economia

Le domande sulla crisi. E le risposte

La crisi del debito pubblico continua a creare forti tensioni sui mercati finanziari internazionali. Si rivedono al ribasso le stime di crescita e il timore di una nuova recessione diventa concreto. Tutti vorremmo sapere come andrà a finire la crisi del debito pubblico. Vorremmo essere rassicurati sul fatto che non ci sarà una nuova recessione. Ma non abbiamo la sfera di cristallo per indovinare quali decisioni prenderanno le organizzazioni sovranazionali e i governanti dei diversi paesi, cosa faranno le banche centrali, come reagiranno le borse e le opinioni pubbliche. Possiamo, invece, abbozzare scenari e rispondere su aspetti specifici.
Così lavoce.info ha deciso di rispondere alle domande più significative e interessanti dando vita a un interessante dossier. Noi di Tendenzeonline ne abbiamo selezionate alcune e ve le proponiamo come risultato di una discussione collettiva su temi che giorno dopo giorno salgono nella lista delle preoccupazioni e delle priorità nell'attività delle imprese e nella vita dei cittadini.

Domanda. Perché con l'emissione di eurobond il cittadino tedesco "paga" il salvataggio degli altri paesi?
Risposta. Vi sono varie versioni di eurobond. Prendiamo la più semplice: un nuovo ente europeo emette bond che sono garantiti interamente e in solido da ciascun paese. Questo significa che, se un paese rifiuta di pagare gli interessi e/o il capitale, tutti gli altri paesi sono responsabili per l'intero ammontare degli interessi e/o del capitale. È chiaro il vantaggio per un paese come l'Italia e la Grecia: un eurobond ha la garanzia dei paesi con rating tripla A, quindi può essere emesso a un tasso di interesse inferiore a quello attualmente pagato da Italia e Grecia. Ma il guadagno di Italia e Grecia è, allo stesso tempo, la perdita di Germania e Olanda: i paesi con tripla A si troveranno a pagare interessi più alti di quanto paghino ora, perché "dietro" un eurobond ci sono tutti i paesi, inclusi paesi a basso rating e alto rischio come Italia e Grecia. Quindi c'è il rischio che, se Grecia e/o Italia dovessero fare effettivamente default su una parte di interessi e capitale di loro competenza, i paesi con tripla A dovrebbero intervenire per ripagare la parte non pagata da Grecia e Italia. In altre parole, con gli eurobond la Germania si assume una parte del premio al rischio pagato da Italia e Grecia, quindi il tasso di interesse sugli eurobond sarà più alto di quello sui bund tedeschi. Si noti una differenza fondamentale con l'European financial stability facility: il debito emesso da quest'ultimo non è garantito in solido da ogni paese, ma solo in proporzione al Pil di ciascuno. Per esempio, attualmente la garanzia fornita dalla Germania ammonta al 30 per cento del debito emesso dall'Efsf. Quindi la perdita massima tedesca ha un tetto ben definito. L'Efsf rappresenta sempre un'assunzione di rischio da parte della Germania (i prestiti fatti dall'Efsf potrebbero non essere ripagati), ma almeno la perdita massima è limitata e definita. Questo è il motivo per cui la Germania finora ha accettato l'Efsf, ma non gli eurobond.
Roberto Perotti

Domanda. È chiaro perché un tedesco non voglia sostenere l'onere degli altri paesi. Ma c'è qualche buon motivo, in soldoni, per cui dovrebbe invece accettare questo costo?
Risposta. Le imprese tedesche pagherebbero un costo molto elevato da una "resurrezione" del marco. Il neo-marco si rivaluterebbe molto nei confronti dell'euro orfano della Germania, il che renderebbe le esportazioni tedesche poco competitive. Anche le banche tedesche potrebbero pagare un costo molto elevato dato che i loro bilanci sono pieni di asset (titoli del debito pubblico greco, italiano, francese, eccetera) denominati in una valuta che si deprezzerebbe. Il valore di questi asset scenderebbe drasticamente, peggiorando la qualità dei bilanci delle banche e anche il loro valore di borsa, se sono quotate. L'opinione dell'elettorato tedesco non coincide però necessariamente con gli interessi delle imprese né con quelli delle banche.
Francesco Daveri

Domanda. I giornali hanno scritto di un piano da 3mila miliardi di euro varato dal G20 per evitare i default a cascata. Ma fisicamente, escludendo la soluzione di stampare moneta, chi mette sul piatto questi soldi? Gli stati del G20? Ma in questo modo per molti di essi non si creerebbe ulteriore debito entrando in una spirale perversa? Se il fondo salva-stati potesse emettere debito, si potrebbe fare un piano di salvataggio a leva? Con quali rischi?
Risposta. La crisi che sta sconvolgendo l'Europa è eccezionale e va affrontata con mezzi eccezionali. Il piano da 3 trilioni di cui ha parlato la stampa è pura fantasia, frutto delle solite voci. Dovrebbe essere un caso da manuale di manipolazione del mercato. La realtà è il Fondo europeo (European Financial Stabilisation Fund, Efsf) costituito nel maggio 2010, su decisione dei 27 paesi dell¹Unione, e finanziato dai 17 paesi aderenti all'unione monetaria, ciascuno dei quali contribuisce in base al suo peso nella Bce (il peso dell'Italia è di circa il 18 per cento). Attualmente, dopo le decisioni di luglio, può concedere crediti fino a 750 miliardi di euro. A maggio 2013 sarà sostituito dall'European Stabilisation Mechanism (Esm). Si tratta di una soluzione forse non ancora sufficiente, tanto che si parla di ulteriori potenziamenti o anche di trasformarlo in una vera e propria banca. Il problema è che il peso di evitare il tracollo delle banche europee e dell'euro è stato finora sopportato solo dalla Bce. Ma è bene mettere in evidenza che con questa azione, l'istituto di Francoforte non sta andando oltre i suoi compiti: tutte le banche centrali devono garantire non solo la stabilità della moneta, cioè dei prezzi, ma anche la stabilità finanziaria. E in questi mesi le banche (non solo quelle greche, ma anche quelle tedesche) non avrebbero potuto operare senza i sostegni massicci ottenuti dalla Bce. È ovvio che in questo modo si aumenta l'offerta potenziale di moneta, ma il rischio della catastrofe oggi era ed è molto maggiore del rischio di inflazione domani. Del resto, come ha recentemente messo in evidenza un noto economista belga, Paul De Grauwe, la Bce ha comprato meno titoli sia della banca centrale americana (Fed) sia di quella inglese (Bank of England, Boe). Quest'ultima ha in portafoglio il 17,7 per cento di tutti i titoli emessi dal Tesoro britannico; la Bce solo il 5,5 di quelli emessi dai paesi dell'euro. Se guardiamo al bilancio delle banche centrali (cioè alla contropartita della loro emissione di banconote) troviamo che i titoli pesano per Bce, Fed e Boe rispettivamente per 23, 56 e 87 per cento. È ovvio che si tratta di un intervento di emergenza, in attesa della piena operatività dell'Efsf (e forse di suoi ulteriori potenziamenti) e soprattutto in attesa di una soluzione drastica, ma capace di rassicurare definitivamente i mercati, per i paesi più a rischio come la Grecia attraverso, ad esempio, un default controllato. Ma se, come speriamo tutti, alla fine l'euro si salverà, una gran parte del merito andrà alla Bce.
Marco Onado

Domanda. Nonostante sia opinione diffusa la necessità del pareggio sin dal 2012, non è troppo rischioso farlo a tutti i costi?
Risposta. Non serve veramente il pareggio di bilancio nel 2012. Serve che migliori la qualità della manovra estiva con la predisposizione di misure che riducano la spesa pubblica in modo permanente e con il riavvio di privatizzazioni e liberalizzazioni. Se migliora la qualità della manovra, il pareggio di bilancio non serve. Se non migliora la qualità della manovra, il pareggio di bilancio nel 2012 (raggiunto attraverso un ulteriore aumento di tasse) non basterà.
Francesco Daveri

Domanda. La Bce ha ossessivamente perseguito una politica antinflazionistica assecondando il terrore tedesco di un ripetersi di una seconda Weimar. Non è che questo ci ha fatto cadere in una situazione ben peggiore di quella che avremmo vissuto con un po' di inflazione?
Risposta. Se un errore la Bce ha fatto è stato di tenere i tassi troppo bassi (certo, non quanto la Fed) e così contribuire, seppur marginalmente, ad alimentare la bolla il cui scoppio da quattro anni ci perseguita.
Francesco Giavazzi

Domanda. Negli ultimi tre anni abbiamo visto saltare banche nei maggiori paesi, ma non in Italia. Esiste oggi il rischio fondato che qualche nostra banca cada nell'insolvenza?
Risposta. Va detto che dopo il disastro causato da Lehman Brothers, è da escludere che si arrivi al fallimento di altre banche. Dunque, il rischio che qualcuno "salti" in Italia come in altri paesi, è molto basso. Detto questo però va ricordato che: a) le banche italiane erano sicuramente più robuste delle altre al momento in cui la crisi è scoppiata (ormai quattro anni fa) ma da allora molte cose sono cambiate. b) Stiamo assistendo ad una recrudescenza della crisi. Chi si era illuso che il peggio fosse già alle spalle, si è dovuto ricredere. Il recente rapporto sulla stabilità finanziaria del Fondo monetario internazionale ha affermato che gli indicatori di rischio e di fragilità sono tornati a salire, come non accadeva dai tempi di Lehman (ottobre 2008). c) L'economia mondiale sta rallentando e qualcuno teme addirittura una recessione: ciò naturalmente amplifica i problemi finanziari. d) Il problema centrale oggi è la crisi europea: il timore di un default della Grecia (ma anche di Portogallo e Irlanda) ha determinato il "contagio" all'Italia e alla Spagna. Sono quindi saliti i differenziali di tasso (spread) richiesti dagli investitori per comprare titoli pubblici di questi paesi. Gli spread italiani si trovano ormai da due mesi sopra i 3,5 punti. Lo Stato italiano paga cioè, per i nuovi debiti, 3,5 punti più della Germania (che paga invece meno di 2). e) In questa situazione le banche si trovano in grande difficoltà per due motivi. Vedono aumentare le perdite sui titoli posseduti (i vecchi titoli valgono meno perché sono disponibili altri con tassi superiori) e devono sopportare costi di raccolta che salgono proporzionalmente all'aumento degli spread del Tesoro. f) Gli spread italiani sono oggi superiori a quelli spagnoli (non era così fino ad agosto) perché la manovra italiana di aggiustamento dei conti è stata confusa, incoerente e poco credibile. g) Le banche italiane oggi non sono molto più fragili di altre (le francesi, ad esempio, che sono anch'esse nell'occhio del ciclone in questi giorni) ma scontano l'effetto congiunto della crisi europea e dell’incapacità di crescita del paese. g) La soluzione del problema passa per interventi finalmente risolutivi in Europa che riescano ad arginare una crisi che rischia di travolgere l'euro e l'intera costruzione europea. Ma anche per un'azione di governo capace di rilanciare finalmente un'economia che negli ultimi 12 anni è cresciuta complessivamente solo del 2,7 per cento e che, secondo le previsioni del Fondo monetario, accumulerà altri due punti di ritardo nei prossimi due anni. Non ci possono essere banche robuste in un'economia stagnante.
Marco Onado

Domanda. Anche se i tedeschi sono ferocemente contrari, aumentare la liquidità e abbassare la quotazione dell'euro potrebbe giovare all'economia europea?
Risposta. Una svalutazione dell'euro aiuterebbe la competitività dell'industria europea, soprattutto quella delle aziende che hanno costi in euro, cioè che usano poche materie prime e tanto lavoro. Quindi se l'euro si deprezza, ma non crolla, è una buona notizia. Peraltro, l'eventuale mossa della Bce potrebbe essere vista semplicemente come una reazione a una mossa analoga già in atto da tempo da parte della Fed che da quando ha inaugurato i suoi piani di Qe (quantitative easing) sta di fatto mantenendo basso il valore del dollaro a spese di tutti gli altri paesi del mondo. Le mosse coordinate di Fed e Bce solleverebbero la (legittima) protesta dei paesi emergenti che già da tempo si lamentano della strisciante aggressione valutaria degli americani.
Francesco Daveri

Domanda. Sarebbe auspicabile che la Cina comprasse debito Italiano?
Risposta. Certo, sarebbe auspicabile. Ma i cinesi sono troppo furbi per farlo. In realtà vogliono comprare, ma il 30 per cento dell'Eni, non una promessa del Tesoro italiano.
Francesco Giavazzi

Domanda. È concepibile l'abbandono dell'euro da parte di un paese? In che modo e a quali costi avverrebbe la conversione dall’euro alla nuova/vecchia valuta?
Risposta. Rispondiamo riportando un estratto dal paper di Willem Buiter e Ebrahim Rahbari The future of the euro area: fiscal union, break-up or blundering towards a ‘you break it you own it Europe pubblicato da Citi Investment Research & Analysis.
“Una rottura dell’area euro è molto improbabile, ma non impossibile. L’interpretazione prevalente dei Trattati sostiene che per un paese è possibile abbandonare l’Eurozona solo se contemporaneamente abbandona anche l’Unione Europea. Ovviamente, i Trattati europei si possono sempre rivedere. Neanche la possibilità d’espulsione di un paese è prevista dai Trattati. Tuttavia, è possibile che, collettivamente, sedici paesi dell’area rendano molto difficile la vita per il diciassettesimo, tanto che il miglior piano di azione per la vittima potrebbe essere l’abbandono dell’area. Un rifiuto della Bce di continuare a concedere finanziamenti alle banche greche accettando debito sovrano o debito sovrano garantito come garanzia, potrebbe rappresentare un punto di rottura di questo tipo. Qualunque siano le modalità scelte, l'uscita dall'Eurozona sarebbe comunque una questione molto complessa. È assai improbabile che si possa prendere in considerazione uno scenario nel quale uno Stato membro dell'area “si prende una vacanza” dall'euro per un paio di anni, adotta temporaneamente la sua vecchia moneta e ottiene un forte deprezzamento del valore di questa stessa valuta per poi tornare nell'area euro con il tasso di cambio più competitivo. Il paese in questione dovrebbe chiedere di nuovo l'adesione all'Unione Europea e, nel caso la richiesta fosse accolta, dovrebbe soddisfare nuovamente i parametri di Maastricht per rientrare a far parte dell'Eurozona. È anzi probabile che gli Stati membri effettivi cercherebbero di applicare criteri ancora più rigidi di quelli originali di Maastricht e sarebbero più attenti nella ricerca di eventuali “trucchi” che possano aver permesso il precedente ingresso nell'area euro. È importante sottolineare che è possibile il default pur rimanendo all'interno dell'Eurozona. La proposta di un buy-back presente nel secondo pacchetto di salvataggio della Grecia concordato al vertice di emergenza dell'Unione Europea del 21 giugno implica un giudizio di “default selettivo” sul debito sovrano greco da parte di Standard&Poor's. Un fallimento ha costi e benefici che dovrebbero essere tenuti ben distinti dalla questione dell'uscita dall'Eurozona. Un approccio indirizzato a ristrutturare i livelli eccessivi di debito sovrano, accompagnato da una ristrutturazione del debito bancario e da una ricapitalizzazione delle banche e dalle necessarie riforme strutturali può rappresentare il catalizzatore di migliori prospettive di crescita per il futuro. Inoltre, se per esempio la Grecia uscisse dall'area euro, ci sarebbe la necessità di introdurre una nuova moneta. Così oltre a tutti i numerosi problemi che il cambio di valuta comporterebbe, avremmo anche il costo dell'introduzione di nuove banconote e monete con i connessi costi di distribuzione. E sono da considerare anche i costi del passaggio a un diverso numerario nei contratti e nei pagamenti: per le transazioni finanziarie wholesale questi costi sono probabilmente bassi, ma per milioni di famiglie e piccole imprese il costo del cambiamento del numerario nelle fatture, nella contabilità, nei bilanci eccetera può rivelarsi per niente banale. La Grecia ha avuto a disposizione un decennio per introdurre l'euro, potrebbe avere solo pochi mesi per l'introduzione della Nuova Dracma”.
(a cura di Isabella Rota Baldini)

Domanda. Consideriamo lo scenario peggiore: il break up dell'euro. Che cosa implicherebbe per i paesi europei, in particolare per l'Italia?
Risposta. Risposta difficile: dipende da quale sarebbe il nuovo regime dopo il break up. Consideriamo due possibili scenari. 1. Si ritorna alla lira. Il passato ci aiuta a fare qualche inferenza. Assisteremmo a una forte svalutazione, un rapido guadagno di competitività, una ripresa dell'economia e poi un aumento dei prezzi interni, pressioni sui salari, inflazione, nuova svalutazione ecc. Un po’ il film degli anni Settanta. Un forte disincentivo a fare riforme strutturali perché la svalutazione agirebbe da sostituto. 2. Si creano due monete europee o due aree monetarie: euro Nord e euro Sud. Ci sarebbe una forte svalutazione dell'euro Sud, guadagno di competitività e aumento dell'export verso i paesi del Nord Europa, ripresa più rapida, e vampata inflazionistica come sopra. Ma, se la Bce del Sud godesse di sufficiente autonomia istituzionale, dovrebbe resistere maggiormente alle pressioni a finanziare la spirale prezzi-salari. Quindi, potenzialmente, meno inflazione. Ciò, del resto, in parte dipenderebbe dall'accordo tra le due Bce. È possibile, che dopo l'aggiustamento iniziale, si converrebbe un cambio fisso tra euro Nord e euro Sud, che agirebbe da freno alla spirale prezzi-salari.
Luigi Guiso

(tratto dal sito www.lavoce.info)