L’inflazione e le novità dell’indice Istat agli esordi del 2016
Le preoccupazioni sulle prospettive deflazionistiche si aggravano. E l’Italia non è sola
Dopo il dato di gennaio 2016, che sembrava fugare il pericolo deflazione pur confermando la debolezza della crescita dei prezzi, quello di febbraio ha riportato in territorio negativo la variazione dell’indice dei prezzi al consumo, -0,3% rispetto allo stesso mese del 2015, -0,2% se si considera l’indice armonizzato europeo.
Le preoccupazioni sulle prospettive deflazionistiche si aggravano considerando la cosiddetta variazione “acquisita”, che si è attestata a -0,6%, cioè a dire che se per tutti i mesi da marzo in poi i prezzi rimanessero stabili rispetto a quelli di febbraio, in media d’anno il 2016 si chiuderebbe con una flessione superiore a mezzo punto percentuale.
E l’Italia non è sola in questa situazione. Nella zona euro la diminuzione tendenziale dei prezzi al consumo è stata pari a quella italiana (-0,2%) così come in Germania, registrando invece una flessione dello 0,1% in Francia e dell’1,0% in Spagna.
Una chiave di lettura delle cause che determinano questa fase di forte rallentamento dell’inflazione e di rischio deflazione si trova nell’indice depurato dell’energia: a febbraio ha segnato una variazione positiva sia nella zona euro (+0,8%) sia in Italia (+0,3%) sia negli altri grandi paesi europei. Ciò vuol dire che a spiegare il debole andamento dei prezzi al consumo sono soprattutto i prodotti energetici (dai carburanti al gas di rete). A eccezione di questi ultimi, infatti, tutti i principali aggregati di prodotto che compongono l’indice generale armonizzato registrano variazioni positive su base annua, seppur contenute. Va notato però che, a differenza della zona euro, in Italia anche il raggruppamento di prodotti alimentari, alcolici e tabacco è in flessione (-0,3%), con un’inversione di tendenza rispetto a gennaio quando risultò in crescita dello 0,8%. Questa inversione è dovuta sia ai prodotti alimentari non lavorati (-0,9% da -0,6% di gennaio) sia agli alimentari lavorati (+0,1% da +0,9% di gennaio), a conferma di un marcato rallentamento dell’inflazione in un raggruppamento merceologico poco soggetto a volatilità (gli alimentari lavorati), i cui sviluppi andranno valutati con attenzione nei prossimi mesi.
Figura 1. Indice dei prezzi al consumo armonizzato (IPCA) per alcuni degli aggregati speciali di prodotto. Italia e Zona euro. Febbraio 2016. Variazioni percentuali tendenziali
In questo quadro, nel bollettino economico diffuso a fine marzo la stessa Banca Centrale europea ha previsto un andamento deflattivo nella prima parte del 2016 e una ripresa della crescita dei prezzi nella seconda che dovrebbero portare l’indice generale poco sopra lo zero in media d’anno.
La dinamica delle quotazioni del petrolio e l’evoluzione dei prossimi mesi sapranno dire se questi scenari si confermeranno o se invece ci saranno ulteriori aggiustamenti.
Intanto l’Istat ha affrontato il nuovo anno introducendo una serie di novità rilevanti nel disegno d’indagine sui prezzi al consumo.
Le novità hanno riguardato vari aspetti. Al consueto aggiornamento e alla revisione del paniere e della struttura di ponderazione si sono aggiunti l’adozione della classificazione European COICOP (European Classification of COnsumption according to Purpose) e il passaggio degli indici alla nuova base di riferimento 2015.
Il paniere utilizzato dall’Istat per monitorare l’andamento dell’inflazione si è ulteriormente arricchito e comprende ora 1476 prodotti (erano 1441 nel 2015). Nel 2016 vi è stata una sola uscita - cuccette e vagoni letto - mentre le entrate sono numerose: tra queste le bevande vegetali, il pantalone corto uomo, i leggings bambina, la lampadina LED, i panni cattura polvere, le automobili usate, i servizi integrati di telecomunicazione (TV, Internet e voce), l‘alloggio universitario, il tatuaggio. In alcuni casi le new entry rappresentano veri e propri consumi emergenti, in crescita nella spesa delle famiglie, come le bevande vegetali (per esempio quelle a base di soia) o la lampadina LED; in altri invece vanno ad arricchire la rilevazione dei prezzi di voci di spesa già presenti, come le automobili usate che affiancano le nuove.
Guardando i pesi degli indici, che rappresentano l’importanza relativa che i diversi aggregati di prodotto hanno nella spesa per consumi delle famiglie, i cambiamenti sono contenuti rispetto allo scorso anno. La crescita maggiore è registrata dai Servizi ricettivi e di ristorazione (quasi tre decimi di punto percentuale in più rispetto al 2015) e la diminuzione più ampia dai Trasporti (quasi cinque decimi in meno). Per spiegare l’evoluzione delle abitudini di consumo degli italiani occorre però riferirsi a un arco temporale più lungo. Da questo punto di vista appare interessante vedere, per esempio, che dai primi anni novanta i prodotti alimentari e le bevande analcoliche pesano per meno del 20% mentre alla fine degli anni cinquanta erano a più del 40%. C’è stato dunque un vero e proprio cambio nel modello di consumo nel nostro Paese.
Il passaggio all’ECOICOP ha rappresentato un’altra novità del 2016. La nuova classificazione dettaglia ulteriormente la precedente, introducendo un nuovo livello (le sottoclassi) e rendendo possibile una comparazione più granulare con la zona euro e i principali Paesi dell’Unione; l’Italia, ad esempio, elabora informazioni, per l’indice armonizzato europeo, per 226 sottoclassi.
Last but not least, c’è stato il passaggio alla nuova base di riferimento 2015 di tutti gli indici dei prezzi al consumo prodotti dall’Istat (per l’intera collettività nazionale, NIC, per le famiglie di operai e impiegati, FOI, armonizzato, IPCA). La scelta è stata dettata dall’approvazione del Regolamento Ue 2015/2010 della Commissione europea l’11 novembre 2015. Ovviamente il dispositivo normativo del Regolamento in questione vale solo per gli indici armonizzati, ma l’Istat ha scelto di estendere questa novità anche a quelli nazionali (NIC e FOI), allineando per la prima volta la base di riferimento dei tre indici. La disponibilità di informazioni nella medesima base è un valore aggiunto, soprattutto per l’utenza meno specialistica.
a cura di Federico Polidoro, responsabile del servizio prezzi al consumo dell’Istat