La digitalizzazione nella sanità non può attendere
Da molti anni ci si attende un’accelerazione nella digitalizzazione della sanità e le risorse del PNRR rappresentano un’occasione da non sprecare. L’Osservatorio Sanità Digitale del Politecnico di Milano fa il punto della situazione
Per la sanità il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) rappresenta un cambiamento imprescindibile, con i suoi investimenti complessivi di 15,6 miliardi di euro, in cui l’innovazione digitale gioca un ruolo fondamentale. Ma non si vede ancora un salto di qualità, nonostante i ricorrenti allarmi sulla carenza di personale medico negli ospedali, sulle difficoltà di accedere in tempi rapidi alle prestazioni del servizio sanitario nazionale, sulla evidente distanza tra offerta di servizi sanitari e domanda dei cittadini e dei pazienti.
Da qui prende le mosse la settima edizione dell’Osservatorio Sanità Digitale della School of Management del Politecnico di Milano, di cui GS1 Italy è partner. «L’utilizzo delle risorse legate al PNRR si sta rivelando una sfida dall’esito tutt’altro che scontato – afferma Mariano Corso, direttore dell’Osservatorio – anche se emergono alcuni segnali di attenzione e proseguono gli investimenti in sanità digitale. Secondo i direttori sanitari le barriere all’innovazione digitale sono rappresentate dalle limitate risorse economiche (58%), dalla poca chiarezza di come potranno essere utilizzate le risorse del PNRR (49%), dalla mancanza di cultura digitale (52%) e di competenze per utilizzare gli strumenti digitali (48%). Ma occorre fare attenzione: gli obiettivi del PNRR non riguardano la messa a disposizione di strumenti e la creazione di infrastrutture, ma sono riferiti all’adozione e all’utilizzo dei servizi. Quindi bisogna accelerare i progetti in essere, togliere le residue ambiguità normative e creare le condizioni di dialogo e di coordinamento tra i diversi livelli di governo ma anche creare le condizioni per cui la digitalizzazione diventi comportamento, processo, nuova modalità di cura».
La distanza con gli obiettivi del PNRR rimane ragguardevole, se si considera che nel 2022 la spesa per la sanità digitale in Italia è stata pari a 1,8 miliardi di euro (+ 7%rispetto al 2021, ma occorre tenere conto dell’effetto inflattivo). Tuttavia, nella previsione di investimenti per il 2023, i fondi per il PNRR dovrebbero avere impatti significativi in molti ambiti.
Figura 1 – Gli ambiti di investimento previsti dalle strutture sanitarie nel 2023Fonte: School of Management Politecnico di Milano “Osservatorio Sanità Digitale” 2023
Telemedicina e integrazione delle piattaforme
Tra questi diversi ambiti l’Osservatorio focalizza l’attenzione su alcuni in particolare. Uno di questi è la telemedicina. Dopo la flessione riscontrata nel periodo successivo all’emergenza sanitaria, i servizi di telemedicina stanno vivendo una nuova ripresa. Il 39% dei medici specialisti e il 41% dei medici di medicina generale afferma di aver utilizzato servizi di televisita e rispettivamente il 30% e il 39% ha fatto ricorso al telemonitoraggio.
È tuttavia decisamente più elevata la quota di entrambe le categorie di medici che dichiara interesse per il loro utilizzo in futuro.
Figura 2 - Televisita e telemonitoraggio: utilizzo e interesse dei mediciFonte: School of Management Politecnico di Milano “Osservatorio Sanità Digitale” 2023
Il nodo da sciogliere è quello dell’utilizzo di piattaforme dedicate perché, come afferma Giulio Siccardi, direttore UOC di Agenas, che a fine anno avvierà una piattaforma nazionale integrata con quelle regionali, «è necessario superare l’approccio volontaristico che ha visto crescere piattaforme non integrate», anche perché nel caso di strumenti non dedicati vi sono rischi legati alla sicurezza e alla privacy. «Poiché i pazienti sono pronti alla sanità digitale – prosegue Siccardi – bisogna fare in modo che aziende sanitarie e professionisti abbiano postazioni dedicate per la telemedicina con interventi di formazione per la conoscenza della cybersecurity. Nel contempo dobbiamo prevedere una comunicazione verso i cittadini-pazienti per generare fiducia e comprensione per un servizio che sarà omogeneo su tutto il territorio nazionale».
Come integrare la telemedicina nei processi di cura e assistenza superando l’utilizzo ancora sporadico? L’Osservatorio ha elaborato un modello di maturità per i servizi di telemedicina composto da quattro macro-ambiti:
- Tecnologie e applicazioni abilitanti: il 40% delle strutture sanitarie che offre servizi di Telemedicina lo fa attraverso diverse piattaforme non integrate tra loro.
- Raccolta e valorizzazione dei dati: solo nel 30% dei casi tali piattaforme sono integrate con altri sistemi aziendali (es. Cartella Clinica Elettronica, sistemi dipartimentali, ecc.).
- Ruoli, processi e organizzazione per la gestione dei servizi di telemedicina, ora utilizzati solo dal 24% dei medici specialisti.
- Cultura e competenze, in particolare rispetto ad alcune soft skill, tra cui la capacità di comunicare da remoto con il paziente.
«Emerge una forte necessità di integrazione tra i diversi sistemi per garantire un continuum della relazione di cura da ospedale a territorio», commenta Giovanni Antonio Checchia, proboviro di Simfer. «La sfida del futuro per la telemedicina è proprio l’integrazione dei dati che riguardano il paziente utilizzabili dall’interessato per avere coscienza sul proprio stato di salute e dai sanitari per una visione integrata degli aspetti sanitari e di quelli sociali, pensando per esempio alla cura degli anziani».
Proprio il tema dell’integrazione dei dati sanitari è al centro anche del progetto europeo European Health Data Space - Spazio europeo dei dati sanitari - che, tra gli obiettivi da raggiungere entro il 2030, prevede che tutti i cittadini europei possano accedere ai propri dati sanitari in formato digitale. Si tratta di un palinsesto di regole comuni, poggianti su dati certificati e sull’interoperabilità, nella forma di regolamento che dovrà essere negoziato tra Commissione e Parlamento europei.
Cartella clinica elettronica in ritardo
Il tema riguarda soprattutto la Cartella clinica elettronica (CCE), che si conferma una priorità per le strutture sanitarie (il 75% ritiene questo ambito molto rilevante). A oggi, il 42% delle strutture afferma di averne una attiva in tutti i reparti, mentre nel 23% dei casi è attiva solo parzialmente. Coerentemente con questo dato, solo la metà dei medici specialisti utilizza una CCE. Le funzionalità più diffuse sono quelle per l’anamnesi e l’inquadramento clinico e per la gestione e la visualizzazione delle informazioni di riepilogo sul paziente, mentre sono ancora poco diffuse quelle più avanzate, legate al supporto decisionale.
Elena Bottinelli, head of digital transition and transformation di Gruppo San Donato, che con cinquemila medici, quattro milioni di pazienti e 22 mila referti digitalizzati al mese è il più grande gruppo ospedaliero privato, riassume l’esperienza attualmente in corso di creazione di una piattaforma con un unico punto di accesso rispondente alle caratteristiche del fascicolo sanitario 2.0: «Il PNRR ci offre una visione a medio termine i cui obiettivi sono la copertura nazionale di tutte le prestazioni, l’importanza della standardizzazione e di un linguaggio comune, la gestione del dato e non più del documento e soprattutto che è necessario coinvolgere il paziente e lo specialista. Noi ci troviamo ogni giorno di fronte alla difficoltà di fare adottare questi sistemi all’interno delle strutture ospedaliere perché mancano ancora abitudine e familiarità al loro utilizzo. Ci sono poi problemi di privacy, vissuta come ostacolo alla user experience, quando si devono dare molteplici consensi. Dobbiamo insegnare a superare queste criticità, in particolare lavorare sulle competenze e sui gap tecnologici, revisionare i processi interni senza duplicare ciò che facciamo in analogico, modificare le abitudini».
La domanda dei cittadini e dei pazienti
Da parte dei cittadini aumenta comunque la richiesta di nuovi prodotti e servizi basati sul digitale in ambito sanitario. Se alcune delle tecnologie a supporto del paziente a domicilio sono già diffuse, come le app per la salute (utilizzate dal 38% dei pazienti cronici o con problematiche gravi, oltre l’80% dei quali le ritiene utili) o i dispositivi indossabili per monitorare i parametri clinici (29%), quelle più innovative destano la curiosità dei pazienti. Il 49% si dichiara interessato alle tecnologie di realtà virtuale o aumentata, il 47% agli assistenti vocali che forniscono informazioni e supporto in ambito salute, il 48% ai sensori per migliorare le abitazioni e il 42% ai robot assistivi.
Simile è il discorso per il Fascicolo sanitario elettronico la cui adozione con la pandemia da Coronavirus ha avuto ampia diffusione e che oggi è stabile: il 57% dei pazienti afferma di averlo utilizzato nel 2023, contro il 54% del 2022. Tra le principali funzionalità utilizzate, ci sono l’accesso ai referti e alle ricette elettroniche, mentre tra i servizi più interessanti per il futuro ci sono la possibilità di visualizzare l’andamento dei propri parametri clinici (67%) e di consultare informazioni specifiche sulla propria patologia (65%).
«Essendosi affievolita la necessità di utilizzare i servizi per l’emergenza Covid-19, c’è il rischio che questo strumento non guadagni ulteriore popolarità. Oltre a proseguire la realizzazione del fascicolo sanitario 2.0, che rappresenterà, il punto unico di accesso ai servizi di sanità digitale per i cittadini, alimentandolo in modo omogeneo e pervasivo di documenti e dati ed arricchendolo di servizi utili al cittadino, per spingere sull’adozione di questo strumento sarà necessario rendere maggiormente evidenti ai cittadini i benefici derivanti dal suo utilizzo», afferma Paolo Locatelli, responsabile scientifico dell’Osservatorio Sanità digitale.
Un capitolo particolare riguarda la comunicazione tra medico e paziente. Già oggi la maggior parte dei medici utilizza email e WhatsApp Messenger per comunicare con i propri pazienti, ma anche in questo caso il salto di qualità è costituito dalle app e dalle piattaforme dedicate, considerate una valida alternativa dal 33% dei medici specialisti, dal 38% dei medici di medicina generale e dal 40% degli infermieri. È una necessità evidenziata da Paolo Misericordia, segretario di Fimmg regionale Marche, quando afferma che «c’è necessità di separare la sfera professionale da quella privata. Bisogna anche educare gli assistiti a un corretto uso di questi canali razionalizzandone l’uso».
Secondo l’Osservatorio il 60% dei professionisti sanitari, infatti, considera le piattaforme di comunicazione dedicate all’uso sanitario tra gli strumenti di maggiore interesse per il futuro: la possibilità di avere su un unico strumento più funzionalità utili per la gestione dei pazienti e nel rispetto della privacy è tra i benefici maggiormente riconosciuti.
Intelligenza artificiale: maneggiare con cura
Un tema che appassiona e preoccupa per le implicazioni etiche e legali il mondo sanitario è quello dell’Intelligenza artificiale (Ai).
Appassiona anche i cittadini, soprattutto nella sua veste di Ai generativa (come ChatGPT), attraverso la quale vorrebbero recuperare informazioni sui problemi di salute e malattia (52%), sulla prevenzione e sui corretti stili di vita (39%), su farmaci e terapie (35%), su diagnosi in base ai sintomi (32%).
Il 59% degli specialisti e il 41% dei medici di medicina generale sostiene che gli strumenti di Ai possano aiutarli ad agevolare e a migliorare la propria attività professionale, e solo due medici su dieci sono preoccupati che l'Ai possa sostituire attività significative del proprio lavoro.
Figura 3 – Utilizzo da parte dei medici specialisti dell’intelligenza artificialeFonte: School of Management Politecnico di Milano, “Osservatorio Sanità Digitale” 2023
A oggi un medico su dieci ha utilizzato chatbot basati sull'intelligenza artificiale per cercare riferimenti scientifici rispetto a una determinata patologia, applicazione che per circa la metà dei medici è promettente per il futuro. Tuttavia oltre il 60% dei medici si preoccupa dell'uso inappropriato che il paziente potrebbe fare di strumenti Ai se utilizzati in autonomia e che l'Ai possa fornire consigli errati al paziente.
«L’Ai è uno strumento potente a supporto del medico nel lavoro amministrativo – aggiunge Elena Sini, group cio di GVM Care & Research – ma come supporto alle decisioni del medico è da maneggiare con cura perché le risposte cambiano da come vengono formulate le domande. Per i pazienti è un vero e proprio rischio perché l’intelligenza artificiale risponde apparentemente in maniera corretta ma fabbricando una conoscenza clinica inesistente. Di fronte a questa complessità l’unica risposta è quella di mettere a fattore comune le conoscenze».
A cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab