Retail reloaded
Evoluzione del retail, tra tecnologia, multicanalità e story telling. A guidare lo sviluppo oggi è il fashion. Una ricerca della Bocconi mette in luce le soluzioni di punta
Per gestire meglio i processi di acquisto la distribuzione sta introducendo molta tecnologia. L’attenzione dei brand sta allargando il focus dai prodotti ai consumatori (che comprano quei prodotti) cercando sempre nuove informazioni ma anche nuove formule di ingaggio. Tra i settori più all’avanguardia nella sperimentazione troviamo il fashion che, per diversi motivi, può permettersi di investire e di inventare.
La moda, infatti, è volubile, estremamente volatile e, fondamentalmente, non necessaria. Eppure la shopping experience è proprio nella moda che oggi trova il suo campo d’elezione. Tra desiderio e bisogno, necessità e coerenza, il consumatore è sollecitato da più parti. Gestire il cliente significa interpretare al meglio le sue istanze, tra essere e apparire, styling e funzionalità. Da un desiderio di spendere a un’esigenza di sicurezza, dall’ostentazione all’attenzione all’ecologia, dalla voglia di cambiamento al bisogno di conformismo, capire il consumatore significa seguire nuovi livelli di interazione con i brand, i prodotti e i servizi. Le strade della comunicazione e dell’informazione sono diverse e passano dai dispositivi mobile, dai social ma anche da tutta una serie di tecnologie digitali, di cui molte presenti in store.
Per comprendere meglio le dinamiche e le soluzioni in campo a livello nazionale e internazionale, l’Università Bocconi di Milano ha inaugurato una nuova unità di ricerca: il primo osservatorio si è concentrato sul fashion e il risultato dei lavori è diventato un report, presentato a novembre 2013 in occasione di un evento intitolato Retail Reloaded: customer centricity, tecnologia, multicanalità e transmedia storytelling.
«Si è trattato di una vera e propria retail immersion» ha spiegato Francesca Romana Rinaldi, docente del Mafed (Master in Fashion Experience & Design Management) Sda Bocconi ,«grazie alla quale abbiamo individuato le best practices della moda rispetto alle tecnologie in store e alla creazione di una customer retail experience. In campo tanti fattori concomitanti che includono tecnologie visibili, e quindi percepite anche dal cliente, e tecnologie invisibili, ad uso esclusivo del retailer per analizzare le performance e capire la shopping experience. Dalla ricerca attiva e dalle interviste effettuate abbiamo potuto fotografare la situazione e identificare 4 aree diverse: effetto wow versus performance, strumento di comunicazione versus strumento di vendita, flagship versus multiformat e fine versus mezzo».
Diversi i brand analizzati, dal luxury allo sport di alta gamma, dalla moda giovane al casual chic: Armani, Cucinelli, Dior, Lacoste, Nike, Max Mara, Paul&Shark, Patrizia Pepe, Monnalisa, LiuJo. Tanti intelocutori diversi per genere, modello di distribuzione e target.
Tecnologia digitale: virtuale significa soprattutto multicanale
Lo sviluppo delle soluzioni digitali, l’evoluzione multicanale del consumatore, la diversificazione delle occasioni di acquisto e dei meccanismi che portano alla scelta di un prodotto, di un brand o di un servizio stanno portando i marchi del fashion a utilizzare in modo innovativo un mix di soluzioni creative e all’avanguardia.
Quali dunque le tecnologie in store più utilizzate e diffuse tra i brand del fashion? I ricercatori della Bocconi hanno individuato alcuni filoni interessanti, a partire dalle vetrine.
Dalla vetrina statica a quella più dinamica, infatti, il fashion è quello che più ha puntato alla spettacolarizzazione del front end. Si chiamano Animated shop windows e sono le vetrine che diventano teatro dell’offerta o della suggestione. Mirando a stupire e attirare l’attenzione, sono animate da persone, oggetti o dispositivi tecnologici, catturando l’interesse del pubblico attraverso un gioco coreografico. L’ultima frontiera è lo smart tagging: richiede l’uso di uno smartphone o di un tablet per leggere uno smart tag (Qr code o immagine) e ingaggia i passanti per dargli informazioni o emozioni aggiuntive (a volte con un’attività di couponing promozionale).
Tra le soluzioni ormai standard nella moda troviamo in vetrina il digital signage, che prosegue all’interno del negozio, diventando spesso una componente di arredo dinamica e informativa.
«I contenuti pubblicitari vengono mostrati ai destinatari attraverso schermi elettronici o videoproiettori» ha proseguito Francesca Romana Rinaldi. «In particolare le virtual catwalk sono un must: collezioni in sfilata, proposte attraverso filmati in digitale proiettati su schermi di qualsiasi dimensione e forma. Lo sviluppo della tecnologia ha abbassato i costi, consentendo di modulare gli schermi a seconda delle esigenze di spazio del retailer. L’interazione touchscreen, inoltre, porta le superfici digitali a diventare strumenti preziosi per un accesso dedicato alle informazioni. La vetrina in questo modo diventa virtual assistant, guidando il consumatore nel suo percorso di acquisto al posto di un reale shop assistant».
Le nuove superfici capacitive, che consentono di trasformare in schermi superfici in materiali diversi ed estremamente sottili, stanno diversificando le possibilità attraverso pannellature luminescenti che permettono di dividere gli spazi in modo estremamente flessibile e suggestivo. Creando pareti luminescenti su cui proiettare filmati i retailer del fashion chiamano in causa i designer. Il segreto di questo tipo di soluzioni, infatti, è trovare un partner tecnologico capace di dare forma alle esigenze rispettando l’immagine coordinata del brand.
Evoluzione del digital signage sono i magic mirror o i digital mirror, soluzioni molto interessanti che consentono agli shopper di provare virtualmente i capi attraverso l’uso di sensori di movimento e un’intelligenza di sistema evoluta. I tecnospecchi aiutano il cliente indeciso ad avere un’idea di come sta addosso il capo e aiutano il brand a non avere merce in disordine e sparsa, quando la decisione di acquisto non è finalizzata. La rielaborazione dei dati forniti dall’acquirente possono consigliare modelli, taglie o colori che meglio si adattano ai gusti del cliente.
Inventate qualche anno fa da Intel insieme ad Adidas, oggi le virtual shelve sono uscite dai laboratori di ricerca e sviluppo per arredare molti punti vendita. L’esposizione virtuale della merce consente da un lato di consultare i prodotti in autogestione e, dall’altro, di poter proporre ai clienti anche prodotti che fisicamente non sono presenti in negozio per motivi di out of stock o di scarsa disponibilità di spazio (mentre nel retro di magazzino il prodotto è comunque disponibile e, a richiesta, può essere recuperato). Il plus? Il prodotto può essere configurato: grazie alla digitalizzazione dei contenuti, infatti, è possibile provare le varie combinazioni degli accessori o degli elementi che compongono l’articolo.
Mobile experience, molto più di un’opportunità di servizio
Un’altra tecnologia visibile ad alto tasso di interazione sono le app, che consentono di ottenere informazioni sui prodotti in negozio e di fare acquisti on line. In prospettiva, lo sviluppo del teleborsellino e del mobile payment farà degli smartphone un ulteriore canale di acquisto che i retailer dovranno presidiare attraverso la realizzazione di nuovi servizi dedicati.
La possibilità di sfruttare i dispositivi mobile dei consumatori in negozio, per altro, permette di diversificare anche l’annoso problema delle casse e delle code. Pagare in modalità distribuita (oggi tramite sito di e-commerce in futuro via Nfc) è una delle soluzioni eliminacode, contribuendo a regolare l’afflusso delle persone in presenza di traffico elevato in negozio.
Tecnologie invisibili, ma molto utili
I ricercatori della Bocconi hanno poi classificato la serie di tecnologie invisibili più diffuse e utilizzate dal fashion per motivi di controllo ma anche di analisi dei comportamenti dei consumatori. In testa la tecnologia RFId, utilizzata soprattutto come soluzione per l’anti-contraffazione.
«La radiofrequency identification» ha precisato Francesca Romana Rinaldi «attraverso l’inserimento di un tag transponder identificato da un numero seriale cui è associata l’intera storia del prodotto permette di verificare l’autenticità del prodotto tramite netbook o lettore RFId. Moltissimi brand italiani ed esteri ne stanno facendo uso e le potenzialità della tecnologia permettono applicazioni più estese di controllo e di servizio che includono l’antitaccheggio, il presidio del grey market e lo sviluppo di meccanismi di ingaggion e di serviizo a valore aggiunto per i clienti in store”.
L’identificazione univoca si estende anche al campo della sensoristica e della biometria, attraverso tecnologie di supporto all’analisi e alla business intelligence come, ad esempio, il people and item tracking, ovvero un sistema a fini statistici per il tracciamento dei comportamenti dei clienti ed il movimento dei capi all’interno del negozio.
Questo tipo di soluzioni in genere è associato alla videoanalisi, cioè all’uso di sistemi che analizzano i flussi e i comportamenti dei clienti, attraverso dispositivi di videosorveglianza che, al contempo, incrementano i livelli di sicurezza contribuendo a una riduzione delle perdite e a un’ottimizzazione delle attività di vendita.
Nell’ambito del riconoscimento visuale, alcuni brand del fashion stanno prendendo in considerazione soluzioni di eye tracking che, attraverso alcuni algoritmi, sono in grado di misurare la posizione degli occhi e il loro movimento permettendo di capire cosa attrae l’attenzione del cliente; consente inoltre al cliente di interagire con il dispositivo tramite il controllo oculare. Sempre riferendosi alla biometria, alcune interessanti sperimentazioni si stanno portando avanti con i sistemi che analizzano le caratteristiche fisionomiche e comportamentali dei consumatori permettendo di verificare e misurare l’appeal dei prodotti e delle campagne di comunicazione (neuromarketing).
«In futuro assisteremo a una sempre più forte interazione tra i mezzi di comunicazione online e offline» ha concluso Francesca Romana Rinaldi «con un progressivo e sempre più elevato utilizzo dei social media. I brand stanno focalizzandosi su una multicanalità della relazione che sta spianando la strada al transmedia storytelling. Questo comporterà ulteriori percorsi di personalizzazione del servizio e del prodotto attraverso modalità di informazione che prevedono digital personal assistance ma anche una produzione pensata per essere sempre più on demand e su misura. La convergenza tra analogico e digitale sta portando a logiche di affiancamento delle tecnologie, prima a sè stanti. Un caso per tutti è la possibilità di acquisto online all’interno dello store e la possibilità di consegna in negozio di acquisti effettuati online. Il modello distributivo si chiama hybrid shop e in Italia è Pinko ad averlo sperimentato per primo».
Il cliente è diventato sempre più esigente e consapevole. È inoltre sempre meno fedele: occorre essere quindi molto puntuale nell’offrire un servizio costruito su misura. Le tecnologie, aiutando a gestire meglio le informazioni, aiutano a gestire meglio i servizi.
A cura di Laura Zanotti