economia

Innovare, innovare, innovare

Innovare costantemente come conditio sine qua non del successo dell’impresa. Cogliere le opportunità che si aprono sui mercati in conseguenza della crisi globale per poter riprendere a crescere. Sono i mantra degli ultimi 24 mesi, più e più volte indicati da consulenti e top manager come gli obiettivi da centrare. Una missione possibile per le imprese italiane.
Come ha dichiarato a Tendenzeonline, Jonas Ridderstråle, uno tra i guru più creativi al mondo nel campo dei nuovi modelli aziendali e degli stili di leadership, PhD in commercio internazionale, accademico, consulente di numerose multinazionali, scrittore, conferenziere e attualmente visiting professor presso la Ashridge Business School, a margine del talk show «Karaoke o innovazione? La forza delle idee, le strade per realizzarle», svoltosi il 13 maggio scorso a Milano per iniziativa di Class Cnbc e della banca Monte dei Paschi di Siena, con la collaborazione dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca: «l’innovazione non dev’essere necessariamente tecnologica. Questo genere d’innovazione, infatti, può oggi garantire un vantaggio competitivo solo di breve durata: non andrà oltre il tempo che ci metteranno i competitor a replicare quella nuova tecnologia. Può piuttosto riguardare il modello operativo dell’impresa stessa».

E parlando di modelli operativi, secondo Ridderstråle, le aziende possono scegliere d’adottarne uno improntato all’efficienza: snello, agile, che consenta di contenere al massimo i costi, com’è il caso di Ryanair, Ikea, Dell, Toyota, ecc., oppure uno che fa leva sul fascino, sull’emozionalità. «E le aziende italiane», ha sottolineato il guru svedese, «espressione di una creatività diffusa unica al mondo, sono quelle che meglio possono avvantaggiarsi della scelta di questo secondo tipo di modello operativo, il modello sexy. Possono infatti far leva su aspetti distintivi come la storia, la tradizione, la qualità, il design, il fascino. E possono accompagnare sul mercato i loro prodotti ricchi d’appeal con una serie di servizi accessori, senza pretendere di fare tutto da sole. È anzi meglio che coinvolgano i loro clienti nel processo di messa a punto dei prodotti e dei loro servizi accessori. Così come un concerto di Bruce Springsteen nel quale lui canta sul palco e gli spettatori si limitano a guardare dalla platea non sarebbe un’esperienza emozionante, il prodotto alla cui creazione partecipano attivamente i clienti esercita oggi maggior fascino».
Ridderstråle suggerisce insomma alle aziende che puntano a crescere e ad avere successo nell’economia globalizzata di oggi - che è molto più complessa e interconnessa tecnologicamente, economicamente, politicamente e fisicamente rispetto a pochi anni addietro -, di sforzarsi d’uscire dal coro, piuttosto che di concentrarsi su concetti come il benchmarking o le best practice, tipici del karaoke capitalism ovvero di una società ove abbondano le imprese fotocopia. «Oggi le copiature non rendono più», ha detto Ridderstråle, «soprattutto se teniamo conto che ci dobbiamo confrontare con economie low cost come quelle cinesi, indiana, sudcoreana, ecc.».

Per uscire dal coro le imprese dovranno modificare la loro organizzazione interna, abbandonando la tradizionale struttura piramidale nella quale, come aveva correttamente riassunto Jack Welch, ex ceo di General Electric, il management ha gli occhi puntati sul capo e volta le spalle ai clienti, e nella quale è insito il rischio che il management nello sforzo di eliminare le note stonate finisca per emarginare anche la creatività dei propri collaboratori.
«Dovrebbero adottare un’organizzazione a rete», ha spiegato Ridderstråle, «in cui le diversità culturali interne al management sono valorizzate, così da stimolare la creatività e ulteriori future innovazioni. Un’organizzazione di questo genere si coordinerà spontaneamente, allo stesso modo in cui un gruppo di persone cui è richiesto di battere le mani al medesimo ritmo, lo farà all’unisono dopo aver battuto le mani soltanto tre o quattro volte. Sarà inoltre meglio in grado di utilizzare a 360 gradi i feed back che riceve dal mondo esterno».

Feed back rispetto ai quali le aziende di successo devono essere in grado di agire e reagire velocemente. Di qui la raccomandazione di Ridderstråle di abbandonare ogni velleità di previsione e pianificazione. «Viviamo nel tempo delle sorprese», ha detto il guru. «Non solo. Il livello di complessità e interconnessione del mondo attuale fa sì che il tempo fra una sorpresa e l’altra si stia accorciano. Le aziende devono dunque sapersi adattare in tempo reale alle risposte che ricevono dall’esterno».
Un’attenzione alle qualità umane dell’imprenditore condivisa da Ridderstråle, secondo il quale il capitano d’industria, per avere successo, dev’essere in grado di comprendere sia i cambiamenti in atto nel panorama socio-economico sia i meccanismi che consentono di trasformare un’idea in una fonte di reddito. Deve avere fiducia in se stesso e nella sua capacità di realizzare il prodotto/servizio che il pubblico sceglierà. «In un mondo in cui sempre più le persone cercano prodotti unici, ma che li facciano al contempo sentire parte di un gruppo, di una tribù», ha detto Ridderstråle, «l’imprenditore dovrà cercare d’instaurare un rapporto con la propria clientela, e anche con i suoi collaboratori, condividendo con loro un sogno, dei valori comuni, un’esperienza emozionale. Tutte le grandi aziende di successo hanno alla base un sogno. Due esempi? Sony da sempre punta a essere un’azienda apripista, inventrice di prodotti nuovi: dal Walkman alla PlayStation. Apple è altrettanto di successo pur non avendo inventato nulla, ma avendo puntato a dar vita a comunità d’utenti che s’identifica nei valori di design, qualità e attenzione ai dettagli».
Andrea Cabrini, direttore di Class Cnbc, al termine del dibattito, non si è lasciato sfuggire l’occasione di chiedere a Ridderstråle di dare una sua valutazione sul futuro che ci aspetta. «Ci potranno essere criticità per un altro anno o due», ha risposto il guru, «ma sono convinto che siamo vicini all’uscita dal tunnel. Una maggiore mobilità fra i cittadini dei paesi Ue e una migliore comprensione reciproca, tramite l’inglese come seconda lingua comune, potrebbero certo accelerare il ritmo dell’innovazione nel vecchio Continente. Ritmo che ritengo sia oggi ancora più sostenuto rispetto a quello dei paesi emergenti, per esempio della Cina. Non è da escludere poi che anche questi paesi andranno incontro a problemi, a rivendicazioni di una maggior tutela dei diritti come cittadini e come lavoratori. Tornando all’Italia, penso che il potenziale d’innovazione di quel 60% di donne che storicamente è stato relegato al ruolo di casalinga potrebbe essere determinante nel reinventare il vostro paese».

A cura di Luisa Contri