economia

Italiani alla ricerca di una via d’uscita

Ritratto italiano del Rapporto Censis

ItaliaPovera.pngGiunto alla 53ª edizione, il Rapporto Censis interpreta i più significativi fenomeni socio-economici del paese nella fase di eccezionale trasformazione che stiamo vivendo da un decennio.

Le considerazioni generali introducono il Rapporto descrivendo le piastre di sostegno, i soggetti e i processi per arginare la deriva verso il basso.

Nella seconda parte, la società italiana al 2019, vengono affrontati i temi di maggiore interesse emersi nel corso dell’anno in una società ansiosa macerata dalla sfiducia: la solitaria difesa di se stessi degli italiani ‒ esito del furore di vivere e di stratagemmi individuali per difendersi dalla scomparsa del futuro ‒, le responsabilità collettive eluse, ma anche i grumi di nuovo sviluppo.

Nella terza e quarta parte si presentano le analisi per settori: la formazione, il lavoro e la rappresentanza, il welfare e la sanità, il territorio e le reti, i soggetti e i processi economici, i media e la comunicazione, la sicurezza e la cittadinanza.

Ecco una sintesi delle considerazioni generali.

Argini al declino

Si chiude un decennio che, negli spazi vuoti d’iniziativa e di responsabilità collettive, lascia aperta la possibilità di rinnovamento e di nuovo sviluppo.
È stato un tempo segnato dal rincorrersi di avvisi su una imminente frattura sociale, sul perdurare della crisi dell’occupazione e dei redditi, sulla perdita di tenuta delle istituzioni nazionali e locali, sulla fragilità del territorio e delle sue infrastrutture. Ma abbiamo visto in questi mesi l’accentuarsi di reazioni positive, di contrapposizione a una prospettiva di declino.

La società italiana ha guardato a lungo inerte al cedimento delle sue strutture portanti. A questo cedimento, puntellando se stesso, ora il paese sta cercando una soluzione. L’anno che si va chiudendo segna, infatti, l’inizio di un diverso modo di osservare l’orizzonte e rafforza l’impressione che l’adeguamento verso il basso non può proseguire senza limiti, senza porre argini o individuare punti di sostegno per frenare lo sgretolamento, per provare ad ancorarsi e tentare un cambio di direzione.

Piastre di sostegno e muretti a secco

Il franare è stato in parte interrotto grazie alla ricostruzione di alcune piastre di sostegno cui ancorare non una nuova fase di crescita, ma almeno un cambio di rotta.

Una prima piastra di sostegno è nella dimensione manifatturiera del nostro sistema produttivo e nella sua capacità di innovare e, almeno in parte, trainare la crescita. Le nubi nere all’orizzonte dell’economia mondiale e le ipotesi di una nuova guerra dei dazi e delle valute alimentano tanti interrogativi sulla capacità di resistenza delle industrie italiane, ma non c’è dubbio che nell’arena internazionale il nostro paese, con le sue fabbriche, esprime ancora un’idea forte di qualità e capacità competitiva.

Una seconda piastra di ancoraggio è nel consolidamento strutturale in alcune aree geografiche vaste del nostro paese: dal nuovo triangolo industriale tra Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna alla fascia dorsale lungo l’Adriatico. Con un tasso di crescita del prodotto interno e dei consumi paragonabile alle migliori regioni europee, la riaffermazione della base geografica dello sviluppo, anche quando è a scapito di altre parti del paese, segnala che l’appartenenza territoriale ridona vigore alla crescita.

La terza piastra è la nuova sensibilità per i problemi del clima, della qualità ambientale e della tutela del territorio, anche in risposta a stimoli non solo interni. Restano certo irrisolti i nostri problemi di fragilità strutturale dell’ambiente naturale e costruito, ma è fuor di dubbio che la speranza di provare a metterci mano muove a una spontanea e diffusa partecipazione. È una quarta ipotesi di piastra di ancoraggio, per quanto più incerta, la rimessa in circuito del risparmio privato. La liquidità disponibile delle famiglie ha permesso una sostanziale tenuta sociale, a fronte di risorse pubbliche sempre meno adeguate e meno efficienti.

Un’ultima piastra di sostegno la si vede nella dimensione europea: sempre meno si addossano ai processi di convergenza europea le responsabilità delle difficoltà nazionali e locali, e sempre più si alimenta il dibattito sulla capacità delle istituzioni comunitarie di rinnovare contenuti e mezzi dello sviluppo.

Si rileva una multiforme messa in opera di infrastrutture di contenimento dei fenomeni erosivi, dunque, generata dalla difesa solitaria dei singoli, grazie a processi temporanei e tempestivi di appoggio: tanti muretti in pietra a secco.

Ne sono esempi la fitta rete di incubatori e acceleratori di imprese innovative nei quali diverse migliaia di giovani tentano una esperienza imprenditoriale, dove una buona intuizione può diventare una buona impresa. O i tanti festival, sagre, eventi culturali di ogni genere e scopo, senza che vi sia in pratica città o borgo che non ne progetti o organizzi uno. Sono eventi che valgono come affermazione di identità e di comunità locale, una occasione economica per l’attrazione turistica, un luogo di elaborazione di prospettive e di confronto intellettuale.

Sono esempi di muretti a secco, ancora, alcuni segmenti produttivi capaci di resistere alla crisi e rilanciarsi affermando un primato mondiale per design, tecniche costruttive, sapienza artigianale applicata su scala industriale, in nicchie dell’export mondiale nella produzione di super yacht, di vernici e materiali innovativi per l’edilizia, di componentistica minuta ma ad alta tecnologia per le automobili o l’aerospazio, per citarne solo alcuni.

Il ritorno a una dimensione collettiva

Arrivare a immaginare che nella reazione alla regressione la dimensione strutturale – le piastre – o quella di provvisorio sostegno – i muretti – possono diventare le basi di un ritorno a una dimensione sociale e collettiva è un errore di prospettiva. Il decennio ha lasciato indietro, senza risolverlo, l’interrogativo su come si possano dare tempi, luoghi e strumenti di bilanciamento tra risposte ai bisogni di base e nuova alimentazione delle ambizioni individuali. Ora osserviamo i primi segnali di un tentativo di rinegoziazione dei meccanismi e degli interessi individuali e collettivi. Vedremo se la fase negoziale che si va aprendo comporterà anche una logica di nuova confederalità della rappresentanza o se, al contrario, è passato il tempo dei corpi intermedi.

I limiti della politica attuale sono nella rassegnazione a non decidere. Tante, troppe riforme strutturali sono state annunciate, ma mai concretamente avviate: nella scuola, nella giustizia, nella sanità, nella fiscalità, nel quadro istituzionale. Lo scenario nel quale ci muoviamo è affollato da non decisioni: sul contenimento della pressione migratoria, sulla digitalizzazione, sulla politica tributaria, sulle concessioni e sui lavori per le grandi infrastrutture di rete, sui servizi idrici o per i rifiuti, sulla collocazione delle scorie nucleari. Non per aver scelto, ma per non averlo fatto, la politica ha fallito e ha smarrito se stessa.

La consapevolezza che la sfiducia sembra prevalere non basta a offuscare lo sguardo e il bisogno di reagire e guardare avanti. I segnali di contrapposizione a un racconto al ribasso sono ancora deboli. Ma nella reazione al vortice della crisi e nell’avvio di nuovi e diversi processi di consolidamento dello sviluppo il popolo si sta aprendo alla speranza e, se così sarà, la storia gli lascerà strada

Consumi al palo

Dopo quattro anni di crescita debole, il 44,8% degli italiani prevede un futuro sereno per la propria famiglia, mentre la percentuale scende al 21,5% con riferimento al destino del paese. Paura, inquietudine, preoccupazione si applicano dunque al paese e ai suoi scenari evolutivi molto più che alla propria famiglia. Le ricette per fronteggiare la situazione suggerite dagli italiani sono: favorire gli investimenti privati con incentivi e sgravi fiscali per le imprese (64,9%), riduzione degli impedimenti burocratici (17,2%), rafforzamento degli investimenti pubblici (17,9%).