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Il digitale nel retail in transizione verso una nuova normalità

I risultati e le considerazioni dell’ultimo Osservatorio Innovazione digitale nel retail del Politecnico di Milano

Prossimità e relazione con il cliente stanno guidando la trasformazione del retail, grazie alle soluzioni di innovazione digitale. Diversificazione dei formati di vendita, ritorno nei quartieri dei centri urbani per essere più vicini ai consumatori con superfici ridotte anche per l’alto costo degli spazi, maggior competenza del personale e accesso a esperienze personalizzate sembrano essere gli elementi vincenti di questo nuovo paradigma. Ovviamente il digitale assume un ruolo fondamentale perché consente di ridurre gli stock di prodotto in una integrazione più stretta con l’e-commerce, di liberare il personale da attività ripetitive come la gestione dell’inventario e il monitoraggio delle scorte, dando il giusto valore alla conoscenza dei prodotti e alle informazioni. E questo nuovo paradigma del commercio sta trasferendo l’idea di omnicanalità in un concetto di omniexperience.

È in sintesi lo scenario disegnato dall’Osservatorio Innovazione digitale nel retail della School of management del Politecnico di Milano, che non si limita a tracciare le linee guida del cambiamento, ma segnala anche la lentezza dell’Italia rispetto ad altri Paesi (ma non è una novità).

Nel corso del 2019 i ricercatori hanno censito circa 250 progetti innovativi in ambito retail nel mondo: due su tre riguardano proprio l’evoluzione dello store. Di questi, il 68% fa riferimento all’implementazione di soluzioni digitali in negozio, con diverse finalità, secondo tre direzioni principali: la sperimentazione di nuovi formati, l’abilitazione dell’integrazione omnicanale e il recupero di una componente sociale.

«Quel che è certo è l’urgenza di cambiare di fronte all’evoluzione dei consumatori e dei modelli di consumo», afferma Valentina Pontiggia direttore dell’Osservatorio. «Lo sanno bene i retailer internazionali. La recente edizione di NRF ci riporta alcune notizie di rilievo: Ocado ha all’opera 2000 ingegneri del software e ogni anno investe 200 milioni di dollari in R&D; Walmart nel suo Intelligent retail lab sperimenta e testa le innovazioni tecnologiche; e Starbucks ha creato il Tryer center per passare dall’idea all’azione in 100 giorni. C’è anche però la consapevolezza che la componente relazionale e umana del negozio è un elemento fondamentale». La tecnologia, quindi, non è un fattore fine a sè stesso, ma un elemento abilitante: «Il negozio del futuro – chiosa Pontiggia – non è solo tecnologia, non è solo digitale. Non c’è nulla di più vecchio di una tecnologia senza evidenti benefici».

In Italia si sperimenta

L’investimento in digitale dei top retailer italiani è in leggera crescita rispetto allo scorso anno e vale circa il 22% degli investimenti complessivi e l’1,5% del fatturato. Si tratta di un lento processo di trasformazione digitale che ha la principale causa nella frammentazione delle imprese commerciali in Italia, anche se negli ultimi anni è in atto un’attività di razionalizzazione e di consolidamento dell’infrastruttura commerciale.

Sebbene aumenti la curiosità e il ricorso al digitale (per esempio il 79% dei top 300 retailer italiani ha un sito di e-commerce), si fa fatica a passare da un piano di sperimentazione a uno di sviluppo della soluzione, in modo estensivo, su tutta la rete: la maggior parte delle innovazioni di front-end sono ancora abilitate su meno del 50% dei negozi della rete e sono poche le innovazioni adottate nella quasi totalità della rete. Tra queste troviamo sistemi per l’accettazione di pagamenti innovativi e coupon digitali, soluzioni di sales force automation e Wi-Fi. In linea generale le aree di investimento del retail itlaliano riguardano le soluzioni per conoscere meglio il cliente, per migliorare l’esperienza in store e per aumentare l’efficienza interna. Ma in ottica di integrazione omnicanale, manca ancora una chiara strategia sull’utilizzo dei dati: due retailer su tre infatti raccolgono informazioni sui clienti sui diversi canali, ma non possiedono un sistema in grado di armonizzarli e integrarli. 

Figura 1- Dove investe il retail italiano

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Fonte: School of management Politecnico di Milano “Osservatorio innovazione digitale nel retail” 2020

Tuttavia «le aziende sono ancora organizzate sui tradizionali modelli di retail sui quali sono state innestate le nuove tecnologie secondo una logica a silos a compartimenti stagni», commenta Alessandro Volpato, responsabile business retail Tesisquare. «È arrivato il momento di porre più attenzione agli investimenti finalizzati all’integrazione dei processi e delle soluzioni, anche se possono erodere un po’ di marginalità per un periodo transitorio. Innestare continuamente pezzi di innovazione su una struttura esistente può alla fine essere più dannoso e meno conveniente che una revisione radicale. Si prenda per esempio l’anagrafica di prodotto. Fino a dieci anni fa bastavano 30 caratteri per descrivere un prodotto, oggi vi è l’esigenza di comunicare i contenuti dei prodotti in tutte le loro articolazioni».

Come ricorda Andrea Ausili, data & innovation manager GS1 Italy, «Il fattore di grande cambiamento per il retail è la disponibilità di informazioni. Proprio il più recente degli standard a disposizione delle aziende, il Digital Link, costituisce il punto di contatto tra mondo fisico e mondo digitale: la quantità di informazioni di prodotto, la tracciabilità, i processi di produzione, i contenuti nutrizionali e quant’altro sono utilizzabili per tuti i processi online e offline e sono alla portata di tutti».

L’area dei pagamenti innovativi concentra molti degli sforzi dei retailer soprattutto perché, come afferma Alessio Demonti, head of sales and business development Axerve, «Abilitare i pagamenti significa semplificare l’integrazione dei sistemi e la percezione dell’acquirente. Per questo i prossimi passi saranno quelli verso la tokenizzazione e i pagamenti invisibili, cercando di offrire il sistema di pagamento giusto per ogni canale, replicando l’esperienza online nel mondo fisico». Naturalmente lo smartphone, che già è il “signore dell’innovazione digitale” è al centro di diverse sperimentazioni. Come quella di CDS, master franchisee di Carrefour in Sicilia.: «Dopo aver affiancato l’e-commerce ai negozi fisici, aver lanciato la prima applicazione mobile per l’insegna il Centesimo, nel 2020 sarà a volta dei pagamenti con lo smartphone che potrà interagire con le etichette elettroniche per avere informazioni di vario tipo sui prodotti», racconta Marco Geraci, It manager Cds.

Dall’omnicanalità all’omniexperience

Nel promuovere nuove modalità di relazione con i consumatori, l’e-commerce svolge un ruolo decisivo sotto diversi aspetti. Da un lato è un moltiplicatore di innovazione, dall’altro spinge verso l’omnicanalità attraverso il ritiro degli ordini online nel negozio e la gestione dei resi. Considerando l’infrastruttura commerciale dei primi 300 top retailer, pari a quasi 50.000 punti vendita, l’Osservatorio calcola che circa il 50% degli store consente il ritiro degli ordini fatti online, mentre il 33% permette il reso degli acquisti online. Ma non bisogna fermarsi a questo. «Perché per i clienti il click & collect e il reso in store sono diventai ormai fattori naturali», afferma Fides Tosoni, country business manager Ikea retail Italia.

Per questo motivo aziende come Leroy Merlin e la stessa Ikea stanno rivedendo il modello dell’offerta spostandosi verso nuovi servizi di maggior valore e qualità: l’home stylist e l’interior designer per Ikea o fungere da ponte tra cliente e artigiano e semplificando la visita in store come sta facendo Leroy Merlin.

«Negli scorsi anni la disponibilità di tecnologie digitali sempre più integrate – spiega Emilio Bellini, responsabile scientifico dell’Osservatorio innovazione digitale nel retail – ha permesso di progettare un'esperienza cliente in cui quest’ultimo potesse accedere, senza barriere, ai diversi canali di acquisto del prodotto o del servizio in distribuzione: negozio fisico, e-commerce, social media, app dedicate. Allo stesso tempo la difesa dall’e-commerce aveva spinto molti retailer verso la progettazione di spazi “ibridi” in cui il cliente-visitatore potesse accedere a diverse categorie merceologiche legate tra di loro da interdipendenze di natura commerciale (librerie e food, lavanderie e spazi di ristorazione, giocattoli e abbigliamento per bambini Oggi all’interno dei modelli ibridi omniexperience, invece, il visitatore può non solo accedere a più canali di vendita ma anche trascorrere un tempo dedicato contemporaneamente a diverse esperienze rilevanti per il proprio stile di vita, esperienze in cui il prodotto in distribuzione viene usato e assume significato».

Nel percorso vero un nuovo modello di punto vendita si possono individuare tre direzioni di percorso, non antitetiche, ma spesso incrociate e integrate tra di loro: del recupero della prossimità già si è detto, dove l’accento viene posto sulla qualità del prodotto, la cura della relazione, la personalizzazione. Altra direzione è quella dell’integrazione, con l’emergere di modelli omnicanale che vedono l’ingresso di retailer online nel fisico e l’automazione di molte attività (come il ritiro degli ordini online). Infine la ricerca di nuovi formati di store, incentrati sulla personalizzazione e la riduzione delle attività di scarso valore da parte degli addetti per concentrarsi sulla relazione con il cliente.

«Il negozio del futuro diventa uno spazio che amplifica la conoscenza di sé e che riconosce il visitatore: un luogo dove la tecnologia può essere inserita in modo sapiente per abilitare una misurazione sistematica e completa di alcuni KPI – spiega Pontiggia – applicando al negozio fisico le logiche di misurazione tipiche del web, più strutturata, frequente e granulare della semplice vendita al metro quadrato». E conclude: «Il negozio diventerà sempre più un luogo dove il consumatore vivrà un’esperienza, valorizzerà il proprio tempo ed entrerà in contatto con i prodotti. E la tecnologia sarà sì presente ma non sarà fine a sé stessa».

A cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab