ChatGPT e retail: tra speranze e illusioni, indicazioni per i retailer italiani
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È ormai difficile contare con precisione i comunicati stampa che annunciano che il brand X integrerà l’AI (artificial intelligence - intelligenza artificiale) nel proprio servizio. In particolare, ogni retailer a cui interessa essere considerato “un tech brand” (normalmente ha effetti positivi sulla sua quotazione in Borsa) si è sentito in dovere di annunciare che il proprio front-end, una app o uno store online, era già (o sarebbe stato presto) potenziato dall’integrazione con ChatGPT. Parliamo di brand molto conosciuti come Expedia, Instacart, Klarna, Shopify, solo per rimanere nei confini del retail digitale.
L’intelligenza artificiale nel retail può avere applicazioni molto diverse, spesso invisibili agli occhi dei consumatori. Il retailer può utilizzare algoritmi e applicazioni che usano la AI per migliorare la pianificazione degli acquisti, la distribuzione logistica, l’ottimizzazione del livello dei prezzi e della scontistica.
Tuttavia la scena ormai è tutta per ChatGPT: il sito di AI generativa (di testi) ha assunto, almeno nell’immaginario collettivo, la reputazione di macchina onnisciente e “che capisce cosa vogliamo dire”, in grado di condurre un dialogo naturale senza troppi sforzi, di portarci rapidamente al nostro obiettivo. Che sia questo un poemetto in rima, una lista di istruzioni per farsi la piadina in casa, un programma dettagliato di viaggio in Calabria o un articolo giornalistico in cui si parla degli effetti di ChatGPT sul retail, l’oracolo sembra essere quasi sempre infallibile (sono tutti esempi che ho sperimentato davvero, tranne uno: questo articolo è scritto davvero da me). La stampa di settore, sull’onda dell’entusiasmo, e spesso basandosi acriticamente sugli annunci e sugli scarni video demo pubblicati dagli stessi brand, ha ulteriormente amplificato il buzz riguardo alla “nuova frontiera del retail nell’era dell’AI”, in cui ChatGPT sarà il nostro nuovo assistente agli acquisti, attivo 24 ore su 24.
Nei momenti di “irrazionale esuberanza” forse non è male essere prudenti o addirittura scettici: ci ricordiamo ancora la “chatbot era”, che dai proclami sembrava essere l’ineluttabile destino dell’e-commerce. A oggi possiamo dire che non è stato così. Anche la successiva hype del voice-commerce, cavalcata da innumerevoli brand implementando velocemente Skill vocali per Alexa e c., sembra non avere rispettato le aspettative, per usare un eufemismo.
Tuttavia, l’esperienza insegna che il fallimento nel passato non è di per sé indicatore di fallimento nel futuro. Dei primi social network si è persa la memoria. Eppure Meta, oggi, gestisce ogni mese miliardi di utenti. I primi e-book reader fecero quasi inorridire i lettori. Oggi il Kindle è uno degli strumenti più diffusi, e si potrebbe continuare.
Dunque, qual è la strada migliore per manager e innovatori per prevedere l’impatto che l’intelligenza artificiale avrà sul proprio modello di business? Secondo me bisogna ripartire dall’analisi del percorso di acquisto, in modalità cliente-centrica, capire in quali momenti del percorso questo tipo di AI può dare o meno un contributo al di là dell’hype temporanea, integrando il ragionamento e includendo la data-readiness della propria organizzazione, vera base di appoggio per qualsiasi innovazione, AI o meno.
Immaginiamo un retailer della GDO che decida di inserire nel proprio front-end (fase di acquisto vera e propria, dunque) un’interfaccia potenziata da ChatGPT, per aiutare gli utenti nella la spesa settimanale.
ChatGPT sarà probabilmente in grado di capire le richieste, il contesto, le necessità, i parametri di scelta “ottimali” del consumatore che si trova di fronte (promozionalità, prezzo, sostenibilità, preferenze di brand, ecc.), avendo sterminata conoscenza “orizzontale” del mercato, ma dovrà, per finalizzare la spesa, andare in “verticale” e dovrà far affidamento sulla struttura dei dati del retailer. Se questi dati non sono strutturati, completi e affidabili, il rischio che anche ChatGPT incappi in abbagli è elevato. Parlo, per essere chiaro, dei soliti e ben conosciuti errori in cui i siti dei retailer ricadono quando l’utente cerca direttamente il prodotto nel box di ricerca. Esempio cercato appositamente per questo articolo: cerco “biscotti” sul sito di un famoso retailer ed escono varie referenze di biscotti per… bambini, non certo rilevanti per il mio profilo. Con ChatGPT sarebbe andata meglio? Probabilmente avrebbe capito che non sto cercando biscotti per bambini, e capito che preferisco all’interno del biscotto le gocce di cioccolato, ma poi sarebbe riuscito a districarsi nel catalogo del retailer, avrebbe trovato i dati giusti per recuperare quel biscotto che piace a me, accedendo magari allo storico dei miei ordini e non solo a una ricerca per parole chiave? Un dubbio è lecito.
ChatGPT ha fondato la propria percepita onniscienza su un numero di dati, connessioni e parametri elevatissimo. Detto più semplicemente, la bontà statistica delle sue risposte è direttamente proporzionale al numero di combinazioni di dati a sua disposizione. Non esattamente la situazione in cui un retailer tradizionale si trova, al momento. Nemmeno la app di Shopify powered by ChatGPT, per la verità, in un mio test se l’è cavata benissimo nel distinguere le magliette dalle maniche lunghe da quelle a maniche corte, nonostante ChatGPT mi avesse fatto domande e dato indicazioni più che rilevanti. Ma l’esperimento non aveva, come si dice, carattere scientifico.
Nella fase di acquisto vera e propria, dunque, l’utilità della AI sarà proporzionale al dato che si troverà ad accedere lato retailer. Probabilmente per Instacart e altri player nativi il dato sarà più strutturato e accessibile rispetto alla media della GDO offline e online italiana. La AI quindi potrebbe determinare un ulteriore fattore di ritardo di alcuni retailer, non tanto per le sue capacità intrinseche, ma in quanto moltiplicatore rispetto alla “bontà” del dato a cui dovrebbe avere accesso.
Diverso potrebbe essere il suo ruolo in quei business in cui è fondamentale la fase di “esplorazione dell’acquisto”: per Expedia l’AI generativa potrebbe risolvere il problema dell’agenzia di viaggi “scalabile”. Ispirami, organizzami, proponimi un viaggio: non stavo scherzando, mi sono fatto organizzare un viaggio in Calabria da ChatGPT. Se l’è cavata molto bene, e ho risparmiato un sacco di tempo. Mi avesse proposto di prenotare gli alberghi segnalati per ogni tappa, penso avrei prenotato direttamente da lì.
Per la “vendita servita digitale” potrebbe essere una svolta? Il banconiere onnisciente, instancabile e digitale – potrebbe in effetti riprodurre una modalità di acquisto, quella dialogante, ancora prediletta da tantissimi consumatori in store. La prima ondata di chatbot era stata un fallimento, l’abbiamo visto, ma questa volta, con i giusti dati, capacità di connessione e computazione molto diverse, potrebbe andare diversamente. Ma, ancora, non per chi non avrà una solida base di dati da dare in pasto all’AI. Per il momento, l’AI se lo immagina così l’incontro al banco gastronomia (sì, è un testo originale generato da ChatGPT):
Cliente: Buongiorno, quali prosciutti crudi avete in promozione?
Bot: Buongiorno! Abbiamo Prosciutto di Parma (12 mesi, €40/kg), San Daniele (13 mesi, €42/kg) e Toscano (10 mesi, €35/kg).
Cliente: Cosa mi consigli per un aperitivo?
Bot: Consiglio Prosciutto di Parma o San Daniele, si abbinano bene con formaggi freschi e frutta.
Cliente: Prendo 150g di Parma e 150g di San Daniele. Costo totale?
Bot: In totale, costano €18,30. Desidera aggiungerli al carrello?
Cliente: Sì, aggiungi al carrello.
Bot: Aggiunti al carrello per €18,30. Continuare acquisti o procedere al checkout?
Cliente: Vado al checkout.
Bot: Inserisca dati per spedizione e pagamento. Grazie per aver scelto il nostro negozio online e buon aperitivo!
Cliente: Grazie, arrivederci!
Bot: Arrivederci e buona giornata! Contattaci per ulteriori informazioni o assistenza.
Non male, no? Chissà se saremo in grado di dire correttamente a ChatGPT quali prosciutti sono davvero in promozione nel nostro store. Sembra facile, ma non lo è.
Gianluca Diegoli è esperto di marketing digitale, marketing transformation, retail ed e-commerce.
Il suo blog è minimarketing.it