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Il consumatore di fronte allo scaffale, perplesso

Alcune riflessioni sul ruolo delle etichette e della comunicazione a scaffale e nel punto vendita nel webinar organizzato da Retail Institute

Composizione, origine, produzione locale, Made in Italy, biologico, compatibilità con regimi dietetici specifici, certificazioni e, non ultimo, impegno per sostenibilità e per il sociale, sono solo alcuni dei fattori tra i più distintivi di ciascun prodotto che il consumatore può leggere sull’etichetta prima dell’acquisto. In un contesto (il punto vendita) sempre più affollato con sempre meno tempo dedicato all’acquisto (uno dei lasciti della pandemia), orientare il consumatore nella scelta è un imperativo per il retail. Se n’à parlato nel corso del webinar La comunicazione a scaffale: l’importanza dell’ultimo miglio organizzato da Retail Institute Italia.

«È vero. La vita del consumatore davanti allo scaffale è sempre più complessa e solo il 19% dei prodotti presenta in etichetta un solo claim. Addirittura il 2% ne ha sette», conferma Marco Cuppini, research and communication director GS1 Italy, che ogni sei mesi nell’Osservatorio Immagino incrocia quanto compare sul pack dei prodotti di largo consumo con le vendite (l’ultima edizione relativa al primo semestre 2020 è stata appena resa disponibile e prende in considerazione 115 mila referenze, pari all’82% delle vendite nella GDO).

«Negli ultimi anni la tendenza ad aumentare le informazioni al consumatore era notevolmente cresciuta – riprende Cuppini – sia per le spinte del legislatore (l’obbligo di indicare la provenienza e il luogo di produzione, la dichiarazione nutrizionale prevista dalla legge 1169) sia perché le aziende, anche il retail in quanto titolare di prodotti MDD, hanno capito che l’etichetta è un media da utilizzare per comunicare ai consumatori tante informazioni relative al prodotto. Sia infine perché il cliente è sempre più affamato di queste informazioni per un acquisto più consapevole». E le informazioni sono così numerose che un produttore di pesce surgelato ha impostato uno spot su come leggere le tante informazioni presenti sulla confezione: la comunicazione sulla comunicazione.

Figura 1 – I claim presenti in etichetta 

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Da un paio di edizioni, poi, l’Osservatorio Immagino ha inserito anche i claim relativi a riciclabilità e sostenibilità, perché queste informazioni stanno entrando a forza negli spazi dell’etichetta. E a sua volta la pandemia sembra avere determinato la crescita delle vendite di quei prodotti che in etichetta presentano qualche beneficio nella lotta contro il Covid-19 per la difesa immunitaria dell’organismo o per la sicurezza contro germi e batteri.

«La domanda che ci si pone è se la tendenza alla completezza dell’informazione subirà un rallentamento a causa del Covid-19, visto che il tempo trascorso in negozio si è quasi dimezzato. Lo potremo rilevare nella prossima edizione, quella relativa al secondo semestre 2020. Di certo vi è che la ricchezza di informazione non deve correre il rischio di creare confusione, perché è una grande risorsa per tutti. Siamo di fronte a una grande complessità, ma è uno stimolo in più per ripensare all’esperienza d’acquisto in negozio», conclude Cuppini.

Troppa comunicazione nei punti vendita

Esperienze di acquisto sicure e veloci sono al centro delle riflessioni dei retailer. Ne rende conto Mario La Viola, direttore marketing, format, rete e sviluppo Crai, che aggiunge alla complessità di cui sopra una rete composta da duemila punti vendita dai 200 ai 1.800 metri quadrati su tutto il territorio nazionale, con una forte caratterizzazione territoriale: «Ciò ci costringe ad avere format chiari ma non rigidi, perché i punti focali del negozio da Sud a Nord cambiano. Aggiungiamo che dopo cinque anni i negozi sono vecchi. Ma a parte l’hardware, gli arredi, che sono elementi strutturali su cui si interviene periodicamente, il software è rappresentato dalla comunicazione. Ecco, oggi c’è bisogno di maggiore razionalizzazione, di maggiore pulizia nei messaggi da dare al cliente, pur trovando l’equilibrio con una certa teatralizzazione in grado di suscitare emozione. Un eccesso di messaggi ha l’effetto di non farne passare nemmeno uno».

Concorda Francesca Repossi, responsabile marketing Vegé, un gruppo che invece è multinsegna e per questo motivo lavora, per i prodotti a marchio, sulla caratterizzazione del packaging e dell’etichetta: «L’obiettivo è comunicare il più possibile con la massima semplicità, anche dal punto di vista cromatico. E poi, proprio in virtù della riduzione del tempo dedicato alla spesa, il QR code presente sulle confezioni è un mezzo che, oltre al claim, consente al cliente di approfondire le informazioni a casa. Essendo Vegè multinsegna, la costruzione della brand awareness è un processo che va al di là dell’ingresso in negozio. Dove, peraltro, occorre calibrare e armonizzare la comunicazione, senza eccedere nell’uso dei media a disposizione, tecnologie comprese».

Insomma nel futuro la sfida che attende il retail è quella della maggiore armonia comunicativa con un utilizzo bilanciato degli strumenti, anche digitali, non scevra da una razionalizzazione degli assortimenti, nel rispetto di una forte coerenza con le promesse dell’insegna. Sempre pandemia permettendo.

a cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab