Collaborazione e dati per una nuova filiera agroalimentare
Tra i lasciti della pandemia c’è la consapevolezza, in molti protagonisti della filiera agroalimentare, che occorre gettare le basi per una sua evoluzione che ponga il consumatore al centro, con il supporto della tecnologia e della gestione dei dati
Collaborazione tra Industria e Distribuzione per rispondere più adeguatamente alle richieste dei consumatori in tema di sostenibilità, di educazione alimentare, di lotta allo spreco. Tra i lasciti della pandemia c’è la consapevolezza, in molti protagonisti della filiera agroalimentare, che un equilibrio si è spezzato e che occorra rimboccarsi le maniche, ognuno per la sua parte in un mutato spirito di collaborazione costruttiva, perché le regole del gioco sono cambiate, a partire dall’accelerazione dell’e-commerce e delle istanze di omnicanalità. Ed è tempo di scelte.
Nell’ultima edizione del Grocery Forum Europe di Retail Institute Italy si è discusso proprio della necessaria evoluzione dei rapporti di filiera, partendo però dal fatto che in Italia si sconta una mancanza di fondo.
«A fronte del peso economico e sociale – spiega Benedetta Brioschi, responsabile scenario Food&Retail The European House Ambrosetti – il retail non è riconosciuto né come settore economico unitario né dal punto di vista politico - e la distribuzione alimentare è un asset fondamentale per la competitività del paese per fatturato, numero di imprese, valore aggiunto, occupazione e perché dalla distribuzione moderna transita l’84% della spesa alimentare delle famiglie italiane: al contrario di quanto accade in molti paesi, l’Italia però non ha un Ministero dedicato al commercio».
Figura 1 – I numeri della distribuzione alimentare
Fonte: rielaborazione The European Housesu dati Istat, 2020
E ciò spiega le difficoltà, evidenti in questo anno e mezzo di gestione della pandemia, a far sentire la propria voce, nonostante il ruolo di primo piano svolto nel garantire la continuità dei rifornimenti alimentari delle famiglie. D’altro canto lo stesso “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, pur rappresentando un’opportunità da cogliere per il settore distributivo, non prevede interventi ad hoc nel retail.
Ma nell’analisi di Brioschi entrano altre considerazioni che spiegano la trasformazione alla quale è chiamato il retail: «In primo luogo l’integrazione del canale fisico con quello digitale che richiede un ripensamento dei modelli di business, dei punti vendita e degli spazi urbani». Secondo le stime di TEH Ambrosetti, il valore dell’e-commerce nel 2025 supererà i 100 miliardi, con un peso delle vendite online sul totale che lieviterà al 13,6% dal 4,7% attuale. Vi sono poi le preferenze dei consumatori in rapida trasformazione dall’acquisto del bene all’esperienza di consumo, dal possesso fisico all’accesso a un servizio. «Per il retail il rischio è un’eccessiva focalizzazione sul prodotto più che sulla funzione d’uso, con la competizione che si sposta su chi affronterà per primo questa sfida», mette in guardia Brioschi.
Verso un ecosistema più aperto
Un tema ripreso da Giuliano Noci, professore ordinario di Strategia & Marketing e prorettore del polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, che individua altri due fattori di contesto, oltre al passaggio dal prodotto all’esperienza, necessari per comprendere il passaggio esiziale per la distribuzione e per il sistema del consumo: «La pandemia ha favorito un’interazione più forte tra il consumatore e l’insegna o il produttore, che dovranno sempre più gestire i touch point digitali e fisici in maniera integrata, con il punto di vendita che si dovrà esaltare sempre più come spazio relazionale. L’altro fattore di contesto è il mondo cinese che ci mostra un’accelerazione di come i confini tra i vari player si sfumino, superando il paradigma della specializzazione con una traslazione della produzione verso lo shopper, della distribuzione verso la community e le relazioni, dei media verso l’e-commerce. La conseguenza è che la chiave per il futuro è l’omnichannel customer centricity, uno spazio di relazione con lo shopper: la GDO dovrà fornire soluzioni utili per lo specifico contesto dell’individuo. In questo quadro dovranno cambiare i rapporti di filiera, dovrà esserci un’apertura alla collaborazione esterna alla supply chain per favorire la nascita di un nuovo ecosistema e, infine, la gestione dei dati potrà giocare un ruolo chiave».
Dalla nuova situazione di cookie apocalypse possono derivare opportunità per il retail, con una riscoperta dei first party data, quelli della carta fedeltà. Lo afferma Giorgio Santambrogio, ceo Gruppo Végé: «Il ritorno ai dati Crm, forniti liberamente dai clienti, assume un aspetto importante se viene condiviso con l’Industria. In chiave di omnicanalità possiamo misurare la multifedeltà nei diversi touch point, secondo le caratteristiche e le categorie di acquisto». L’esercizio che VéGé sta sviluppando è quello di identificare, per le diverse aree territoriali identificate con i cap, gli indicatori socio demografici tradizionali e la propensione di acquisto online dei prodotti alimentari per quanto riguarda le domande, la pressione competitiva nella rete fisica e della concorrenza online per capire dove investigare con maggiore intensità. «Si possono ricreare così nuovi cluster incrociando le caratteristiche socio-demografiche con la propensione digitale per definire meglio su quali touch point investire prioritariamente», conclude Santambrogio.
Costruire nuove relazioni con il cliente è al centro dei pensieri di Conad, dalla messa a punto di una strategia d’insegna con i diversi format e con l’articolazione dell’offerta fisica e digitale al ridisegno dei piani di marketing sul cliente, con una maggiore attenzione alla territorialità. «Il punto di approdo – afferma Francesco Avanzini, direttore generale Conad– è una digital customer relationship che va oltre la semplice spesa a domicilio. L’obiettivo di questo nuovo ecosistema è costruire un rapporto con il cliente basato su una piattaforma digitale unica e integrata per offrire prodotti, servizi, esperienze e soluzioni per un’esperienza d’acquisto nella massima semplicità, rafforzando la brand loyalty». Se questa è la strategia, l’applicazione può avvenire su una piattaforma comune. «Occorre che i brand collaborino con una visione non monolitica ma congiunta, trovando una sintesi a priori, con minore contenuto di prodotto a vantaggio di una più ampia dimensione orientata al cliente. Solo con chi parla la stessa lingua si può pensare di procedere insieme», ammonisce Avanzini.
Il valore delle informazioni
C’è come un senso di urgenza ad affrontare i cambiamenti strutturali che non possono trovare le aziende impreparate. Lo si vede, per esempio nelle pratiche di sostenibilità. «Sebbene la gran parte delle imprese stia perseguendo pratiche di sostenibilità, spesso sono autoriferite, non riescono a generare scelte consapevoli nelle persone. Il bisogno di informazione sempre più denunciato dai consumatori può trovare una via d’uscita proprio nella collaborazione tra tutti gli attori della filiera», afferma Francesco Del Porto, president region Italy & global chief customer officer Barilla.
Sulla stessa lunghezza d’onda è anche Massimiliano Giansanti, presidente Confagricoltura, secondo il quale bisogna uscire dalla zona di confort per ragionare sui nuovi paradigmi digitali.
«Dobbiamo partire dal fatto che i giovani della generazione Z non prestano molta attenzione all’agroindustria, però i due terzi di loro chiedono di cambiare modelli produttivi per proteggere l’ambiente. Dobbiamo raccontare, tutti insieme, che cosa stiamo facendo, che per esempio l’agricoltura 4.0 è la quarta rivoluzione agricola (dopo quella genetica, meccanica e chimica), che consente di produrre meglio e di più secondo logiche di smart farming, preservando le risorse naturali. Per questo motivo bisogna fornire le informazioni al consumatore per fargli sapere che cosa sta mangiando. E l’e-commere per la GDO deve diventare anche un canale di comunicazione. Ma è tutta la filiera agroalimentare che deve essere considerata come un ecosistema: ne possono trarre benefici tutti gli attori, dalle grandi imprese coinvolte nel mercato globale, alle catene che possono essere più integrate, alla logistica con la creazione di ecodistretti a impatto zero». Confagricoltura, «consapevole del valore della conoscenza che diventa fattore di competitività» (Noci), ha creato per esempio una società di scopo per realizzare un data center con i dati prodotti dalle aziende agricole utili all’industria alimentare per veicolare informazioni ai consumatori.
«Sempre più l’orientamento delle imprese deve indirizzarsi verso obiettivi di interesse comune – aggiunge Del Porto – tracciando piani sinergici che vadano oltre la contrattazione verso modelli più virtuosi. La tecnologia nella ricerca costante del miglioramento fa diventare ordinario lo straordinario. Solo per quanto riguarda la sostenibilità pensiamo all’agricoltura di precisione, alla tracciabilità, alla connessione più efficace verso le persone. La pandemia ha insegnato che non si esce da soli dalla crisi. Oppure se ne resta intrappolati a lungo».
a cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab