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Le imprese sono pronte per l’intelligenza artificiale?

Le aspettative relative all’intelligenza artificiale sono altissime ma le aziende sono ancora solo all'inizio. Lo rileva un recente report di The Boston Consulting Group e MIT Sloan Management Review, intitolato “Reshaping business with artificial intelligence”.

Oltre i tre quarti dei 3 mila manager e analisti di 21 diversi settori intervistati in 112 Paesi si aspetta che l’intelligenza artificiale (AI) permetta alla propria società di creare nuove lineedi business, o comunque (quasi l'85%) di guadagnare o mantenere un vantaggio competitivo. L’80% dei manager vede infatti l’AI come un’opportunità, mentre solo il 40% pensa che possa essere anche un rischio. Appena il 13% dei rispondenti non la vede né come un rischio né come un’opportunità.

Ma mentre più del 60% degli intervistati ha dichiarato che una strategia per l'AI è urgente per le proprie organizzazioni, solo la metà di loro ha dichiarato di averne una in atto.

In ogni caso, l’impiego dell’AI avrà effetti nell’arco dei cinque anni sull'offerta dei prodotti per il 67% degli intervistati e sui processi per il 59%.

In particolare gli effetti maggiori sono previsti sull’information technology, sulle operations & manufacturing, sulla gestione della supply chain e sulle attività di rapporto con i clienti.

Fig 1. - Aree funzionali maggiormente influenzate dall’intelligenza artificiale per settori

fig 1 Intelligenza artificiale.jpgLe aziende di outsourcing per i processi aziendali, per esempio, si aspettano che molti dei posti di lavoro che si sono trasferiti negli ultimi anni nei paesi a basso costo del lavoro siano automatizzati. Tuttavia ci si aspetta che l'AI porti a nuove attività e fonti di occupazione. I dirigenti delle imprese industriali si aspettano il maggior effetto nelle operazioni e nella produzione. Ad esempio, in relazione al nuovo programma A350, Airbus utilizza l’AI per velocizzare e migliorare la produzione. L'azienda ha combinato i dati provenienti dai programmi di produzione precedenti, l'input continuo del programma A350, l'analisi fuzzy e un algoritmo di autoapprendimento per identificare i pattern nei problemi di produzione. In alcune aree, il sistema corrisponde a circa il 70% delle disfunzioni di produzione apparentemente non correlate alle soluzioni utilizzate in precedenza quasi in tempo reale.

Tuttavia, solo un’organizzazione su 20 ha sviluppato processi od offerte in maniera estensiva e appena una su cinque in maniera limitata. Inoltre, meno del 40% delle società ha una strategia relativa all’AI e tra le stesse grandi imprese, quelle con più di 100mila dipendenti, solo la metà ne ha una.

Dalla ricerca emerge che si sta allargando la distanza tra chi sta investendo sull’AI e chi no. La ricerca individua quattro tipologie di organizzazioni.

  • I pionieri (19%): sono le organizzazioni che hanno adottato qualche forma di intelligenza artificiale nell’offerta dei prodotti o nei processi o hanno capito quali siano i passi necessari per incorporarla.
  • Gli investigatori (32%) hanno compreso l’AI ma non hanno ancora superato la fase dei progetti pilota.
  • Gli sperimentatori (13%) sono le organizzazioni che adorano l’intelligenza artificiale senza averla completamente compresa secondo un tipico approccio di imparare facendo.
  • passivi (36%), invece, non hanno né soluzioni né comprensione del fenomeno.

Eppure la rivoluzione arriverà presto: cinque anni, come abbiamo visto. Occorre quindi attrezzarsi su vari fronti: capire come sfruttare adeguatamente il potenziali di business; come organizzare la forza lavoro integrando le persone e i sistemi automatizzati; come rispettare i contesti regolatori su aspetti come la tutela della privacy. E, dal punto di vista tecnico, come predisporre una struttura dei dati efficace, che consenta agli algoritmi di essere “addestrati”, cioè di imparare dalle esperienze precedenti. È anche necessario dotarsi di database integrati, evitando di incanalarli in silos separati.

Escono invece ridimensionate le preoccupazioni sulla perdita di posti di lavoro dovuta all’AI. Nonostante gli allarmi diffusi nel dibattito pubblico, meno della metà dei partecipanti (47%) si aspetta che la forza lavoro delle proprie società si riduca nei prossimi 5 anni. Quasi l’80% crede che le attuali competenze dei dipendenti saranno aumentate. Meno di un terzo dei manager teme che l’AI porterà via alcune delle funzioni attualmente svolte da loro stessi. «In quasi tutti i settori le persone che utilizzano l’intelligenza artificiale cominceranno a sostituire quelle che non la usano e il trend potrà solo accelerare», commenta Erik Brynjolfsson, docente della Sloan school of management.

A cura di Fabrizio Gomarasca