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Differenziare l’offerta per clienti diversi

Dal Marketing & Retail Summit varie indicazioni su alcune linee di cambiamento per la Distribuzione in risposta a consumatori e offerte sempre più differenziati. Cambieranno anche assortimenti e formati con il supporto dell’Ai. E la Distribuzione prende più coscienza di sé

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Da sempre i retailer si interrogano su come affrontare il cambiamento per adeguare il proprio modo di fare impresa alla società che cambia e alle opportunità offerte dall’evoluzione tecnologia prima e dalla trasformazione digitale oggi, in un territorio ad alta competitività. Ma in un contesto multiforme e in rapida trasformazione come quello odierno nel quale si intrecciano e si contrappongono trend globali e comportamenti dei consumatori è ancora più difficile conciliare il presente con il futuro. E non esiste una ricetta unica. Occorre identificare le principali priorità di business e una visione del futuro partendo da angolazioni diverse per primeggiare.

Così Andrea Petronio, senior partner e responsabile della practice retail di Bain & Company, introduce la recente edizione del Marketing & Retail Summit di Gdoweek e Mark Up, non a caso dedicato a luoghi e persone per ridisegnare un prossimo futuro.

TECNOLOGIE, TALENTI, SOSTENIBILITÀ

Vi sono, per Petronio, alcuni elementi di rilievo che costituiscono una piattaforma di base per questa sfida continua.

Il primo sono gli investimenti in tecnologia: tra il 2018 e il 2022, gli investimenti in automazione sono cresciuti del 10%, mentre nell'operatività sia nei negozi fisici che online del 35%. Secondariamente è in atto la lotta per attrarre i talenti: il 73% delle aziende riferisce di avere carenze di competenze e il 90% dei datori di lavoro segnala una crescente competizione per attirare il personale qualificato, diventato una risorsa sempre più costosa anche per il retail.

Non è solo questione di nuovi talenti. C’è un problema anche di prime linee manageriali.

«A giudicare da una ricerca sui responsabili risorse umane dei 250 top retailer mondiali – afferma Gyorgy Konda, partner retail & luxury practice di Spencer Stuart – il 33% crede che nei prossimi dodici mesi la metà delle prime linee cambierà, ma solo il 16% crede di avere individuato il successore del ceo all’interno dell’azienda e il 29% i sostituti delle prime linee di management». Peraltro c’è anche chi ritiene che prendere professionalità dall’esterno sia un modo per portare nuova linfa vitale all’azienda. Il problema è, secondo la ricerca citata da Konda, che nel retail mancano nel top management competenze funzionali e manageriali. In particolare quelle digitali, sui data analytics, sulla gestione delle persone. Un tema che periodicamente torna in primo piano e non è di poco conto visto che, come afferma Giangiacomo Ibba, amministratore delegato di Crai Secom: «La Distribuzione italiana ha di fronte a sé un grande scenario di passaggio generazionale».

Ancora, la sostenibilità è un'altra sfida critica che il settore del retail deve affrontare ma, secondo i risultati preliminari di uno studio di Bain & Company, è rimasto indietro rispetto ad altri settori, con l’eccezione della GDO di cui l’87% delle imprese ha pubblicato un bilancio di sostenibilità, anche se molti obiettivi ESG (Environmental Social Governance) devono ancora trovare spazio all’interno di questi bilanci.

Fig1_M&RSummit23.jpgFigura 1 – La presenza dei vari KPI nel bilancio di sostenibilità di GDO, ristorazione, abbigliamento & calzatureFonte: Bain & Company “Osservatorio Bain ESG Retail” I edizione 2023

Nota: Indice di presenza - peso percentuale dei retailer che considerano target/obiettivi relativamente al KPI indicato sul totale dei retailer che hanno pubblicato il bilancio di sostenibilità 2022 o anni precedenti (se non ancora ad oggi pubblicato).

LA RIVOLUZIONE DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

«Il vero elemento dirompente che sta cambiando il volto del retail – aggiunge Petronio – è l’intelligenza artificiale (Ai) generativa, che promette di rivoluzionare la produttività del settore, riducendo significativamente la struttura dei costi. Si stima infatti che fino al 28% del tempo di lavoro nel retail possa essere automatizzato grazie all'Ai generativa».

Ma l'Ai generativa è molto di più che un semplice strumento per tagliare i costi. «È un asset fondamentale per raggiungere il "marketing one to one", ovvero la personalizzazione estrema delle esperienze di acquisto». Se ne parla da decenni, passando dalle carte fedeltà alla profilazione online, ma l'ostacolo principale è sempre stato l'uso efficace dei dati raccolti. Con l'Ai generativa, questo impasse sembra essere superato. Grazie alla sua enorme capacità computazionale, può analizzare enormi quantità di dati in tempo reale e tradurli in informazioni preziose.

«L’Ai avrà un enorme impatto nelle nostre organizzazioni, come il taylorismo nella produzione industriale – aggiunge Fausto Caprini, ceo di Retex – perché modificherà il modo di lavorare negli uffici, la produttività e le nostre organizzazioni molto velocemente e trasformerà molti aspetti dei servizi, come il customer care, le raccomandazioni di prodotto, l’analisi della segmentazione di consumo. Chi saprà comprenderne le trasformazioni avrà più facilità di uscirne vincente. Del resto Amazon e Netflix dimostrano che l’Ai è già con noi da tempo.

Le visioni ottimistiche sono vere. Altrettanto lo sono le preoccupazioni. E Caprini ne evidenzia tre: «C’è un tema etico riguardante la grande capacità computazionale: dobbiamo imparare a capire quando l’Ai ci presenta delle sciocchezze. La sostenibilità, legata ai consumi dei motori computazionali, è un altro tema che dovrà essere affrontato. Infine la trasparenza: un sistema di regole che permettano di capire perché l’Ai prende determinate decisioni».

Di temi da affrontare ce ne sono molti. Quindi, da dove partire?

CLIENTI VICINI, LONTANI, UGUALI, DIVERSI

Non c ‘è dubbio. Quello degli assortimenti sembra essere oggi, sotto i colpi del calo dei consumi, uno dei temi più caldi per la Distribuzione che intreccia gli aspetti di relazioni politico-strategiche con le imprese industriali e di efficienza con quelli della maggiore rispondenza alle esigenze e ai comportamenti dei consumatori. Ed è interessante notare come la ricerca sul Nuovo Codice consumi di GS1 Italy abbia dato il via a una serie di riflessioni e di analisi più operative che stanno prendendo sempre più spazio e che possono essere riassunte nella necessità di diversificare l’offerta non tanto in base ai territori ma ai bacini di utenti più simili tra di loro. Insomma il retail ha bisogno di nuove lenti per capire i consumi degli italiani.

«L’estrema frammentazione della distribuzione italiana – spiegano Stefano Cini, head of consumer & geomarketing intelligence di NielsenIQ, e Gianluigi Crippa, senior partner di Jakala – fa sì che non solo ci siano differenze territoriali molto forti relativamente alle quote di mercato dei formati dei negozi nelle diverse aree, ma lo store format vincente cambia a livello di provincia e addirittura negli stessi bacini territoriali i punti vendita della stessa insegna apparentemente simili sono in realtà diversi. Ugualmente esiste un indice di similarità di negozi tra loro distanti che rende appunto simile un negozio di Milano a uno di Sciacca in Sicilia o di Follonica in Toscana».

Per targettizzare i punti vendita occorre quindi superare l’anagrafica e le caratteristiche strutturali e analizzare in profondità la natura dei bacini di riferimento. Si chiama indice di similarità dei bacini di clientela e apre la strada a una segmentazione più avanzata dei punti vendita, basandosi sui profili degli shopper e sui loro bisogni specifici.

Quindi due punti vendita distanti tra di loro possono essere più simili di due punti vendita tra loro vicini e insiti nello stesso bacino. «Analizzare la similarità dei bacini – aggiungono Cini e Crippa – permette di individuare i negozi “gemelli“ anche geograficamente distanti indipendentemente dalle tradizionali caratteristiche (format, insegna e potenzialità) e (ri)definire strategie assortimentali, promozionali, attività in-store e di comunicazione segmentando i punti vendita in base al profilo degli shopper. Allo stesso modo anche all'interno dello stesso bacino il successo passa dalla differenziazione dell'offerta per evitare cannibalizzazioni inutili. In sostanza mettere il consumatore al centro significa usare le variabili shopper per creare nuove segmentazioni di pdv. Anche all'interno dello stesso bacino, il successo passa dalla differenziazione dell'offerta».

Fig2_M&RSummit23.jpgFigura 2 – La specializzazione dell’offerta anche nello stesso bacino territoriale.Fonte: NIQ GNLC ed. 1 2023 (I+S+D+LS)

Un aiuto per centrare l’assortimento sul cliente lo dà la data science che guida il cambiamento culturale del retail nel passaggio dalla focalizzazione su prodotto e categoria a concentrarsi sul cliente con un’offerta per specifici gruppi di persone, sullo sviluppo di nuovi clienti e il mantenimento di quelli fedeli.

«Nell’ambito del category management e della definizione degli assortimenti – spiegano i due speaker di Dunnhumby, Marco Metti, business development manager, e Siro Descrovi, senior customer strategy lead – la data science migliora l’efficacia con assortimenti più rilevanti per i clienti e l’efficienza dei processi, grazie a un metodo condiviso e una migliore organizzazione delle attività, incrementando da un lato le vendite e dall’altro i margini».

Per il retail è giunto al capolinea il monolitismo assortimentale di formato, come commenta il direttore generale operativo di Conad, Francesco Avanzini?

È molto probabile che sia così se anche un campione come Esselunga, per bocca del direttore commerciale Eugenio Neri, che adotta una politica assortimentale concentrica, con 25 mila referenze nei superstore e 18 mila nell’online (5 mila nel format LaEsse), si chiede se non siano troppe. «È sbagliato avere lo stesso assortimento in tutti gli store, a maggior ragione perché è lo stesso cliente che in base alle sue esigenze cambia negozio. La più grande sfida che abbiamo di fronte è il cliente diverso in ciascun punto vendita, facendo in modo abbia una percezione chiara dell’offerta. È chiaro che oggi lavoriamo secondo un equilibrio tra MDD e prodotti di marca, e tra MDD di prezzo basso e quelle top di gamma. E se da un lato abbiamo bisogno della collaborazione dell’Industria dalla quale ci aspettiamo tanta innovazione reale, dall'altro equilibrio non significa immobilismo».

OLTRE IL TRADE

Un messaggio chiaro all’Industria nel momento più difficile, in cui la Distribuzione si è seduta al tavolo del governo e non intende alzarsi più. Andando oltre il patto anti-inflazione, la sensazione è proprio che il mondo distributivo abbia trovato il riconoscimento da tempo atteso. Concordano un po’ tutti i retailer al Summit. Lo sintetizza Ibba: «Il patto anti-inflazione è il riconoscimento della Distribuzione come settore economico». 

Di rimando Christophe Rabatel, ceo di Carrefour Italia, aggiunge: «La GDO prova a tutelare al meglio il potere d’acquisto dei consumatori ma non si fa niente da soli e i fornitori sono importantissimi, ma la maggioranza delle grandi marche non ha dato risposte né collettivamente né one to one. È un momento in cui dobbiamo fare scelte importanti. Siamo coscienti di prendere dei rischi, ma la discussione con il governo è una grande opportunità che non dobbiamo abbandonare».

E Massimiliano Silvestrini, presidente di Lidl Italia, precisa: «Agli occhi del consumatore i distributori sono i cattivi, ma nel solo caso nostro è bene sapere che esportiamo 2,5 miliardi di ortofrutta (lo fanno anche altri retailer, ndr) e che con “Carta dedicata a te” abbiamo investito due milioni di euro. Però non possiamo rimanere sempre con il cerino in mano».

Un concetto ribadito anche da Maniele Tasca, direttore generale operativo di Selex: «È necessario condividere la responsabilità con l’Industria: assodato che la leva promozionale ha dei limiti, l’elemento più strutturale è cercare nuovi equilibri negli assortimenti. In questa fase è importante chiarire che l’equazione “aumento di prezzi uguale Distribuzione” deve essere sostituita dall’equazione “aumento dei listini dei prodotti uguale inflazione”. In prospettiva non ci si può aspettare una situazione di deflazione, ma al di là delle scelte che faranno le aziende industriali, quel che interessa sono le risposte dei consumatori. Noi di certo non possiamo più accettare che il posizionamento dell’insegna sia determinato dalle politiche di prezzo».

Allora serve anche altro per l’evoluzione del retail. È quello che Andrea Petronio chiama “beyond trade”: andare oltre cioè i classici assi di sviluppo del retail e innestare un nuovo motore: nuovi prodotti e soluzioni che sfruttano capacità e asset esistenti (i dati, la rete dei negozi, i clienti, i brand e le insegne, le competenze, le tecnologie) rivolgendosi sia a nuovi clienti sia a quelli già acquisiti.

Fig3_M&RSummit23.jpgFigura 3 – Le opzioni “beyond trade”Fonte: Bain & Company

Concorda Avanzini: «Per il retail è cambiato il paradigma: il cliente, non le merci sono, il punto di partenza. Dobbiamo continuare a vendere food, ma non solo, innestando altre tipologie di servizi arrivando al cambiamento dei format distributivi e facendo una omnicanalità effettiva. Il cliente ha bisogno di risposte fisiche e digitali: dobbiamo offrire prodotti e servizi per clienti diversi»

CONNESSIONI E MEMORIE

A questa evoluzione non sono esenti i luoghi del retail.

I quali, come spiega Paolo Lucchetta, architetto e founder di Retail Design, presentano prospettive interessanti perché hanno cambiato la definizione dei loro attributi, da show room a engagement, dalla prevalenza delle merci a quella del fattore umano: «La parola chiave che guida molte di queste attività oggi è "comunità", una condivisione di valori che sta diventando centrale nel mondo del retail. Occupandoci di luoghi abbiamo la possibilità di esplorare le connessioni e coltivare le memorie. I luoghi abbandonati rappresentano un patrimonio di possibilità quasi infinito, oltretutto nel cuore della migliore creazione collettiva dell’uomo: le città. E il retail svolge un ruolo importante nella rigenerazione urbana, purché sappia interpretare la società», spiega Luchetta.

I suoi esempi – Librerie Coop-Eataly a Bologna, il mercato coperto di Ravenna, il mercato metropolitano Myfair a Londra – combinano la prospettiva della rigenerazione con nuove funzioni, nuove connessioni. Con la sostenibilità in primis che si deve coniugare con la concretezza delle azioni nella prospettiva dell’inclusione, della creazione di comunità e relazioni, non certo come esibizione tecnologica. Per questo i luoghi chiamano il retail a esprimere le qualità migliori per dare propulsione ai territori dove opera».

Assumono quindi nuovi significati gli scenari futuri dell’evoluzione degli spazi commerciali, che per Letizia Cantini, general manager di Svicom, sono incardinati sulla relazione one to one con un forte ruolo affidato al digital e ne individua quattro modelli:

  • Destination center, cioè luoghi di attrazione per ciò che contengono.
  • Innovation center con un forte utilizzo della tecnologia, come il metaverso.
  • Value centers in quanto luoghi che contribuiscono alla costruzione della comunità.
  • Retaildential spaces per target specifici.

A cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab