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L’e-commerce, la GDO e l’incertezza come terreno di gioco permanente: le domande da farsi per il futuro

l'opinione di

Gianluca Diegoli

Sapendo che, nel lungo periodo, il rischio maggiore per un’azienda consiste nel non fare nulla.

Per qualche coincidenza, Netcomm Forum (l’evento più importante per l'e-commerce) e Linkontro (l’evento di riferimento della GDO) sono due appuntamenti che si tengono quasi sempre a poca distanza temporale uno dall’altro, ignorandosi per lo più. Probabilmente io sono l’unica persona a partecipare ad entrambi. I due eventi sono infatti nati anni fa quasi come poli opposti di osservazione della realtà: il primo osservava il progresso a volte lento ma inesorabile dell’e-commerce italiano, il secondo si interrogava, tra un nuovo snack “senza qualcosa” e un gelato al biscotto fresco di lancio, su quando e quanto il digitale – ma, in generale, il cambio di paradigma “tecnologico” – avrebbe lambito il mondo del largo consumo.

C’è voluta una pandemia e le sue conseguenze erratiche sulla logistica e sul comportamento d’acquisto, la carenza energetica, l’inflazione, il cambiamento climatico conclamato, per far avvicinare più rapidamente i due punti di osservazione. L’e-commerce, divenuto fenomeno veramente di massa solo nel 2020-21, ha cominciato a erodere lo strapotere del negozio fisico anche nei beni a basso valore unitario, quelli che tendenzialmente si preferisce andare a comprare al supermercato piuttosto che farsi consegnare. La tradizionale lista della spesa, insomma. Consegne a domicilio, più o meno artigianali e locali, erano nate come funghi sul mercato. D’altra parte, i retailer fisici del largo consumo non hanno nemmeno in quel periodo sfruttato l’onda dell’e-commerce credendoci davvero - rispetto ai loro mezzi finanziari – rimanendo un po' intrappolati a metà del guado, a volte indecisi se favorire il click and collect o la consegna a casa. Non abbastanza efficienti o finanziati per emulare i modelli innovativi - come ODA, il retailer norvegese presente anche in Germania che riesce a fare profitto dall’online GDO facendo concorrenza perfino ai discount attraverso un sistema nativo, efficientissimo nel picking, nel delivery e nei KPI di business -che rimangono tendenzialmente rivolti a un pubblico premium urbano (chi compra online normalmente, contrariamente alla vulgata, ha più potere di acquisto). Ma questo guado è ancora sufficientemente profondo per causare falle nel loro conto economico.

Nel frattempo c’è stato il picco delle consegne rapide alla Gorillas, rapide poi anche nello sboom causato da una sostanziale insostenibilità economica per i numeri attuali di consegne, e accelerato da un mercato dei venture capitalist molto più stringente di qualche anno fa. Il tempo del free money è finito, e con esso molte delle startup che si proponevano di innovare il settore del retail Business To Consumer, i famigerati brand direct-to-consumer, spesso tornati all’ovile del rassicurante scaffale fisico per compensare una mancata (e impensabile, salvo che nei piani presentati agli investitori) crescita indefinita dell’online commerce con i livelli del 20-21. Anche Cortilia, il brand che consegna a casa local food nato da un modello innovativo di logistica e business, non sembra aver fatto molto male ai colossi della GDO. Cortilia era stata un esperimento parecchio sotto i riflettori negli anni scorsi in entrambi gli eventi, sia come termometro della crescita che della profittabilità.

Quindi quest’anno il business digitale, a parte pochi accenni alla onnipresente AI e all’inevitabile virata ai dati di prima parte in previsione della morte dei cookie, è stato un po’ assente a Linkontro, oscurato da una minaccia ancora più impattante, la crisi climatica e la (in)sostenibilità di molti modelli distributivi e produttivi. E in effetti, la notizia che l’online della GDO, dice NielsenIQ, cresce “solo” del 5% circa in fatturato, quindi comunque meno dell’inflazione, è passata senza troppo clamore. I dati di contorno presentati – gli italiani stanno diventando più attenti nelle spese essenziali – hanno evidentemente avuto un impatto più che proporzionale sul business online.

Anche al Netcomm non c’era un’aria trionfante come negli anni scorsi: sì, sono ovviamente rimbalzati i servizi (il turismo e affini, in pratica), abbastanza in forma l’onnipresente beauty, la certezza fashion e l’onusta elettronica di consumo, ma l’elefante nella stanza, il dato sull’e-commerce alimentare è risultato più o meno allineato a quello di NielsenIQ, cioè sotto il tasso di inflazione. Più soldi, ma meno merci spedite, quindi. E la penetrazione dell’e-commerce sull’intero retail B2C ancora non supera il 12% totale.

Sì, perché il 2022, in realtà, è stato l’anno in cui il punto vendita, ma ancora di più il cosiddetto “fuori casa” (bar, ristoranti, ecc.) si è preso una rivincita sostanziosa. Perfino il numero di spese “fisiche” pro-capite è aumentato: si fanno più piccole e numerose, per fare picking di offerte ed evitare gli sprechi, e tornano di moda i negozi di vicinato, che per la prima volta sento nominare a Netcomm, come competitor dell’e-commerce, ovviamente. Insomma oggi l'e-commerce è controvento, avvantaggiandosi invece di spese ad alto scontrino, a causa dei costi di spedizione e logistica. La conclusione: nel 2022 (e nel 2023 presumibilmente) le persone scelgono le esperienze di valore (convivialità!), la comodità, la convenienza, indipendentemente dall’artificiale suddivisione in online e offline.

Mentre non c’era grande esultanza a Netcomm lato retailer FMCG, con eccezioni per settori in crescita generale come il pet online, mi sembra quasi che i manager de Linkontro abbiano tirato un sospiro di sollievo per questi dati. Il negozio non se ne andrà mai, probabilmente, o almeno non si vede quel momento all’orizzonte. Perfino i temuti discount concorrenti non se la passano benissimo, costretti dall’inflazione a essere meno convenienti del solito. L’e-commerce alimentare non esce troppo dalle ZTL, in Italia, per ora. E l’omnicanalità, tanto sbandierata, è bella ma costosa, per i budget IT e marketing del 2023: in molti casi l’assortimento online e quello fisico sono ancora due universi separati.

Ma è incertezza, non stallo, quello che stiamo vivendo, ci hanno detto gli esperti a Linkontro. E l’incertezza si porta dietro molte domande, che mi è parso di cogliere nei discorsi dietro le quinte, di entrambi gli eventi:

  • Quanto ci metterà l’e-commerce a raggiungere un tipping point per cui, come in Norvegia, ci saranno supermercati online totalmente automatizzati e perfezionati dalla AI, con logistica green, in grado di fare concorrenza non solo sul servizio, ma anche sul prezzo? E quando sarà troppo tardi per unirsi al gruppo?
  • Quanto i consumatori saranno disposti davvero a spendere per avere prodotti sostenibili nella sostanza e non solo in operazioni di make-up del packaging? Chi si accollerà davvero i costi della transizione? Potremmo davvero fare in modo che la sostenibilità non sia una competizione di etichette ma un patto di settore – come proposto dal professore Davide Pellegrini dell’Università di Parma a Linkontro?
  • Possiamo, riguardo all’innovazione, davvero aspettare per sempre sulla riva del fiume, anche se in molti casi abbiamo avuto ragione a farlo? O prima o poi, il non aver aperto le “aziende fortezza” a quell’innovazione esterna, “disruptive”, in campo di trasformazione digitale, di sostenibilità o di gestione delle risorse umane, potrebbe portare un intero settore a trovarsi fuori dalla contemporaneità? Davvero il largo consumo rimarrà ancora per molto il grande (e ultimo) attore offline?

Grandi temi, grandi domande, grande incertezza, grandi rischi. Anche se, nel lungo periodo, si sa, il rischio maggiore per un’azienda consiste nel non fare nulla. Perché, prova e riprova, qualcuno trova la chiave giusta per giocare sul mercato, anche quello del largo consumo, in modo diverso, e non necessariamente solo online.

Gianluca Diegoli è esperto di marketing digitale, marketing transformation, retail ed e-commerce.
Il suo blog è minimarketing.it