consumi

L’estetica nel piatto e la fame di informazioni

Il cibo come migliore medicina preventiva è stato l’oggetto dell’incontro “A tavola con gli esperti. Strategie per migliorare la prevenzione” organizzato dalla Fondazione Veronesi nell’ambito di Milano Food City. C’è però bisogno di uno sforzo collettivo per una nuova educazione alimentare.

Il legame tra alimentazione e salute appartiene si perde nella notte dei tempi. La ricetta, curiosamente, vale per i cuochi e per i medici. Proprio da questo legame prende le mosse il convegno organizzato da Fondazione Veronesi, che ha messo intorno allo stesso tavolo medici, chef, comunicatori. Perché alla fine il legame tra salute-benessere e cibo è sì questione di scienza, ma è ormai molto un problema di informazione.

In tema di alimentazione, in epoca di social vale infatti tutto e il contrario di tutto. E le fake news imperversano, moltiplicando l’espandersi di false conoscenze, creando falsi miti o mode alimentari che si sgonfiano poco tempo dopo, con eserciti di aficionado per la dieta proteica migrare verso qualche altro totem alimentare da adorare.

Ci salveranno gli chef? «Sono convinto che si debba mangiare meno, ma con una maggiore qualità», afferma lo stellato Davide Oldani. «Questo non significa non mangiare, ma farlo in modo corretto: noi mangiamo quattro volte di più di quanto dovremmo, di quello che il fisico ci richiede. Dobbiamo aiutare le persone a capire che per mangiar sano è necessario dedicare più tempo alla selezione degli alimenti, che è quanto facciamo noi ristoratori, e che si aspettano i nostri clienti. Ciò che mi guida, e dovrebbe guidare anche la cucina in famiglia, sono due concetti essenziali: armonia, vale a dire non ripetere mai lo stesso ingrediente nello stesso menu, e stagionalità, che ha anche impatti economici sulla spesa non indifferenti».

Verso una nutrizione personalizzata

Come afferma Hellas Cena, medico chirurgo specialista in scienza dell’alimentazione dell’Università degli Studi di Pavia, «La nutrizione è scienza, non filosofia, ed è in fase di rapida evoluzione. L’alimentazione, sappiamo, ha influenze incredibili sull'epigenetica (lo studio delle mutazioni genetiche e la trasmissione di caratteri ereditari non attribuibili direttamente alla sequenza del DNA, ndr), sul microbiota (noto anche come flora batterica intestinale) che a sua volta influenza il cervello. La salute dipende davvero da quello che si mangia, da come si vive, da come ci si muove, dal fumo, dallo smog, dallo stress, e le buone abitudini devono cominciare subito. Non credo che in assoluto sia un problema di mangiare meno. È lo stile di vita sedentario che va eliminato. Bisogna muoversi di più. Quando parliamo di fermare o rallentare le patologie che dipendono dagli stili di vita, la soluzione c’è, ce l’abbiamo davanti agli occhi. Va messa in pratica da parte prima di tutto della società, che deve favorire atteggiamenti virtuosi: a mio avviso non si deve tassare il cosiddetto “cibo spazzatura” ma diminuire i prezzi del cibo salutare. A livello scientifico, oggi, si sta andando oltre. Con la nutrigenetica si indaga l’interferenza del cibo con la genetica di ciascun individuo. Non per tutti, infatti, valgono le stesse scelte alimentari. Inoltre proprio grazie a questi studi vi sono fattori epigenetici di tipo transgenerazionale, che vengono trasferiti ai bambini».

Concorda Alberto Ferrando, presidente Associazione pediatri liguri: «Da questo punto di vista i primi mille giorni del bambino dal concepimento sono i più importanti, perché incidono concretamente nell'imparare e portare avanti nel tempo i corretti stili di vita. Nella pratica quotidiana ci troviamo di fronte a una serie di luoghi comuni sull'alimentazione che sono il frutto di un vissuto che mette il cibo al centro dell’attenzione, estremizzando spesso verso un eccesso di cibo. Così abbiamo bambini con i rotoloni di ciccia che piacciono tanto ai genitori, ma che non vanno fatto bene. Dobbiamo impegnarci ancora di più a educare/rieducare le famiglie al rapporto con il cibo e a una cucina varia e genuina perché questi insegnamenti passino ai bambini e tutti mangino correttamente: l’adulto è un esempio importante, i suoi comportamenti sono un punto di riferimento educativo costante».

Cibo, veicolo di seduzione

Dalla scienza ai comportamenti, il passo è breve e il punto critico è la popolazione giovanile e i millennial, secondo Debora Viviani, sociologa dell’Università di Verona, che mette l’accento sulla destrutturazione della giornata alimentare, una sorta di 24/7 del cibo. «Non ci sono più i tre pasti classici, si mangia in qualsiasi momento, la colazione si fa al bar o si fa merenda a metà mattina, i ragazzi tornano a casa affamati e, se non vi è nulla di pronto, mangiano piatti surgelati, già pronti o confezionati, oppure vanno al bar o nei fast food». Il sapore del cibo va però in secondo piano rispetto al gusto estetico del piatto, che deve essere bello (l’armonia di Oldani). La spettacolarizzazione del cibo prende il sopravvento. In questo percorso, molto spazio è lasciato all'informazione. Essenzialmente i social, veicoli di  tanti contenuti alimentari, spesso errati «Dove esistono – afferma la sociologa – vere e proprie sette basate sull'esperienza personale, che promuovono alimenti o prodotti “miracolosi” per la linea o per la forma fisica, di cui non si comprende la composizione. E alcune sette sono addirittura drammatiche, come quelle che incitano all’anoressia e alla bulimia». Per questo motivo occorre alzare la guardia. «I giovani sono affamati di informazioni relative al cibo», constata Cena. E Viviani aggiunge: «Il cibo è un veicolo di seduzione. Bisogna educare le giovani generazioni a livello comunicativo, filtrando le informazioni».

Proprio sul bisogno di informazioni dei consumatori si concentra Marco Cuppini, research and communication director GS1 Italy, nel riferire alcune evidenze cui giunge l’Osservatorio Immagino, giunto alla terza edizione, risultato dell’incrocio tra le oltre cento caratteristiche di prodotto presenti sul packaging di oltre 80 mila referenze vendute nei supermercati e ipermercati italiani con i dati di vendita e il consumo mediatico delle famiglie in collaborazione con Nielsen. «Un patrimonio di 5 milioni di informazioni, veri  e propri big data, la cui analisi ci restituisce un nuovo modo di leggere i consumi degli italiani. Per i consumatori poter conoscere caratteristiche, origine, valori nutrizionali ed effetti sulla salute dei prodotti alimentari equivale a essere messi nella condizione di individuare i prodotti migliori», afferma Cuppini. «L’era dell’informazione disponibile e condivisibile apre un mondo di opportunità, ma crea anche nuove criticità, in particolare, due: da un lato la sensazione delle persone di non avere sufficienti competenze per valutare le informazioni a disposizione e, dall'altro, la mancanza di figure autorevoli e di paradigmi nutrizionali attendibili e condivisi. In questo spazio le potenzialità delle marche e delle insegne sono enormi e nella straordinaria varietà di media che ci mette a disposizione la civiltà dell’informazione, le etichette dei prodotti sono centrali».

A cura di Fabrizio Gomarasca