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Il retail in evoluzione: quale il futuro?

Nuovi orizzonti per il retail direttamente dal NRF Big Show di New York

Oltre 33 mila partecipanti, più di 100 sessioni di lavoro tra plenarie e parallele, 18.500 metri quadrati di esposizione. Il Big Show della National Retail Federation per chi vi ha partecipato è stato un concentrato di stimoli, spunti, motivi di riflessione sui fenomeni che caratterizzano il mondo del retail, dei consumi e delle tecnologie che spingono verso l’innovazione dei processi. Un concentrato di “next big things”, che però sono già in atto in molte realtà.

Per chi non vi è stato, proviamo a sintetizzare alcuni punti chiave emersi che cercano di disegnare i nuovi orizzonti per il retail. Che sono dominati dallo strumento che mette, come mai in precedenza, nelle mani dei consumatori - anche letteralmente parlando - il potere: lo smartphone, a un click di distanza dai brand, dai prodotti, dai prezzi più convenienti.

Per i retailer l’obiettivo principale è quello di migliorare la shopping experience, sia nel canale fisico sia in quello digitale. È evidente che il riferimento all’omnichannel è immediato.

Ottimizzare l’omnicanalità

Nel corso di una delle sessioni dedicate a questo argomento, è stato chiarito che l’omnicanalità riguarda la relazione con il cliente e il modo con cui le imprese si adattano ai cambiamenti dei suoi bisogni. A guardarlo in questo modo, l’omnichannel è una tattica, non è la strategia. Infatti, come ha sottolineato Tom Cole, partner di Kurt Salmon, l’omnichannel non definisce per il consumatore una modalità di contatto con il retailer, ma è un’esperienza senza soluzione di continuità che offre prodotti, capacità di coinvolgimento e livello di servizio identici.

Macy’s, big del retail made in Usa, ha in corso un cambiamento strutturale per allineare in maniera più precisa i due canali, i negozi e l’online. Non perché, come ha precisato R.B. Harrison, che ricopre il ruolo di chief omnichannel officer, perché ci siano problemi. Anzi: «Abbiamo registrato una crescita di vendite nei negozi del 2,7% in novembre e dicembre e siamo diventati contemporaneamente il settimo retalier online», ha detto. Ciò che Macy’s sta sviluppando è fare in modo che digitale e fisico si aiutino a vicenda per operare in maniera più efficiente e per diventare il migliore in entrambi i canali.

Ma per far questo, è stato anche detto, è necessario uno sforzo di adattamento da parte delle persone e delle organizzazioni verso l’omnicanalità. «Abbiamo bisogno di persone che dimostrino di avere affinità con il cliente e non si comportino come prima. Se le persone non sono aperte al cambiamento non si può andare lontano», ha ribadito Diane Ellis presidente e ceo di The Limited.

Anche perché il personale non è diverso dal cliente: entrambi utilizzano smartphone e tablet.

Uno degli ingredienti segreti dell’omnichannel è la gestione dell’inventario, tanto che per molti operatori è diventata una priorità investire in strumenti che permettano ai retailer di canalizzare gli ordini con la massima profittabilità e, soprattutto che consentano di essere più vicini ai clienti. L’obiettivo è avere un impatto positivo diretto sulla customer experience attraverso una gestione delle informazioni relative agli ordini e alle consegne più flessibile e accurata. In una parola, più efficace.

Pricing, consegne, mobile payment

L’omnichannel ha un impatto anche sulle strategie di prezzo. Secondo Greg Girard di IDC i retailer devono raccogliere e applicare le grandi quantità di informazioni relative a prodotti, servizi (anche della concorrenza) cui i consumatori hanno accesso attraverso i loro dispositivi. «Conoscere i clienti non è però sufficiente. Occorre conoscere qualsiasi cosa riguardo ai prodotti e ai servizi offerti dai concorrenti e come li propongono al mercato», ha affermato Girard. I prezzi saranno visibili in tempo reale e localizzati. Si apre in sostanza l’era dei prezzi dinamici anche per il retail, secondo quanto è già in uso nelle linee aeree e negli alberghi. Per Eric Lystad di Home Depot, «la strategia di prezzo dovrà essere articolata, sfumata e definita in anticipo, basata su una conoscenza competitiva accurata e veloce: non ci sarà più un prezzo unico per tutti».

Uno degli aspetti che nell’arena competitiva d’oltreoceano è particolarmente in evidenza riguarda i tempi di consegna: sono tramontati i tempi in cui chi ordinava online aveva la pazienza di aspettare due o tre giorni. Oggi i clienti vogliono ricevere la merce subito. Sono nate così società che forniscono ai retailer il servizio di consegna immediata, come Deliv a San Francisco o Uberrush a New York, nello stesso giorno dell’ordine e colmano l’ultimo miglio di distanza tra il retailer e il cliente attraverso un’app e una rete di ‘drivers’ che si rendono disponibili per la consegna. Senza considerare Amazon Prime e Google Express, che stanno affilando le armi, e perfino Starbucks, che ha annunciato un servizio di consegna tramite una specifica app.

Non solo, lo smartphone diventa anche protagonista delle trasformazioni che stanno investendo la codifica dei prodotti. Il vecchio caro codice a barre, però, non è ancora pronto per andare in pensione. Anzi, sono le tecnologie di lettura che stanno evolvendo verso lo scanning automatico per rendere più semplice e veloce il self checkout da parte dei clienti. Poiché il tema è sempre quello delle informazioni, sono disponibili software per analizzare i dati per future promozioni e per comunicare con i clienti. Un passo successivo può essere di utilizzare i dati del codice a bare per aumentare i servizi ai clienti, come il richiamo di prodotti informandone chi li ha acquistati e migliorando così il livello di fiducia.

Molti retailer stanno anche cercando di integrare il codice a barre nei pagamenti con lo smartphone in alternativa alla tecnologia NFC. In particolare l’accoppiata lettori di codice a barre e smartphone può trovare ampio impiego nel campo dei coupon e degli stessi pagamenti.

All’orizzonte, gli esperti si attendono importanti sviluppi nell’utilizzo della filigrana digitale (i digital watermark), invisibile all’occhio umano ma non ai dispositivi mobili e agli scanner che forniscono un’identità digitale univoca alle confezioni e che può essere letta senza andare a puntare il codice a barre. I vantaggi della filigrana digitale includono la velocità alla cassa, la possibilità di leggere con qualsiasi dispositivo, la diffusione di applicazioni per il self shopping e avere a disposizione più spazio sul packaging per comunicazioni di marketing.

Anche sul fronte del negozio fisico l’accento è posto sull’integrazione tra customer experience e tecnologie: specchi smart nei camerini di prova che fotografano a 360° il consumatore che può rivedere l’immagine a casa o spedirla a qualcuno per un commento istantaneo; tecnologia Beacon che invia notifiche e offerte allo smartphone del consumatore che si trova nel punto vendita; e sistemi di pagamento innovativi.

Secondo il World Payments Report di Capgemini, il mobile payment entro la fine del 2015 toccherà 47 miliardi di transazioni a livello globale, con le banche che continuano a fare la parte del leone tra gli operatori. Sebbene però ci si chieda quale possa essere il vantaggio apportato dal mobile payment attraverso lo smartphone, rispetto alla carta di credito, molti osservatori invitano a considerare attentamente il ruolo dei Millennials che, anche in questo caso, sono quelli che possono pigiare il bottone del cambiamento.

I Millennials e la condivisione

In effetti i Millennials, i nati negli anni Novanta, sono una categoria al centro dell’attenzione un po’ in tutto il pianeta, tranne che nella ‘vecchia’ Europa, perché sono veramente la categoria di consumatori che trainano le trasformazioni.

Un esempio: la sharing economy, che può avere impatti importanti anche per il mondo del retail. I consumatori condividono i prodotti e i servizi perché consapevoli di un consumo eccessivo, desiderano concentrarsi sull’esperienza e vogliono incoraggiare la comunità e la sostenibilità. Forbes ha stimato che la condivisione di beni personali nel 2014 ha superato i 3,5 miliardi di dollari (+25% sull’anno precedente) e gli analisti prevedono che nei prossimi dodici mesi questa cifra raddoppierà. L’interesse dei nuovi consumatori nella sharing economy è legato al rifiuto del consumo eccessivo e spensierato che ha caratterizzato i decenni passati e ai desideri di una maggiore socialità. Le ragioni? Certamente il risparmio di denaro, ma anche la ricerca di un senso di utilità e di attivismo, la riduzione dell’impronta ambientale, il supporto delle microattività locali e l’opportunità di incontrare nuove persone. Un’alternativa al massmarket. E ciò colpisce anche i retailer. Per esempio Ikea ha lanciato in Norvegia una campagna per invitare i clienti a vendere i loro mobili usati durante le settimane delle promozioni. Una sorta di rottamazione peer to peer!

Ovviamente l’accettazione della sharing economy da parte dei Millennials è più che ovvia, ma anche le classi di età più mature sono coinvolte. Le persone condividono più agevolmente con chi ci si fida, e internet sta creando un nuovo modo di costruire la fiducia. Il 91% dei consumatori raccomanderebbe i servizi che hanno condiviso con gli amici, secondo un’indagine di Vision Critical.

Quali sono allora le urgenze per i retailer? Inanzitutto bisogna porre attenzione al fatto che si tratta di un fondamentale cambiamento nel modo in cui le persone hanno accesso ai beni e ai servizi. Ma la reinvenzione dell’economia dei consumi non può prescindere da due questioni cruciali: l’Internet of Things e i big data.

IoT e big data

L’Internet of Things, legato alla capacità di molteplici dispositivi della vita quotidiana di trasferire informazioni, si diffonderà tanto più quanto i costi di rete diminuiranno e aumenterà la disponibilità di memoria. Il fattore di cambiamento è costituito dal numero di dispositivi in grado di trasferire dati, dalla smart Tv all’auto, dai dispositivi indossabili (che hanno la capacità di interagire con le persone su base regolare) ai gadget domestici. Un rapporto di Idc prevede che la spesa per IoT raggiungerà 8,9 trilioni di dollari nel 2020, quasi il doppio dei 4,8 trilioni spesi nel 2012.

L’enorme flusso di dati senza fine generato da diverse fonti correlato con lo sviluppo dell’omnichannel rende più complessa la supply chain: si moltiplicano i punti di consegna e i tempi del ciclo si sono ridotti. I retailer sono alla ricerca di tecnologie che aumentano il livello di visibilità, ma gli strumenti di ieri non aiutano a rispondere alle sfide odierne del business. Anzi, secondo Jeff Roster di Gartner Research i big data diventano un fatto normale di business. Il problema è che le organizzazioni non hanno realmente compreso la fondamentale trasformazione che essi determinano, passando da sistemi d’innovazione a essere sistemi di differenziazione.

Secondo una recente ricerca di Accenture Analytics il 58% dei retailer ritiene i big data molto importanti e il 36% li considera importanti per la propria organizzazione e indicano tre principali ragioni per usarli: analizzare i comportamenti dei clienti (56%), riunire differenti fonti di dati (49%) e migliorare la personalizzazione (48%). L’82%, poi, concorda che i big data stanno cambiando il modo di interagire e di relazionarsi con i clienti.

Per un settore che ha a disposizione un gran numero di informazioni attraverso il pos, il web, i dispositivi mobili, i call center, il potere dei big data non è quello di generare un maggior numero di report ma quello di sviluppare una miglior visione degli obiettivi con pochi report. Quali sono, chiedono gli esperti, gli obiettivi che si vogliono raggiungere attraverso i big data, quale aspetto del business si vuole migliorare? E su una cosa sono concordi. Se si guarda solo allo storico delle vendite e non si guarda a fattori esterni, si perde l’enorme potenzialità predittiva dei big data. Bisogna spostare l’attenzione dalla quantità delle informazioni alla loro rilevanza, interpretare il comportamento dei consumatori e offrire quanto è più rilevante per loro (per i consumatori). È quanto fanno gli e-tailer come Amazon. Ora la palla passa anche ai retailer tradizionali e omnichannel.

Foto di Marco Cuppini