economia

Rapporto Censis: una società paralizzata senza spinte collettive

Una fotografia pessimista dell’Italia, con qualche spiraglio di luce

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Un paese che trascina i piedi, un paese che guarda e aspetta, un paese di sonnambuli. Il Censis scatta una fotografia in gran parte pessimista ma con qualche spiraglio di luce. L’Italia ha abbandonato la dimensione collettiva e lo sciame ha lasciato lo spazio a tante scie.

«Il modello di sviluppo adattativo che ha sempre caratterizzato l’Italia, in cui i processi collettivi sono sempre stati l’elemento di sintesi, si è usurato, si è sfaldato. È in difficoltà», afferma Giorgio De Rita, segretario generale del Censis raccontando il 57mo Rapporto sulla situazione sociale del Paese.

E il sonnambulismo, “il sonno profondo del calcolo raziocinante che servirebbe per affrontare dinamiche strutturali dagli esiti funesti”, non è solo delle classi dirigenti che rimuovono o sottovalutano processi economici e sociali largamente prevedibili nei loro effetti (per esempio la bomba demografica che nel 2050 condurrà alla perdita di 4,5 milioni di residenti): sembrano rimossi dall’agenda collettiva dell’intero paese, o sono comunque sottovalutati. Classe dirigente insipiente e colpevole è la sentenza del Censis.

Ma lo è anche la maggioranza degli italiani, “resi più fragili dal disarmo identitario e politico, al punto che il 56% (il 61,4% tra i giovani) è convinto di contare poco nella società. Feriti da un profondo senso di impotenza, se il 60,8% (il 65,3% tra i giovani) prova una grande insicurezza a causa dei tanti rischi inattesi. Delusi dalla globalizzazione, che per il 69,3% ha portato all’Italia più danni che benefici. E rassegnati, se l’80,1% (l’84,1% tra i giovani) è convinto che l’Italia sia irrimediabilmente in declino”.

PAURE E PREOCCUPAZIONI

Nel mercato dell’emotività tutto è emergenza, quindi nessuna lo è veramente. Le paure e i timori si moltiplicano: l’84,0% degli italiani è impaurito dal clima “impazzito”, il 73,4% teme una violenta crisi economica nei prossimi anni, il 73% l’aumento dei flussi migratori a causa delle guerre e del cambiamento climatico, il 51% il collasso dello Stato per il debito pubblico, senza considerare chi ha paure di un conflitto mondiale (59,9%) e del terrorismo (59,2%). Preoccupazioni destano anche la difficoltà a pagare le pensioni future (73,8%) e la tenuta della sanità pubblica (69,2%). «Sono scenari ipotetici che paralizzano invece di mobilitare risorse per la ricerca di soluzioni efficaci e generano l’inerzia dei sonnambuli dinanzi alla complessità delle sfide che la società contemporanea deve affrontare», chiosa Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis.

IL VALORE DELLE PICCOLE COSE

È allora il tempo dei desideri minori: non più uno stile di vita all’insegna della corsa ai crescenti consumi per conquistarsi l’agiatezza, ma una più pacata ricerca di piaceri consolatori per garantirsi uno spicchio di benessere. Non hanno la forza collettiva del precedente modello di sviluppo ma tendono a smorzare il ciclo.

Per l’87,3% delle persone occupate mettere il lavoro al centro della vita è un errore. Non è il rifiuto del lavoro in sé, ma un suo declassamento nella gerarchia dei valori esistenziali. Non sorprende quindi che il 62,1% degli italiani avverta il desiderio quotidiano di momenti da dedicare a sé stessi o che un plebiscitario 94,7% rivaluti la felicità derivante dalle piccole cose di ogni giorno, il tempo libero, gli hobby, le passioni personali. Rispetto al passato, l’81,0% degli italiani dedica molta più attenzione alla gestione dello stress e alla cura delle relazioni, perni del benessere psicofisico individuale.

TRANSIZIONI INCOMPLETE

Sul fronte del lavoro si è passati dagli allarmi sugli elevati tassi di disoccupazione al record di occupati (23.449.000 al primo semestre: il dato più elevato di sempre), mentre il sistema produttivo lamenta sempre più frequentemente la carenza di manodopera e di figure professionali. Ma l’occupazione è cresciuta in maniera più che proporzionale alla crescita dell’economia (stagnante nel terzo trimestre) e pone interrogativi sulla capacità del sistema produttivo di generare valore.

Anche le diverse transizioni sono incomplete.

“Quella digitale comincia a fare i conti con una platea via via più ampia e differenziata di fragilità e di esclusioni per scarsità di risorse, competenze, infrastrutture, reti. L’accelerazione degli effetti della crisi ambientale mostra i ritardi e il bisogno insoddisfatto di politiche, strumenti, investimenti pubblici e privati per la messa in sicurezza del territorio e delle infrastrutture. La transizione energetica ha superato la prima stazione di arrivo e appare evidente che ora serve un bilanciamento tra sicurezza degli approvvigionamenti, innovazione tecnologica, riduzione dell’impatto delle attività industriali, schiodando la coscienza collettiva ferma al caro-energia. La transizione demografica, con l’invecchiamento della popolazione e la crisi della natalità, è la trasformazione più chiara che abbiamo sotto gli occhi e della quale sono più evidenti le dinamiche di medio periodo” segnala il Censis.

Nel 2050 gli anziani saranno 4,6 milioni, il 34,5% della popolazione mentre le coppie con figli nel 2040 saranno solo il 25,8% del totale e le famiglie unipersonali aumenteranno a 9,7 milioni, il 37% del totale, di cui 5,6 milioni (il 60%) quelle di persone anziane sole.

Vi è poi la stagnazione dell’economia registrata nel terzo trimestre (0,0%) che certifica una nuova fase di incertezza, che peraltro ancora non incorpora gli effetti del conflitto in Medio Oriente e vi sono i 5,9 milioni gli italiani attualmente residenti all’estero, pari al 10,1% dei residenti in Italia, con un significativo aumento della quota giovanile (il 44% degli 82.014 espatriati nell’ultimo anno), con una forte componente di laureati. “Un drenaggio di competenze che non è inquadrabile nello scenario di per sé positivo e auspicabile della circolazione dei talenti, considerato che il saldo migratorio dei laureati appare costantemente negativo per il nostro paese” commenta il Censis.

L’APPRODO A UN NUOVO MODELLO

Dove approderà questa società di “scie autonome”, che senza la potenza delle spinte collettive avrà difficoltà ad affrontare i tanti difetti strutturali?

«Si sta componendo – afferma De Rita – un disegno ancora confuso in cui prevarranno il lasciar essere, l’autonoma possibilità – specie per le giovani generazioni – di interpretare lavoro, investimenti, coesione sociale senza vincoli collettivi. In cui la solitudine sarà la dimensione sociale. Ci sono due aspetti che possono indicare in nuce la via dei prossimi anni. Il primo è il rovesciamento del senso del lavoro: non sono più le imprese a selezionare i lavoratori, ma questi ultimi a scegliere le imprese dove lavorare sia perché ognuno ha interessi diversificati da tenere insieme, sia per la dimensione salariale della posizione, sia perché c’è la ricerca di un sistema di valori condivisi. Spiazzando le imprese. Il secondo elemento è il risparmio. La sua funzione sociale di rassicurazione oggi viene meno». La gestione finanziaria del debito pubblico, in uno scenario interno e internazionale denso di incertezze e di tensioni, ha rimesso al centro della vita economica e sociale la funzione del risparmio delle famiglie e le necessità di investimento delle imprese.

«Questi due aspetti – conclude De Rita – rimettono al centro dell’attenzione i giovani, forse la migliore generazione di sempre, i più determinati a riprendere in mano un modello di sviluppo che è il loro, che probabilmente eliminerà alcuni riferimenti cui siamo abituati, ma è il solo elemento che ci fa dire che il paese ha ancora la voglia di fare.

A cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab