Il retail è di tutti
Cosa ci portiamo a casa dal Retail’s Big Show di New York? I top trends presentati da Popai Italia
Tornati a casa da New York dopo il Retail’s Big Show di New York che ha visto protagonisti più di 35 mila partecipanti e 560 espositori è naturale continuare a farsi delle domande. Partiamo dai top trends presentati da Popai Italia durante un workshop dedicato all’evento in febbraio.
Ci si chiede quale sia il modo giusto – diciamo di buon senso - per valutare gli impatti innovativi predetti dai guru di New York e quindi attesi dal retail internazionale. Stando a quanto visto durante la maratona fieristica del NRF 2016 si figura un doppio scenario per il prossimo futuro del retail. Da una parte abbiamo le più avveniristiche meraviglie tecnologiche proposte per innovare e rincorrere il consumatore che evolve sempre più velocemente, dall’altra abbiamo il buon senso, che ci ricorda di rallentare, di prenderci del tempo per valutare proprio l’incedere delle innovazioni e chiedersi “serve davvero?”.
Partiamo da un punto dato per certo: il retail moderno ha deciso di focalizzarsi sull’experience del consumatore.
Secondo i 5 top trends presentati da IBM i retailers sono chiamati ad essere agili, sfruttare le tecnologie per attrarre e coinvolgere il cliente sempre connesso e ad analizzarne i comportamenti per progettare offerte e ambienti intorno alle loro esigenze. Ma siamo sicuri di conoscere davvero i clienti per poter fornire contenuti rilevanti e personalizzati in ogni fase del viaggio esperienziale che è il retail al giorno d’oggi?
Il consumatore è indefinibile solo perché nessuno lo definisce più top down: non valgono più i target preconfezionati del marketing che inquadrano dall'alto i bisogni del consumatore. Il consumatore in realtà si autoinvita, è bottom-up.
Per questo per potenziare l’engagement, esigendo massima enfasi sul rapporto tra il cliente e il marchio è ormai necessario coltivare relazioni di valori comuni, di fiducia e proposte innovative per creare esperienze veramente significative. Un esempio è la rivoluzione della strategia marketing di The Coca-Cola Company: per la prima volta da sempre, tutti i marchi Coca-Cola saranno uniti in un’unica campagna creativa globale, con un’unica tag line "Taste the Feeling", per sfruttare il patrimonio e il fascino iconico che accomuna l’amore dei consumatori nei confronti del brand. «Col passare del tempo abbiamo scoperto che più presentiamo Coca-Cola come un’icona, più diventiamo piccoli» ha detto Marcos De Quinto, direttore Marketing Coca Cola, «Coca-Cola è per tutti».
Ma se è di tutti, allora la personalizzazione dov’è?
Il messaggio va o verso l’universale [grande], dove le persone si sentono accumunate da un valore, o verso il dettaglio [piccolo], dove il valore è quello che piace proprio a me: se i due versi coincidono, tanto meglio.
Detto questo è evidente che non è sufficiente avere a disposizione i big data: è necessario invece avere la capacità, gli strumenti e il talento per estrarne significati significanti, possibilmente per i propri consumatori. I big data da “grandi e tanti” sono chiamati a diventare “piccoli e mirati”, non più generalisti, ma condivisi e mutevoli nel tempo, attraverso il viaggio delle stagioni, della giornata, dell’umore e della vita del consumatore.
Ecco cosa ci portiamo a casa dal Retail’s Big Show di New York 2016
Siamo in un momento magico in cui c’è lo spazio progettuale per micro-intuizioni che possono creare esperienze altamente autentiche e personalizzanti, universali o iper-localizzate che siano.
Anche i key trends della ricerca Retail Innovations 11 di Kiki Lab Ebeltoft Group enfatizzano il potere creativo del retail: sono 7 e tematizzano la differenza che possono giocare i suoi fattori abilitanti. Ma se il prodotto fa la differenza, il consumatore fa la differenza, l’esperienza fa la differenza, la tecnologia fa la differenza, la sostenibilità fa la differenza, il prezzo fa la differenza, la comodità fa la differenza… cosa fa davvero la differenza?
La risposta pare essere: l’ego del consumatore, definito da Popai con il termine egosystem. Ci fidiamo solo di quello che troviamo da soli perché quello che troviamo è quello che desideriamo: è la dinamica della passive discovery o della disintermediazione (vedi: chi fa da sé fa per tre). Ci piace scambiare e condividere informazioni utili che creano nuovo valore per i nostri bisogni. Vorremmo che anche gli oggetti che abitano le nostre giornate avessero un’identità (internet of things), meglio se in sintonia con la nostra. Vorremmo che ci fossero offerte esperienze “arricchite” (augmented reality), farcite da connessioni con la nostra identità, il nostro desiderio.
Sintetizzando ecco il mantra del neo consumatore, ego riferito: condividere più contenuto, proveniente da più sorgenti, con più persone, più frequentemente, più velocemente (vedi social networks, sharing economy, crowd founding, ecc.).
È una promessa che si può mantenere?
Non possiamo prevederlo ma, detto questo, ci piace concludere con una citazione di Einstein ricordata da Daniele Tirelli durante il workshop di Popai: “Chi dice che è impossibile non dovrebbe disturbare chi ce la sta [già] facendo”.
A cura di Sara Manazza