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Philip Kotler: le aziende nell'era della turbolenza

«L'economia sta entrando in una nuova epoca di normalità che ha un nome preciso: turbolenza, un ciclo economico caratterizzato non da una curva ma da una sequenza continua di scosse».
Così Philip Kotler, uno dei primi sei personaggi più influenti nel mondo del business, ha approcciato la numerosa platea presente al recente convegno “La pubblicità è servita”, organizzato al Mip-Politecnico di Milano.
E ha distillato le sue ricette, anticipando i contenuti dl suo ultimo libro ”Chaotics”, che in Italia sarà nelle librerie a settembre.
La questione posta sul tappeto dai promotori del convegno riguarda un tema che da almeno un decennio, più o meno dall'avvento di Internet e della globalizzazione, tiene sulla corda il sistema delle imprese: come affrontare i cambiamenti e le discontinuità per ricostruire nuovi paradigmi nelle diverse aree di attività. E non c'è dubbio che il marketing e la comunicazione abbiano i nervi più scoperti da questo punto di vista.

Secondo Philip Kotler, le ragioni della turbolenza vanno ricercate nella globalizzazione e nell'era digitale. La prima significa l’interconnessione stretta tra i mercati ed è la principale responsabile della riduzione del costo dei prodotti. L'era digitale ha invece come risultato un rafforzamento del potere del consumatore, che pone le imprese nella necessità non solo di essere trasparenti, ma di elevare la qualità dei propri prodotti, con la possibilità di coinvolgere i consumatori nella loro co-creazione. Dice Philip Kotler: «Le aziende devono aprirsi alle domande e alla discussione con i consumatori e, sebbene non si tratti di eliminare i vecchi strumenti di marketing come le promozioni, bisogna puntare di più sulla conversazione, perché i consumatori vogliono dire alle aziende come rendere migliori i prodotti».

Ma come affrontare la recessione e la turbolenza? Philip Kotler individua quattro diverse strategie in funzione del tipo di azienda.
Se è forte finanziariamente e sul mercato, acquisire i concorrenti deboli o i loro asset e accentuare le spese di marketing.
Se invece l'azienda è forte finanziariamente, ma debole sul mercato, la strategia dovrebbe orientarsi nel rafforzare il marketing e acquisire brand strategici.
Se al contrario è debole finanziariamente ma forte sul mercato, è necessario rinegoziare con i fornitori e migliorare i processi.
Infine, se l'azienda è debole in entrambi i settori… non ci sono speranze.

Ancora, secondo Philip Kotler sono tre i tipi di azioni che occorre considerare.
Primo, gestire il presente. «Bisogna decidere che cosa fare ora nell'emergenza della recessione, come ridurre prodotti, segmenti, clienti non profittevoli. Ma prima di fare ciò è necessario chiedersi quale sarà l'impatto di queste azioni nei successivi quattro anni».
Secondo, dimenticare selettivamente il passato, vale a dire lavorare su nuovi prodotti e cogliere le opportunità. Terzo, creare le condizioni per il futuro.
Certamente ci sono aggiustamenti di comportamento da parte dei consumatori, che si spostano, per esempio verso prodotti più economici, mettendo da un lato in difficoltà le grandi marche, ma offrendo peraltro più opportunità alle private labelo ai sub-brand dei grandi marchi. E contemporaneamente anche le aziende si trovano ad affrontare degli aggiustamenti: riduzione della produzione, taglio degli investimenti, sospensione dello sviluppo dei prodotti.
Ma il suggerimento di Philip Kotler è preciso: «non affrontate la turbolenza con panico, non tagliate del 20% tutti i costi indiscriminatamente, ma selezionate con cura le aree di intervento».
I casi di successo sono sotto gli occhi di tutti, come l'azione di razionalizzazione compiuta da P&G o McDonalds, che di fronte alle difficoltà hanno scelto la strada del continuo miglioramento come alternativa al continuo decadimento: locali rinnovati, innovazione nei menu, apertura alle lezioni provenienti dalle attività internazionali.

Per mettere a punto risposte strategiche, non tattiche, quindi, occorre monitorare i cambiamenti della volontà e dei valori dei consumatori, esaminare le debolezze dei concorrenti locali, decidere in quali mercati aumentare le proprie quote.
E per il marketing i compiti principali riguardano un inventario completo delle attività e dei costi di marketing, eliminare i segmenti non profittevoli e cancellare i prodotti basso vendenti e i distributori deboli, riposizionare i prezzi, spostarsi su un media mix più efficiente, compresi i social network, focalizzarsi di più sui clienti esistenti e meno sull'attrazione di nuovi clienti e costruire una forte relazione con quelli ad elevato potenziale.
Il budget essenziale di marketing dovrà essere rivolto a raggiungere i consumatori chiave, a cambiare le caratteristiche dei prodotti e a spiegare perché continuare ad acquistare i propri prodotti e per le promozioni, visto che ognuno è alla ricerca del buon affare. Così anche l'advertising continuerà a essere pagante, ma ad alcune condizioni: in presenza di un brand di valore, per il lancio di un sub-brand, per un’offerta particolarmente invitante, la presenza di un prodotto di dimostrato valore.

In sostanza, il messaggio di Kotler è indirizzato a dare delle chiavi di interpretazione per costruire sistemi sostenibili di business che aiutino ad affrontare la nuova normalità della turbolenza.
Il primo sistema è quello definito “early morning”: identificare i segnali deboli consentirà di conoscere le cose in anticipo. Mettere poi a punto la pianificazione di scenari: «È qualcosa di diverso dal business plan. Si tratta» dice Philip Kotler «dell'abilità a immaginare 2 o 3 scenari, esattamente come fanno i militari, per capire che cosa potrebbe accadere e con quali conseguenze sulla vostra attività». Infine, un budget flessibile che consenta di sapere quali costi tagliare del 20% improvvisamente in ciascun dipartimento dell'azienda e, al contrario, che cosa ciascun dipartimento potrebbe fare con il 20% di risorse in più.
E, citando il Dalai Lama, conclude: «I tempi facili sono un nemico, perché ci spingono a dormire. Le avversità sono nostro amico. Ci tengono svegli».

A cura di Fabrizio Gomarasca