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L’Istat racconta il “cambiamento” dei consumi

Il cambiamento dei pesi delle categorie all’interno del Paniere dell’Istat, rivisitato ogni anno, non solo sottolinea “aspetti di costume” ma consente di raccontare nel tempo come sono cambiati i consumi

Illustrazioni_2012-124RID.pngTutte le analisi sulle ripartizioni del budget familiare segnalano l’aumento del peso delle “spese obbligate” a scapito dei consumi. Si tratta di un’evidenza indiscutibile se ci si riferisce ai consumi considerati nel loro complesso ma se ci si restringe al campo del largo consumo si scopre che in realtà da quando c’è l’euro la loro incidenza sulle uscite familiari è praticamente invariata. L’alimentare sommato a cura casa e cura persona pesava il 20,01% nel 2000, oggi pesa il 20,00% e nel corso del quindicennio ha oscillato pochissimo, toccando il minimo nel 2006 con il 18,5% e il massimo lo scorso anno con il 20,03%. Se si riduce ulteriormente il campo di analisi escludendo l’alimentare fresco si evidenzia un incremento nel periodo di 30 centesimi di punto, dal 12,83% del 2000 all’attuale 13,13%.

Tabella 1

Le quote che citiamo sono ricavabili esaminando la composizione dei panieri adottati anno per anno dall’Istat per determinare le variazioni mensili del Nic, l’indice del costo della vita per l’intera collettività nazionale. Quando vengono presentate le modifiche al paniere, i media si soffermano su aspetti per così dire di costume, indicando quali prodotti o servizi escono del paniere e chi invece vi fa il suo ingresso. Nel 2015 sono ad esempio usciti dal paniere i navigatori satellitari, che da quando i cellulari offrono gratis il servizio non compra più nessuno, i registratori dvd e gli impianti hi fi ed è entrato invece il costo dell’assistenza fiscale da parte dei Caf per il calcolo dell’Imu e della Tasi o il caffè al ginseng nei distributori automatici; sono modifiche che suscitano una giustificata curiosità ma che ben vedere riguardano voci di costo che proiettate sul totale delle spese delle famiglie valgono nell’ordine dei decimillesimi di punto. Può invece risultare più interessante esaminare come lo spostamento dei pesi delle varie categorie all’interno del paniere generale racconti il cambiamento avvenuto negli anni. Cerchiamo di illustrarlo nelle tabelle che abbiamo preparato partendo dai numeri presenti sul sito dell’Istat.

Le divisioni di spesa

Dicevamo delle spese obbligate. Istat opera una prima ripartizione del paniere in 12 “divisioni di spesa”: dalla variazione dei dati intercorsa tra il 2000 e il 2015 il dato più evidente è il balzo della categoria in cui si concentrano le bollette, ovvero “abitazione, acqua, elettricità e combustibili”: l’incidenza della spesa è aumentata del 25% in dieci anni; minore l’incremento dal 2000, ma la spiegazione è facile: allora il petrolio costava meno.

Tabella 2

Nella lettura del dato bisogna tenere presente che le imposte sulla casa, che pure hanno avuto un incremento fortissimo a partire dal 2011 non entrano nel computo dell’inflazione, come le imposte dirette (mentre Iva e accise che sono una componente del prezzo finale, entrano nel conto) ma ovviamente hanno comportato una riduzione sostanziosa del potere d’acquisto: una pensionata vedova che vive nella vecchia casa di famiglia oggi magari si trova a dover pagare diverse centinaia di euro di imposte, che vanno inevitabilmente a impattare sui suoi consumi.

E che cosa farà la pensionata del nostro esempio? Taglierà le spese voluttuarie, in primis i vestiti. È proprio quello che hanno fatto le famiglie italiane, visto che il peso dell’abbigliamento e delle calzature è crollato addirittura del 33,5%. Va però detto che il calo è dovuto solo in parte al fatto che si compra meno; la diffusione delle catene del pronto moda ha anche fatto sì che l’abbigliamento costi meno. Di oltre il 27% dal 2000 è diminuito il peso dell’arredamento, un calo connesso strettamente alla crisi del mercato immobiliare. Il fuori casa registra un sensibile aumento dal 2000 e dal 2005, flette solo dal 2010 da quando cioè l’aumento della disoccupazione ha ridotto il numero degli italiani che fanno la “pausa pranzo”. Cala il peso delle comunicazioni, perché nonostante il mercato della telefonia mobile abbia registrato un boom  i prezzi delle tariffe e degli smartphone in termini reali sono diminuiti.

In gdo

Come abbiamo detto per quanto riguarda l’alimentare, il cura casa e il cura persona le variazioni intervenute negli ultimi quindici anni sono contenute. È evidente che trattandosi di spese ben poco comprimibili ristagnano esattamente come l’economia. In fasi di crescita sostenuta del Pil (in Italia ci sono state anche queste, ma se ne sono accorti solo i meno giovani) il peso del food  di norma si contrae. Un fenomeno degno di nota - spiegabile con l’aumento della quota di mercato della gdo- è il guadagno di quote dell’alimentare confezionato a scapito del fresco; dal 2000 a oggi il gap è aumentato di quasi mezzo punto (10,25% confezionato – 7,18% fresco nel 2000, 10,74% contro 6,87% oggi) (vedi tabella 2). Nella ultime tabelle presentiamo anche una serie di numeri ricavati isolando dalle voci di spesa del paniere le 20 con il maggior peso tra quelle che rientrano normalmente nell’assortimento della distribuzione organizzata. Un confronto puntuale tra i pesi del 2015 e quelli fino al 2010 non è del tutto corretto perché la composizione di alcune voci è cambiata a partire dal 2011. Ma qualche indicazione è possibile trarla. A partire da quella del tracollo della spesa per la carne bovina, che rimane in testa alla classifica ma con l’1,34% della spesa, mentre nel 2000 rappresentava l’1,90%.

Tabella 3

Tabella 4

Ha perso quindi il 29,4%. Aumentano però pollame e salumi, che offrono proteine a costo minore, ma anche frutta e verdura. Perde solo marginalmente quota il pane, nonostante le notizie regolarmente rilanciate sul crollo dei consumi.

A cura di Gino Pagliuca