sostenibilità

Per una filiera agroalimentare tracciabile e sostenibile

All’incontro organizzato da Campus Peroni, sostenibilità, tracciabilità e innovazione della filiera agroalimentare a sostegno della competitività e della trasparenza nei confronti del consumatore. L’uso della blockchain per raccontare i prodotti e l’importanza degli standard globali

Campus Peroni è il centro di eccellenza per la promozione e la diffusione della cultura della qualità, dell’innovazione e della sostenibilità in ambito agricolo e cerealicolo, nato nel 2018 dalla collaborazione tra Birra Peroni e Crea– Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria. Ogni anno organizza un convegno per stimolare un confronto aperto tra tutti gli attori del sistema agroalimentare e guardare al futuro, mettendo a fuoco le innovazioni che maggiormente contribuiranno all’evoluzione in chiave sostenibile della filiera e alla tutela del Made in Italy. Quello di quest’anno, ospitato in versione digitale da Ansa.it, ha messo al centro il tema della tracciabilità e della sostenibilità della filiera agricola legate all’innovazione tecnologica.

Quali le priorità di intervento per difendere e valorizzare la qualità delle produzioni Made in Italy e favorire l’innovazione coniugata alla sostenibilità?

Per Massimiliano Giansanti, presidente Confagricoltura è necessaria un’attenzione particolare alle potenzialità delle innovazioni per l’impiego di strumenti e tecnologie digitali. «La formazione per la ricerca e per il trasferimento tecnologico in agricoltura, potranno contribuire a raggiungere la sostenibilità del sistema agricolo e agroalimentare nazionale, se accompagnate da una concreta transizione istituzionale»

Che l’agricoltura italiana sia la più green d’Europa è un primato che sostiene anche il nostro export e che può essere ulteriormente valorizzato per conquistare nuovi mercati. «Ora però, per fare un vero salto di qualità sulla sostenibilità – afferma Ettore Prandini, presidente Coldiretti – è necessario fare un discorso complessivo a livello di paese e agire non solo sul comparto agricolo. Occorre un ragionamento ampio che incida anche sul sistema logistico integrato consentendo ai prodotti di arrivare in modo sostenibile sulle nostre tavole. Essenziale inoltre ricominciare a investire con decisione su formazione e ricerca, vitali per il futuro del sistema produttivo».

Ricerca, sperimentazione e innovazione sono quindi determinanti per l’aumento della qualità delle materie prime nella filiera della birra e in quella agroalimentare nel suo complesso.

Tracciabilità con la blockchain

Tra i progetti più innovativi in grado di valorizzare l’italianità la sostenibilità della filiera, e generare benefici in termini di competitività economica e trasparenza per l’intero comparto, vi è proprio quello di Birra Peroni, basato sulla tecnologia blockchain. «La nostra filiera – spiega Enrico Galasso, Amministratore Delegato Birra Peroni – coinvolge 1.500 agricoltori che coltivano 55 mila tonnellate di orzo distico da birra su 17 mila ettari. È nostra volontà creare un patrimonio sostenibile con questi attori e il nostro obiettivo, in quanto parte del gruppo Asahi che ne ha fatto uno degli elementi centrali della strategia Legacy 2030, è quello di utilizzare entro il 2030 il 100% delle materie prime coltivate in modo sostenibile. Naturalmente ciò significa rivedere i processi produttivi e di gestione del business quotidiano ed è ciò che da qualche anno stiamo facendo. Il passo successivo riguarda la trasparenza: da un lato abbiamo il consumatore sempre più sensibile ai temi legati all’origine del prodotto, alla qualità, alla sostenibilità, dall’altro c’è il mondo produttivo di Birra Peroni che da decenni ha costruito un modo sostenibile di operare con la propria filiera». Nasce così il percorso di tracciabilità utilizzando la tecnologia blockchain (su piattaforma Ethereum), dapprima con un progetto pilota e da queste settimane allargato a tutti i prodotti di Birra Peroni che utilizzano l’orzo distico trasformato in malto al 100%.

«Abbiamo ovviamente dovuto certificare tutte le informazioni di origine dell’orzo e tutti i processi produttivi dalla malteria fino ai nostri stabilimenti per rendere disponibili queste informazioni in modo molto semplice attraverso un QR code sull’etichetta della bottiglia. E il consumatore viene accompagnato nel percorso dell’orzo distico dalla terra alla tavola», conclude Galasso.

L’identificazione univoca contro la babele

Francesco Pugliese, presidente GS1 Italy, ha evidenziato come la standardizzazione delle informazioni sia essenziale per favorire un reale approccio alla trasparenza. «Non ci può essere nessuna trasparenza per il consumatore se non c’è omogeneità nel trattamento del dato.

Il codice a barre, nato cinquant’anni fa, identifica ogni singolo prodotto a livello globale e costituisce il fattore che abilita una serie di processi lungo la catena di fornitura e di tecnologie come la blockchain, che a sua volta consente di creare delle soluzioni per dialogare con il consumatore, come quella sviluppata da Peroni. Se noi oggi siamo in grado di identificare il pescato e di seguirne tutto il percorso da quando e dove viene catturato, messo sotto ghiaccio in quale barca, fino al banco di quale supermercato, lo dobbiamo al codice a barre. Non può esserci niente nella tracciabilità che non passi dalla standardizzazione dell’informazione. Lo vediamo anche con un tema d’attualità come i vaccini. Ogni confezione ha un codice Ean, un codice a barre, che consente di poter leggere dove e quando è stato prodotto, quando scade come stato trattato quel vaccino lungo la supply chain. Se non ci fosse quel codice standardizzato a livello globale sarebbe la babele».

La tecnologia, inoltre, è un fattore abilitante che dà senso e coerenza a ciò che fino a ieri nella reputazione della costruzione della marca era solamente una questione di marketing. Ed è esattamente il tema che aziende come Peroni stanno affrontando. «Fino a ieri era sufficiente stabile un legame di fiducia tra il marchio e il consumatore, semplicemente enunciandolo. Oggi non basta più dirlo. Bisogna farlo e certificarlo», conclude Pugliese.