La doppia sfida dell’Agrifood
In uno scenario di scarsità di cibo, acqua e suolo coltivabile, per l’agricoltura produrre di più con minori risorse diventa un obiettivo primario, raggiungibile con l’innovazione dell’agricoltura 4.0 e delle tecnologie genetiche
Covid-19, cambiamento climatico, sostenibilità sono il quadro dell’agricoltura nei prossimi anni perché dovrà riuscire a produrre di più consumando minori risorse. E lo potrà fare solo con le armi dell’innovazione tecnologica e digitale. È il messaggio della quinta edizione dell’Agrifgood Monitor Nomisma in partnership con Crif.
La crescita della popolazione mondiale (9,7 miliardi di persone previste nel 2050 contro 7,7 del 2019) e l’aumento del Pil, che nel 2023 sfiorerà o supererà il 50% in molti paesi con conseguente aumento dei redditi, che genererà una maggiore domanda di prodotti alimentari ad alto valore aggiunto, per l’agricoltura potrebbero essere notizie positive. «Ma il momento storico è complicato dal cambiamento climatico», spiega Denis Pantini, responsabile agroalimentare Nomisma. «In quarant’anni i disastri naturali sono aumentati del 242% e si stima che nel 2050 la superficie agricola mondiale a disposizione sarà di solo 0,1 ettaro pro capite contro 0,2 del 2012. E in Europa la superficie agricola a disposizione diminuirà di 500 mila ettari. Altro problema legato al clima è la scarsità di acqua. Si ritiene che la scarsità idrica sia determinata con prelievi tra il 20 e il 40% di tutte le risorse disponibili di acqua: in Italia è prelevato il 28% delle risorse disponibili, ma il settore agricolo ne utilizza da solo il 50%».
Da questa preoccupante visione, la Commissione Europea ha sviluppato il Green Deal, un piano d’azione che dovrebbe portare l’UE entro il 2050 alla neutralità climatica (zero emissioni nette di gas a effetto serra) e che, con le sottostanti strategie “From Farm to Fork” e “Biodiversity” individua gli obiettivi che dovranno incidere sensibilmente sulle attività agricole e alimentari. Qualche esempio: la riduzione entro il 2030 dell’uso degli agrofarmaci del 50%, dei fertilizzanti del 20%, l’aumento delle superfici a biologico fino al 25% nel 2030 dell’intera superficie agricola dell’Ue (l’Italia è ben messa, essendo al 16%). E poi ci sono gli interventi per garantire il benessere animale, la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare, l’adozione di un’etichettatura collegata a una migliore trasmissione dei valori lungo la filiera alimentare, favorire l’agricoltura di precisione e la digitalizzazione.
«Questo scenario ha implicazioni sul mercato dei prodotti agricoli e sul quadro di regolamentazione del settore particolarmente rilevanti per il nostro paese, perché in Italia consumi ed export agroalimentari sono in crescita nonostante la pandemia (+3,7% i consumi e +1,3% l’export nel 2020 sul 2019), ma per molte derrate primarie l’Italia non è autosufficiente. L’equilibrio tra un import agricolo cresciuto del 55% negli ultimi dieci anni, un export aumentato nello stesso periodo dell’80% e le trasformazioni indotte dal cambiamento climatico, la competitività raggiunta fino a oggi deve per forza coniugarsi con la sostenibilità. Un risultato possibile solo con l’innovazione», puntualizza Pantini.
Figura 1 – Import e tasso di autoapprovvigionamento dei prodotti agricoli in Italia
Fonte: Nomisma su dati Istat e Ismea
Competitività sostenibile
Un contributo importante per raggiungere l’obiettivo della competitività e della sostenibilità, producendo di più e consumando meno risorse, è quello di strumenti come l’agricoltura di precisione e le tecnologie di evoluzione assistita (miglioramento genetico).
Nel primo caso l’agricoltura 4.0, pur essendo ancora poco diffusa tra le aziende italiane, ove applicata permette non solo di recuperare efficienza grazie a risparmi nei costi di produzione che, per colture estensive come il frumento tenero, arrivano fino al 15% per ettaro, ma anche una maggiore produttività che può arrivare ad un +10%. Il che si traduce non solo in un incremento di redditività per l’agricoltore (sostenibilità economica) ma anche in un minor impatto ambientale, grazie all’uso di agrofarmaci, fertilizzanti e acqua in base alle reali necessità delle piante coltivate (sostenibilità ambientale). «Purtroppo – sottolinea Stefano Baldi, senior project manager Nomisma – la ridotta diffusione di tali innovazioni tecnologiche tra le aziende italiane deriva da diversi gap strutturali, comuni all’adozione di questo tipo di tecnologia. L’agricoltura italiana presenta una dimensione media ponderale di 11 ettari contro i 17 della media UE, una formazione agraria completa che riguarda solo il 6% dei conduttori contro il 9% dell’UE e un accesso a internet in aree rurali che interessa l’82% delle famiglie italiane residenti in tali zone rispetto alla media europea dell’86%. Le ridotte dimensioni d’azienda fanno sì che il vincolo economico-finanziario sia il principale ostacolo alla realizzazione di innovazione in azienda».
Per quanto riguarda le tecnologie per il miglioramento genetico si tratta di tecniche sostitutive di quelle tradizionali dell’incrocio: in particolare la cisgenesi per il trasferimento di geni intraspecie e il genoma editing. «In entrambi i casi sono più precise e più rapide di quelle tradizionali e non sono da confondere con le tecniche Ogm. Con queste nuove tecnologie di evoluzione assistita si ottengono miglioramenti genetici mirati come la tolleranza alla siccità e la resistenza agli attacchi dei parassiti», chiarisce Michele Morgante, professore ordinario di Genetica presso l’Università di Udine. «Va aggiunto che queste tecniche combinano produttività e sostenibilità preservando nel contempo la tradizione e la differenziazione agricola e alimentare italiane, che sono il nostro patrimonio. Per questo è importante spingere sul tasto di una vasta campagna di comunicazione verso i consumatori».
Vecchio e nuovo cibo
Da parte dei quali vi è infatti una certa diffidenza verso l’innovazione in agricoltura e il cibo prodotto, anche se la survey Nomisma-Agrifood Monitor ha messo in luce come i preconcetti derivano più dalla mancanza di una corretta comunicazione-informazione che da forme di integralismo alimentare.
Per il 46% degli italiani, i prodotti agroalimentari derivanti da aziende “tradizionali” vengono percepiti – a prescindere dall’effettivo consumo - di qualità superiore rispetto a quelli delle aziende più avanzate dal punto di vista tecnologico.
Molte convinzioni da parte degli italiani sulle innovazioni in agricoltura derivano però da una scarsa conoscenza, tanto da essere “ribaltate” una volta spiegate le funzioni dei miglioramenti tecnologici.
Figura 2 – L’importanza di spiegare e comunicare l’innovazione in agricoltura
Fonte: Nomisma “Survey Agrifood Monitor” 2021
Certo, non mancano gli irriducibili, quelli disposti a pagare di più pur di continuare ad avere prodotti da contadini meno avvezzi alla tecnologia (18%), così come un 13% si dice pronto a cambiare la propria dieta introducendo alimenti “alternativi” (come gli insetti o le alghe), un 5% disponibile a consumare cibi creati in laboratorio e un rimanente 10% indifferente all’origine territoriale e incline ad acquistare prodotti stranieri.
Ma a fronte di un futuro condizionato dai cambiamenti climatici e dalla necessità di attività produttive più sostenibili, non sembra esserci storia: il 54% dei consumatori reputa necessario un cambio di rotta per gli agricoltori italiani, attraverso investimenti in innovazione che permettano di affrontare la doppia sfida della competitività e sostenibilità.
a cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab