Addio e-commerce. Benvenuto digital retail
L’ultima edizione di Netcomm Forum manda un messaggio chiaro: mentre si conferma la crescita dell’e-commerce in Italia, il consumatore impone il superamento della divisione tra i canali.
Nella due giorni milanese di Netcomm Forum, che celebra la continua avanzata del commercio elettronico in Italia – 31,5 miliardi di euro di acquisti, in crescita del 15% sul 2008 e una quota sul totale degli acquisti retail del 7% (ma l’e-commerce pesa per il 60% della crescita nel mercato retail) – emergono anche degli aspetti sui quali è opportuno puntare l’attenzione.
Luca Attias, commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale, non usa mezzi termini e parla di una vera e propria “emergenza digitale” nel nostro paese, dove con la digitalizzazione c‘è sempre stato un rapporto difficile. Certo, il punto di vista è quello della pubblica amministrazione, dove la frammentazione la fa da padrona: 11 mila data center che non si parlano tra di loro, duplicazione delle applicazioni, un calvario per chi si avventura nel ginepraio. Eppure siamo il paese con il maggior numero di smartphone, ma a dominare è quella che Attias definisce inconsapevolezza, tanto che l’emergenza digitale pervade tutte le altre emergenze e inefficienze italiane, dall’evasione allo spreco (basti pensare al costo energetico di 11 mila data center) passando per la corruzione. «Vi è una correlazione lineare – spiega Attias – tra il Corruption perception index (l’Italia è al cinquantatreesimo posto, il venticinquesimo in Europa) di Transparency International e il Digital economy and society index dell’Unione europea, che vede l’Italia saldamente ancorata da diversi anni al quartultimo posto: a un indice di minor corruzione corrisponde un alto indice di digitalizzazione».
Figura 1 - Relazione tra sviluppo digitale e corruzione nell’Unione europea
Fonte: Corte dei Conti
E l’inconsapevolezza è anche alla base del digital divide, nonostante in Italia ci sia il più alto numero di smartphone al mondo rispetto alla popolazione. Manca un’intelligenza di sistema che porti a un processo di sanificazione. Con una corretta politica del digitale in Italia che rimetta al centro della questione anche l’etica e la consapevolezza, perché non siamo solo consumatori ma cittadini, la corruzione nel nostro paese avrebbe un ridimensionamento significativo, è la sollecitazione di Attias.
Un gap di competenze digitali
Se si considera poi la digitalizzazione nel sistema delle imprese e il commercio elettronico, Roberto Liscia, presidente di Netcomm, mette sul tavolo alcune questioni che si collegano a quanto detto sopra. «Sempre secondo il Desi Index, rispetto agli altri paesi europei l’Italia detiene la quota di popolazione che compra online più bassa in assoluto: solo il 44% degli italiani acquista online, contro il 68% della popolazione europea. Non solo, l’Italia si aggiudica l’ultimo posto anche in termini di competitività nel settore dell’e-commerce».
È un gioco di intrecci che mette in rilevo proprio le competenze. In primis del marketing. Netcomm ha rilevato che dal 2011 al 2018 le tecnologie per il marketing sono passate da 150 a 7 mila in oltre 35 tra canali e approcci analizzati.
«Questo ritardo – spiega ancora Liscia – si può spiegare infatti nella correlazione diretta tra le competenze digitali di un paese e la competitività delle aziende. Solo il 10% delle imprese italiane, infatti, vende online proprio per la scarsa capacità di applicare le tecnologie disponibili per espandere il proprio business. E molto spesso si affida alle grandi piattaforme. Gli e-shopper, che hanno esigenze sempre più puntuali e personalizzate, comprano all’estero proprio perché in Italia non trovano un’offerta che risponda in modo efficiente alla propria domanda».
Le vendite dai siti italiani in Italia e all’estero, infatti, raggiunge i 28,7 miliardi di euro (24,3 più 4,4 rispettivamente) in crescita del 16% sul 2018. L’import da siti stranieri è pari a 7,3 miliardi di euro, anche questo in costante crescita. «Essendo scarsa la competenza digitale nel Paese, la prima a soffrirne è la capacità delle PMI, che sono il motore del sistema industriale italiano, di sviluppare l’e-commerce», aggiunge Liscia.
Figura 2 - Rapporto tra sistema di competenze ed e-commerce delle PMI
Fonte: Netcomm
È un ritardo che con l’avvento delle tecnologie innovative, come il machine learning e l’intelligenza artificiale (AI), rischia di aggravarsi ancora di più. «Il 2019 è l’anno decisivo per le imprese che intendono investire in tecnologie – precisa Liscia – consentendo così al sistema italiano di svolgere un ruolo decisivo nella trasformazione digitale in atto, anche a livello internazionale. La svolta è imprescindibile e gli investimenti in formazione per accrescere le competenze digitali nel nostro paese saranno fondamentali. È sempre più urgente, infine, avviare un piano concreto di definizione e creazione di distretti digitali, affinché l’Italia possa incrementare il suo livello di competitività e di crescita dell’export nell’e-commerce».
La crescente complessità dell’ecosistema digitale e dei suoi riflessi nell’e-commerce è riscontrabile in alcuni temi chiave.
Motore di innovazione
Il primo è che nel retail il consolidamento dei modelli multicanale è ormai una realtà. «Gli ex pure player oggi si muovono in una logica multicanale – sottolinea Alessandro Perego, direttore scientifico degli Osservatori Digital Innovation - School of Management del Politecnico di Milano – cercando di stabilire un contatto fisico con i clienti e, d’altro canto, i retailer tradizionali abilitano modelli omnicanale. In sostanza l’e-commerce è sempre più percepito come complementare al canale fisico: il negozio è il luogo delle relazioni, il primo è destinato all’acquisto». Tuttavia, il ricercatore puntualizza quanto l’e-commerce sia una spinta all’innovazione per il mondo del retail in generale. Molte innovazioni infatti che toccano il retail tradizionale sono nate online.
Tanto che la definizione stessa di commercio elettronico è sostituita da quella di commercio digitale. Lo chiarisce bene la ricerca Netcomm-Diennea, che ha indagato l’attitudine comportamentale nei processi di acquisto del consumatore, sia online sia offline, riposizionando tali comportamenti rispetto al customer journey. «Se l’e-commerce così come lo si concepiva fino a qualche anno fa sta cambiando - commenta Liscia – è perché a cambiare è stato in primis il consumatore: basti pensare che la distinzione stessa tra acquisto in un punto fisico o online non esiste nemmeno più tra i millennials o la generazione z. I consumatori oggi si aspettano, online e offline, sempre che la divisione abbia ancora senso di esistere , esattamente gli stessi servizi e lo stesso tipo di esperienza».
Il moltiplicarsi dei touchpoint
La ricerca mette in evidenza quali sono gli strumenti più utilizzati dai clienti per ottenere maggiori informazioni sul prodotto.
Sono tutti online i primi tre touchpoint più utilizzati dai consumatori: al primo posto i motori di ricerca (19%), seguono il sito del brand stesso (17,3%) e i siti di comparatori di prezzi (17,1%). Prima di procedere con un acquisto online, inoltre, i consumatori attivano in media 1,6 touchpoint, un numero che per gli acquisti offline si attesta intorno allo 0,9. Si tratta di un dato particolarmente rilevante per i retailer, che devono tenere in considerazione l’importanza dei canali che controllano, dai siti web, ai canali social, ai blog e i forum, tutti canali strategici per entrare in contatto con il consumatore digitale.
Figura 3 - I primi 10 touchpoint rilevanti per gli acquisti online
Fonte: Netcomm-Diennea
Figura 4 - I primi 10 touchpoint rilevanti per gli acquisti offline
Fonte: Netcomm-Diennea
«Attraverso questa ricerca abbiamo delineato quali sono i risvolti tangibili per i retailer – dichiara Florida Farruku, general manager Diennea – abbiamo rintracciato 8 tipologie di consumatori differenti, individuando i touchpoint utilizzati dagli stessi e il percepito di ciascuno. Tuttavia, la prospettiva che abbiamo adottato è quella delle aziende che, da un lato, devono relazionarsi con consumatori dalle esigenze in continua evoluzione e sempre più diverse tra loro, dall’altro, devono fronteggiare una concorrenza sulla linea della personalizzazione e della comprensione dei propri consumatori attraverso un approccio data-driven».
Sulla base di tre dimensioni del comportamento di acquisto, ossia i touchpoint utilizzati, i trigger e il canale con cui si è finalizzato l’acquisto (online/offline), sono state individuati 8 cluster differenti di consumatore:
- One stop shop (39,2%): per questo profilo di consumatore, l’acquisto online è la risposta a un bisogno e non è preceduto da un percorso di orientamento, né offline, né online.
- Don Chisciotte (13,1%): ha un percorso di orientamento articolato e prevalentemente online, molto influenzato dagli altri utenti e dalle recensioni.
- Online, no grazie (12,8%): sono quelli che acquistano solo in negozio, mai online. L’acquisto non è quasi mai preceduto da un processo di orientamento e informazione ed è “immune” a stimoli push.
- Da influencer a influenceable (9,5%): per questo tipo di consumatore, sia l’acquisto, sia il processo di orientamento avviene prevalentemente tramite canali offline e media tradizionali, ed è molto attento al parere degli “esperti”.
- I stick to the offline (7,7%) sono quelli che utilizzano con disinvoltura i touchpoint digitali per orientarsi nei suoi acquisti offline.
- Social first (7,7%): il percorso di acquisto di questi utenti, sensibili ai trigger online e offline, è particolarmente influenzato dalle recensioni e dalle opinioni di amici e influencer.
- Online, but I need to see it (6,7%): la customer journey di questi utenti avviene prevalentemente offline, anche se i social fanno eccezione. Sono sensibili ai trigger, ma prima dell’acquisto online necessitano di vedere fisicamente il prodotto in negozio.
- Informivori (3,1%): sono i consumatori molto sensibili ai trigger, il cui percorso di orientamento è molto articolato e prevede l’attivazione di tutti i touchpoint possibili sia online che offline.
Gestire i contenuti
Appare evidente che in questo scenario di trasformazione i retailer si trovano ad avere la necessità di gestire contenuti digitali di migliaia di fornitori e di decine di migliaia di prodotti, vale a dire milioni di contenuti nei diversi canali informativi, dai social ai siti ai video. Soddisfare le domande di contenuti lungo la customer journey, acquisire dati utilizzabili dalla propria audience, orientarsi tra i troppi strumenti per gestire il ciclo di vita dei contenuti sono le sfide maggiori per le aziende, secondo i risultati di un’indagine condotta da Thron con Forrester. Da qui due possibili strategie: adottare un sistema di distribuzione centralizzata dei contenuti e attivare un’azione di content intelligence che consenta di creare relazioni tra brand e utente con la restituzione di informazioni preziose su quest’ultimo.
La trasformazione omnichannel che ha rivoluzionato il customer journey sarà al centro, il 20 giugno a Milano, del convegno "Oltre i canali, oltre le categorie: L’orientamento alla domanda nel largo consumo".
In questo caso l’intelligenza artificiale applicata ai contenuti sembra essere lo strumento più adatto. Proprio il retail è uno dei settori in cui l’impatto dell’applicazione dell’intelligenza artificiale potrà essere più interessante e immediato, proprio perché in grado di avvicinare anche gli utenti finali, nelle loro abitudini quotidiane, alle nuove frontiere dell’innovazione.
Figura 5 - L’impatto dell’intelligenza artificiale nei diversi settori
Fonte: Netcomm da McKinsey
Non a caso, nel mondo del retail sono già state adottate soluzioni di AI per migliorare la relazione con i clienti, come lo sviluppo appena iniziato dell’uso dei chatbot. I processi di automazione legati alla filiera logistica, ma anche al machine learning e alle analisi predittive sono elementi decisivi per la creazione e il rafforzamento di una relazione sempre più personalizzata tra i brand e i clienti. In un contesto economico nazionale e internazionale, dove il fattore determinante nell’arena competitiva delle aziende è la capacità di garantire un’offerta sempre più personalizzata, le innovazioni che porterà l’AI potranno migliorare la comprensione delle aspettative dei clienti, facilitando la personalizzazione e le raccomandazioni, rendendo più efficienti i servizi pre e post vendita e ottimizzando la supply-chain.
a cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab