Customer engagement dalla A alla Z
Le regole del modello Hook
Don Draper della serie TV “Mad Men” è un’icona facilmente riconoscibile del mondo della pubblicità “vecchia scuola”. Anche se, a dire il vero, il suo personaggio cambia leggermente con il procedere della serie.
E nello stesso tempo è cambiato anche il mondo che lui rappresentava. Certo, il concetto di “progettare per emozionare” continua a tenere botta. Ma oggi gli sforzi per coinvolgere i clienti devono focalizzarsi meno sul comunicare verso l’esterno in maniera indifferenziata - e più sull’attirare e agganciare le persone.
Chris Bye, imprenditore nell’ambito del design e responsabile delle strategie di customer experience per Bye Design, ha inaugurato una seduta al Retail’s BIG Show intitolata “Happy to Be Hooked: Design, Emotion and the New Customer Experience” (Contenti di Farsi Coinvolgere: Design, Emozione e la Nuova Customer Experience) con una foto di Draper e l’indicazione di “guardare il mondo attraverso una nuova lente.”
Questa lente, secondo Bye e Nir Eyal, - co-autore di “Hooked: How to Build Habit-Forming Products” (Creare prodotti e servizi per catturare i clienti - Hooked) assieme a Ryan Hoover — richiede di osservare i clienti per capire i loro bisogni e le motivazioni. In parole povere, dice Bye, «a vincere sono solo le aziende che mettono il cliente al centro» .
Per riuscirci bisogna veramente mettersi nei panni del cliente e dotarsi di forte empatia, oppure conoscere i propri clienti così bene da sapere non solo cosa fanno, ma anche perché lo fanno. A questo proposito, Bye cita l’esempio di una mamma single di 22 anni e di come uno immersive study delle sue abitudini potesse fornire parecchi spunti a chi era disposto ad osservarla da vicino.
Eyal spiega come un tempo le marche modificassero le preferenze ed i gusti dei consumatori attraverso l’esposizione mediatica (la pubblicità) - ma come oggi lo facciano attraverso l’esperienza. Le marche di successo usano ganci (hooks) che determinano il cambiamento delle abitudini.
Il modello Hook, così come è definito nel libro, comprende 4 fasi:
- L’innesco.
- L’azione.
- La ricompensa.
- L’investimento.
«Sono le emozioni a determinare gran parte delle nostre azioni - dice Eyal - specialmente quelle negative». Il sentirsi tristi, abbandonati, annoiati o soli ci induce a spingerci oltre il territorio conosciuto delle nostre abitudini, senza neanche esserne pienamente consapevoli. E per quanto concerne l’uso di tecnologie, questo può significare guardare un video su YouTube o “sfogliare” Pinterest.
Guardare e sfogliare sono azioni, ovvero la seconda fase del ciclo Hook, ovvero comportamenti molto semplici adottati in vista di una ricompensa. Oltre all’innesco, affinché l’azione venga portata a termine, sono anche necessarie motivazione e abilità.
Per quanto riguarda le ricompense, Eyal sostiene che queste ultime si dividono in tre tipologie:
- La ricompensa per la caccia.
- La ricompensa per la tribù
- La ricompensa per se stessi.
I social media, per esempio, possono ricompensare la caccia, perché, vista la loro alta variabilità, gli utenti non sanno mai cosa li aspetta. La ricompensa per se stessi potrebbe derivare dal gioco – c’è qualcosa di divertente nel raggiungere il prossimo livello, qualsiasi esso sia.
La quarta fase del modello Hook è l’investimento, durante il quale l’utente investe nel prodotto per un beneficio futuro. Se consideriamo per esempio i social media dal punto di vista dell’assuefazione, inviare un messaggio che richiede una risposta – e quindi permette di continuare il ciclo – è come pre-caricare un nuovo innesco. L’investimento può quindi concretizzarsi anche attraverso la conservazione del valore del prodotto.
«Questo ha un grande significato, - dice Eyal - tutto nel mondo fisico si deprezza e perde valore man mano che lo usiamo. La tecnologia che da assuefazione dovrebbe fare il contrario».
Alla fine, i prodotti che creano assuefazione nei clienti sollevano la questione morale della manipolazione. Se avete questo dubbio, «Bravi - dice Eyal - ogni qualvolta progettiamo un’esperienza volta a modificare i comportamenti degli utenti, si tratta di manipolazione. E dobbiamo essere particolarmente attenti a come applichiamo queste tecniche».
A cura di Fiona Soltes
Questo articolo è stato pubblicato in Show Dailies, l’edizione 2016 della rivista STORES.
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