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Perché compriamo oggi: dentro la mente del consumatore

Shopping experience e neuromarketing. Vendere non significa semplicemente mettere un prodotto nella borsa di un consumatore

La distribuzione è sempre più attenta alle esigenze del consumatore che, oltre ai prodotti, cerca sempre più informazioni e servizi. La customer satisfaction funziona se si attivano tutta una serie di azioni legate alla cura del cliente. Oggi qualsiasi strategia di customer care va ben oltre la movimentazione delle merci e il loro arrivo puntuale sugli scaffali dei negozi. In un processo di acquisto subentrano tantissime variabili e tantissimi fattori concomitanti che influenzano il consumatore, determinando o meno il suo passaggio in cassa e la conferma della transazione. Non a caso, le componenti di una scelta d’acquisto sono diventate oggetto di studi estremamente analitici e diversificati. Studi che per i retailer si traducono in una serie di competenze che vanno ben oltre la logistica e la capacità di gestire i processi sul punto vendita. Si parla infatti sempre più spesso e in più occasioni di neuromarketing, ovvero di quella nuova branca della scienza detta neuroeconomia e che, in sintesi, si occupa di studiare le nostre percezioni (quelle che vengono dai nostri 5 sensi) e le nostre suggestioni (quelle che vengono dalla nostra sfera psichica ed emozionale), interpretandole per pilotare le nostre reazioni verso una campagna, un prodotto o un servizio.

Sem, ovvero shopping experience management

Capire cosa sta succedendo allo shopper andando oltre la mera visura statistica dei suoi scontrini è importante. Se ne è parlato il 5 novembre 2013 al Politecnico di Milano, che nell’evento intitolato “Perché compriamo oggi: dentro la mente del consumatore” ha invitato a parlare nientemeno che il danese Martin Lindstrom, guru della neuroeconomia e ideatore di una nuova disciplina da lui chiamata buyology (in italiano... acquistologia).

Aprendo la prospettiva di analisi relativa a un processo di acquisto Lindstrom abbraccia nuovi orizzonti di senso, delineando l’ecosistema del consumatore, cogliendo tutti i livelli che concorrono a portarlo a scegliere un prodotto e quindi a fare la spesa.

«Ci sono diversi aspetti da considerare che colpiscono i nostri sensi» ha spiegato Lindstrom «di tipo percettivo e di tipo emotivo. Immagini, suoni, colori, ma anche brand identity, naming, iconografia così come tutta una serie di componenti psicologiche di tipo aspirazionale, affettivo e anche sociale colpiscono la nostra sfera emotiva in modo diverso ma estremamente significativo. Molti studi a supporto mappano la nostra corteccia cerebrale individuando zone deputate a certe attività che reagiscono in combinazione ad altre in base a determinate stimolazioni. Oggi è possibile innescare questi processi in modo scientifico: questa è la base del neuromarketing».

Nel nostro cervello queste aree attivano uno scambio di informazioni di diverso tipo che si legano e si strutturano, portandoci a fare delle scelte. Nel caso di un processo di acquisto, questo scambio di informazioni attinge anche da una ricerca di conferma che passa da varie attività sociali di confronto e approvazione.

La premessa fondamentale, infatti, è che anche il vecchio passaparola rientra nell’analisi come un motivo centrale del business che, attraverso i social e altri meccanismi di gestione della relazione (CRM) contribuisce a portare il consumatore verso un certo prodotto o servizio. Quindi se è vero, come dicono gli esperti, che il 43% delle vendite in negozio è legata alle attività di couponing, è vero anche che in un mondo stracolmo di informazioni le opinioni della nostra cerchia di amici e conoscenti ha un fortissimo peso nell’orientamento all’acquisto. Imparare a gestire meglio il business della distribuzione significa imparare a fare shopping experience management (Sem).

Prima dei prodotti bisogna saper gestire le informazioni

Le tecnologie e gli strumenti di misurazione che vengono utilizzati per mappare l’ambiente e la shopping experience stanno moltiplicandosi e non è facile profilare quelli più utili al proprio business. Quello che è indubbio è che il neuromarketing innestato nel retail sta accrescendo notevolmente le informazioni legate ai comportamenti di acquisto del consumatore che oggi non è quasi mai spinto verso un prodotto da un bisogno primario quanto, piuttosto, da un bisogno secondario legato alla sfera dell’amore, del piacere, della ricerca di approvazione... Il flusso di informazioni legate al neuromarketing contemplano tutta una serie di elementi informativi e di variabili includendo più livelli e metalivelli comportamentali, elaborati da sistemi che usano diversi algoritmi che aiutano a leggere e interpretare leinformazioni utili a definire le strategie di vendita.

«La chiave di un’azione di neuromarketing rimane lo stimolo (volontario o involontario) e la reazione conseguente» ha sottolineato Linstrom, «ma gli input devono essere organizzati secondo criteri differenti, a seconda degli obiettivi di prodotto o di bran identity. Il tutto, tenendo conto delle motivazioni che spingono un consumatore all’acquisto, tra cui il desiderio di possedere quello che possiedono gli altri o l’innamorarsi di un prodotto o di un brand e la conseguente gratificazione sia nell’uno che nell’altro caso».

Spostare la gente usando il calore invece dei vettori di attenzione come altri stimoli neurali (l’intensità di un colore su un espositore, la dinamica delle immagini in movimento su una superficie digitale, la composizione di pieni e vuoti di una parete, ad esempio) sono supporti subliminali che il retailer può sfruttare per favorire l’attenzione del consumatore e la sua predisposizione all’acquisto. Il visual merchandising non è solo una questione di marketing e l’acquistologia ha molto da insegnare.