economia

La ricetta per la felicità sul lavoro? Un “bravo” per quel che si è fatto

La ricerca di The Boston Consulting Group e The Network: dopo la crisi in tutto il mondo contano meno gli aspetti economici e più quelli relazionali. Ma in Italia il bilanciamento tra vita privata e lavoro non è ancora vista come una priorità

C’era una volta il mito dei benefit, dell’auto aziendale, dell’aumento di stipendio come fattore di attaccamento al lavoro. Questo mondo è finito e a dirlo chiaramente è una ricerca su scala globale di The Boston Consulting Group e The Network. La chiave della felicità sul posto di lavoro ora, in tutto il mondo, è la qualità dei rapporti umani. Ma, soprattutto, il riconoscimento del valore del lavoro fatto. È come se la crisi globale, con la fine del mito della crescita perpetua, avesse rimesso in ordine le priorità.

happinessonthejob.jpgI risultati dello studio “Decoding global talent”, condotto su 200mila lavoratori in tutto il mondo, non lasciano dubbi sulle priorità attribuite ai fattori di felicità al lavoro. Nei primi dieci posti c’è solo una posizione, l’ottava, di natura economica, e riguarda l’attrattività del salario fisso. Nessuna traccia dell’enfasi sulle stock option e sulla parte variabile del lavoro che dominavano i discorsi sul lavoro prima del 2007. Per trovare altri fattori legati alle “compensazioni economiche” bisogna andare ben oltre la ventesima posizione: i benefit addizionali si trovano alla 24esima e l’auto aziendale alla 26esima. Tutto quello che viene prima ha a che fare soprattutto con i rapporti umani.

Se si vanno a vedere i risultati distinti paese per èaese, le sorprese non mancano. A partire dall’Italia: il paese di Checco Zalone non è poi così reale. Né la sicurezza del posto di lavoro né la stabilità finanziaria delle imprese sono messe al centro dei desideri. Il posto fisso ha lasciato spazio alla volontà di avere dei buoni rapporti con i colleghi e coi capi, in cui si può ricevere un complimento per la qualità di quel che si è fatto, che fa imparare cose nuove e dà spazi di crescita. Quella che invece continuiamo a sottovalutare è la centralità del bilanciamento vita-lavoro. Nei paesi nordici, ma anche dell’Asia e delle Americhe, è ormai la priorità assoluta, da noi non rientra tra le prime cinque cose che pensiamo ci rendano felici.

Dopo l’apprezzamento sul lavoro, i lavoratori di tutto il mondo entrano in ufficio o in fabbrica felici se hanno possibilità di avere dei buoni rapporti con i loro capi e soprattutto con i loro colleghi. È questo un fattore messo ai primissimi posti da chi è impiegato in tutta l’Europa continentale e del Nord. Sempre maggiore importanza è attribuita alla conciliazione tra vita e lavoro. Sono fattori, come l’importanza attribuita alla stabilità finanziaria di un’impresa, che comprensibilmente cambiano con il passare delle fasi della vita: al “work-life balance” è più interessato chi ha figli piccoli rispetto a chi non ne ha ancora o li grandi.

A cura di Fabrizio Patti