La più intensa recessione di sempre in Usa, Europa e Italia
l'opinione di
Nel peggior trimestre di sempre nelle economie occidentali, il Pil dell’Eurozona si contrae più di quello americano. Ma, nonostante il lockdown e l’efficacia solo parziale degli aiuti, l’Italia riesce a contenere il calo a un -12,4%.
Aprile-giugno 2020: il peggiore trimestre delle economie occidentali
Con la fine di giugno si è chiuso il peggior trimestre per la crescita delle economie occidentali da quando esistono dati trimestrali calcolati con una metodologia coerente tra paesi.
Le stime preliminari del Pil dei principali paesi per il secondo trimestre 2020 riportate nella tabella 1 (seconda colonna) mostrano segni meno a due cifre per i più grandi paesi europei e per l’area euro, oltre a un appena meno drammatico -9,5% per l’economia americana (riportato dal Bureau of Economic Analysis e quindi sui media in termini annualizzati come un meno 32,9%). In tutti i casi comunque si tratta di dati senza precedenti e che si aggiungono ai numeri già pesantemente negativi registrati nel primo trimestre dell’anno (e riportati nella prima colonna della tabella). Combinando le variazioni dei due trimestri si può calcolare la perdita di Pil a metà 2020 rispetto alla fine del 2019 (al netto delle componenti stagionali e di calendario). I dati (terza colonna) mostrano perdite cumulate di circa 10 punti percentuali negli Stati Uniti e per una media di circa 15 punti percentuali per i paesi europei. Quindi – utile precisarlo – a causa del Covid, l’economia Usa si è finora contratta meno di quelle europee. All’interno della zona euro la Germania è il paese meno colpito (-12%) e la Spagna quello più colpito (quasi 23 punti percentuali di calo del Pil), con Italia e Francia che subiscono cali compresi tra 17 e 18 punti. Se le previsioni degli analisti saranno confermate, il calo di Pil più marcato sarà registrato nel Regno Unito. Dai dati del secondo trimestre emerge invece che la Cina – l’economia più colpita nel primo trimestre – ha interamente recuperato la perdita grazie al rapido recupero sperimentato nel periodo aprile-giugno.
Sono dati molto peggiori rispetto ai trimestri successivi al fallimento di Lehman Brothers nel quarto trimestre 2008 e nel primo trimestre 2009. Allora il calo cumulato del Pil Usa e dell’Eurozona fu rispettivamente del 3,2 e del 4,8%. Anche in quell’occasione – come oggi – e nonostante che allora la crisi fosse partita nei mercati finanziari e immobiliari Usa, l’economia americana ebbe a subire una minor riduzione del Pil rispetto all’Europa.
Tabella 1 - La crescita del Pil in volume nelle principali economie, primo e secondo trimestre 2020
Spiegazione: nelle colonne 1 e 2 sono riportate le variazioni percentuali rispetto al trimestre precedente (dati destagionalizzati, al netto dell’inflazione). Nella colonna 3 è riportato il livello del Pil nel secondo trimestre rapportato al livello del quarto trimestre 2019 (posto pari a 100).
Fonte: uffici statistici nazionali
Ma i dati mensili mostrano la ripresa in arrivo
È tuttavia molto improbabile che – sulla base delle informazioni sanitarie oggi disponibili – statistiche tanto negative sulla crescita abbiano duraturi effetti negativi sulle borse. Essenzialmente perché la politica – anche quella europea – è da subito scesa in campo con politiche di sostegno all’economia anche queste senza precedenti e che stanno producendo qualche frutto, almeno sulla base dei primi indicatori relativi al mese di luglio.
Qui va ricordato che il Pil viene calcolato sui trimestri ma esistono altri indicatori mensili che forniscono informazioni sull’evoluzione della variabile nascosta “Pil mensile” che in questo periodo ha subito oscillazioni ben più ampie del solito e a cavallo tra trimestri diversi. Il più affidabile tra gli indicatori che tracciano con precisione e puntualità questi andamenti mensili è l’indice Pmi (Purchasing Manager Index) aggiornato mensilmente dalla società Markit sulla base delle interviste a un – relativamente piccolo ma evidentemente significativo – gruppo di responsabili degli acquisti delle aziende manifatturiere e dei servizi. La media trimestrale dei valori di tale indice presenta un’elevata correlazione positiva con le variazioni del Pil trimestrale.
Il dato positivo è che dai dati di luglio di questo indice arrivano alcune buone notizie. La prima buona notizia è che negli Usa – l’economia che ancora oggi traina l’economia mondiale – l’indice Pmi per l’intera economia (Figura 1) mostra un dato esattamente pari a 50 nel mese di luglio: in netto e rapido aumento rispetto al suo valore minimo di aprile (un magro 27) e pari alla soglia (50 appunto) in corrispondenza della quale si può alimentare la speranza di un ritorno a una crescita positiva sul terzo trimestre. Beninteso: in assenza di nuovi lockdown generalizzati e malgrado il ritorno di lockdown locali (dovuti alla crescita nel numero dei contagiati) abbia già cominciato a riflettersi in un nuovo aumento nel numero dei richiedenti per la prima volta dei sussidi di disoccupazione.
Figura 1 – L’indice Pmi composito per gli Stati Uniti
Dati ancora migliori arrivano dal Pmi composito dell’Eurozona. La Figura 2 mostra il progressivo recupero di maggio, giugno e luglio rispetto al minimo di aprile. Tali recuperi riportano i valori del Pmi ben al di sopra della soglia di 50. A giugno il Pmi valeva poco meno di 49, ma poi nel mese di luglio il dato è schizzato su vicino a 55, battendo le aspettative degli analisti. Se agosto e settembre confermassero il dato di luglio, sarebbe normale aspettarsi un ritorno a un buon rimbalzo (ben superiore a un più zero virgola) nel terzo trimestre dell’anno.
Figura 2 – L’indice Pmi composito per l'Eurozona
Guardando ai dati dei singoli paesi finora disponibili, il dato dell’area euro risulta trainato dagli ottimi numeri riportati per Germania e Francia dove l’indice Pmi composito è risultato pari rispettivamente a 55,5 e 57,6. I dati sul Pmi composito di Italia e Spagna non sono ancora disponibili e saranno pubblicati nella prima settimana di agosto ma è legittimo aspettarsi dati positivi per quanto di minore intensità rispetto a quelli tedeschi e francesi. Un altro dato rilevante è che i risultati delle interviste ai manager sembrano essere particolarmente positivi per il settore dei servizi – quello più duramente colpito (nel trasporto aereo, marittimo e stradale, nel turismo, nella hotellerie e ristorazione) dalla crisi post-Covid.
E l’Italia?
Infine qualche parola di commento sui dati italiani. La prima cosa da dire è che l’economia italiana andava a un passo lento già prima del Covid: sono venticinque anni che il Pil dell’Italia cresce mediamente di un punto percentuale in meno rispetto alla media dell’Eurozona. Se la base di partenza è lo zero virgola, anche quando arriva la ripresa dopo una crisi, la ripartenza sconta questo minor traino di crescita strutturale (causata dai “soliti noti”: troppa burocrazia, eccessiva tassazione, eccessiva protezione garantita dalla politica a una parte della società italiana a discapito dell’altra non protetta). Oltre a tutto questo sui dati dell’Italia di questo periodo pesano però altri due fattori il cui ruolo potrà essere misurato con maggiore precisione nel corso del tempo. Il primo elemento in negativo è che l’Italia è stato il paese colpito per primo dal diffondersi del virus. A causa di ciò, il governo ha dovuto – e ha fatto bene a farlo – introdurre per primo il lockdown, oltretutto con misure più dure che altrove. Chi oggi stupidamente si lamenta del peso del lockdown per l’economia dimentica di considerare che cosa sarebbe successo senza il lockdown: un disastro sociale molto peggiore. Oggi visibile in Brasile e in alcuni stati degli Stati Uniti.
Un secondo elemento su cui riflettere riguarda l’appropriatezza e l’efficacia delle misure economiche di aiuto e rilancio introdotte dal governo (in attesa degli aiuti europei). Si è letto ovunque di misure di contenimento della recessione arrivati in ritardo rispetto al necessario. La cassa integrazione in deroga – strumento necessario per assistere i lavoratori non coperti dalla cassa integrazione ordinaria – è arrivata tardi. Inizialmente gli aiuti pubblici alle imprese che perdevano fatturato hanno assunto la forma di garanzie intermediate dalle banche che – essendo anch’esse imprese – hanno tardato a trasmetterli alle imprese ultime e vere destinatarie dell’assistenza. Ed è anche mancato un piano davvero rapido e coerente di sostegno alla filiera del turismo. Ma nel complesso le risorse erogate sono anche maggiori che in altri paesi e qualche errore di attuazione è stato rivisto nel corso del tempo (e con i nuovi decreti). Per le prossime settimane rimane l’esigenza di scegliere quali riforme attuare e in che ordine, in modo da beneficiare dei fondi europei nel corso del 2021 mentre per il 2020 rimane l’esigenza di concentrare gli aiuti sui settori e le aree del paese che continuano ad avere bisogno di aiuti di emergenza.
Tratto dal sito lavoce.info