arriva al consumatore di ciò che fanno? Che cosa sanno, per esempio i consumatori del fatto che Colgate Palmolive ha investito anni di ricerca e somme ingentissime per sostituire entro il 2025 i dieci miliardi di tubetti di dentifricio nel mondo con prodotti in monomateriale riciclabile e contemporaneamente ha reso disponibile la tecnologia agli altri produttori per sostituire i restanti 10 miliardi di tubetti venduti a livello globale? E quale percezione hanno del lavoro che sta dietro all’iniziativa di Nespresso per il riciclo delle capsule di alluminio e per il compostaggio dei fondi di caffè utilizzati come fertilizzante per la produzione di riso, che viene riacquistato da Nestlé e donato al Banco alimentare (780 quintali nel 2022)?
«L’interesse del consumatore per il tubetto riciclabile – risponde Sara Scrittore – è modesto, nonostante la comunicazione nel sito, nel report di sostenibilità, sul packaging. Ma il consumatore non acquista un prodotto perché il pack è riciclabile. Ciò che gli interessa è un prodotto senza compromessi sulla qualità, le performance e il prezzo».
Va poi aggiunto che proprio il prezzo oggi sembra essere la discriminante maggiore. «Il consumatore è senza dubbio più consapevole ed evoluto, ma si trova a dover coniugare la sostenibilità con i temi economici. Nonostante ciò, domani i prodotti sostenibili rappresenteranno la linea di base comune, da cui ripartire», ribadisce Chiara Faenza.
Per il sistema delle imprese Industria e Distribuzione, l’approccio di filiera è il salto di qualità determinante e la logistica assume un ruolo fondamentale sulla riduzione delle emissioni, sull’efficienza di sistema e sulla riduzione dei costi, così come è determinante un approccio a matrice per l’economia circolare. La sostenibilità si va sempre più configurando quindi come un tema precompetitivo. «Le tematiche che stiamo affrontando sono così trasformative e complesse che nessuna industria e nemmeno nessuna filiera monoindustria può pensare di risolverle da sola. La soluzione è lavorare insieme in un ecosistema collaborativo», conclude Travaglia.
A cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab