economia

03. Il legame col territorio arma contro l’Italian sounding

Sono due gli elementi su cui deve fondarsi la valorizzazione dei prodotti tipici italiani sui mercati globali. Il primo, affidato prioritariamente alla responsabilità di chi quelle specialità le produce o le distribuisce, sta nel raccontare ai loro fruitori il legame inscindibile dei prodotti coi territori in cui hanno avuto origine. Il secondo, affidato congiuntamente ai produttori e allo stato, sta nel tutelare quelle specialità dalla contraffazione.

Il gastronauta Davide Paolini, nella seconda tavola rotonda del Forum Food & Made in Italy ha cercato di fare il punto della situazione coi suoi ospiti.

«Quello del vino», ha evidenziato Maurizio Zanella, presidente del Consorzio per la tutela del Franciacorta, «è un caso fortunato, perché il territorio è parte integrante del successo di un vino e perché le aziende vitivinicole hanno il controllo completo della filiera nel caso di vini d’eccellenza. Abbiamo così potuto dotarci di strumenti che hanno anteposto il territorio al prodotto e lasciato alla capacità delle singole aziende il compito di valorizzare il vino nel mondo. Fare altrettanto nell’alimentare mi pare più complesso, perché la denominazione del prodotto, penso al parmigiano-reggiano o al prosciutto di San Daniele, spesso prevale sulla marca del produttore, che sovente è sconosciuta al vasto pubblico».

«L’accordo commerciale da poco siglato dall’Ue col Canada», ha ammesso Vladimir Dukcevich, presidente del Consorzio del prosciutto di San Daniele, «ci consentirà di commercializzare prosciutto di San Daniele e di Parma autenticamente italiano in questo paese, ove operatori locali s’erano appropriati delle nostre denominazioni registrandole come un loro marchio e chiudendoci la strada. Ciononostante non credo che il nostro export verso il Canada incrementerà in modo significativo. Per quanto i prosciutti italiani siano nettamente superiori come gusto, non possiamo trascurare il fatto che non tutti i consumatori d’Italian sounding, una volta assaggiato il prodotto autentico, faranno immediatamente il salto di qualità. Non tutti saranno disposti a spendere quasi il doppio per il prodotto autentico. Ciò detto, ritengo che sarebbe importante che il nostro governo facesse la voce grossa e dicesse basta bandiere italiane stampigliate in ogni dove. Già questo sarebbe un passo avanti».

«L’Italia», ha constatato Paolo Marzano, partner dello studio legale associato Legance, «non ha fin qui ritenuto di replicare l’efficace sistema Usa, che ha una priority watch list, ossia un elenco di paesi da tenere sotto controllo e contro cui far scattare prontamente misure di ricatto e pressione commerciale, perché con la loro pirateria sottraggono guadagni all’industria americana. E purtroppo per noi l’Italia occupa il primo posto fra i paesi europei in quella lista nera. Per questo riterrei utile per i produttori italiani dotarsi di un marchio collettivo. Sarebbe più facilmente tutelabile, considerato che la legislazione statunitense già riconosce il valore di alcuni marchi: per esempio la patata dell’Ohio e alcuni prodotti tipici delle tribù indiane tramite l’Indian arts & craft act. La dicitura made in Italy, infatti, per quanto nota e fortemente evocativa non è un marchio. Non esiste un soggetto che ne sia proprietario e che ne abbia regolato l’utilizzo con un disciplinare, è e rimane quindi esposto alla concorrenza sleale dell’Italian sounding».

A cura di Luisa Contri