economia

02. Il consumatore digitale

Da preda a cacciatore. È il nuovo paradigma del consumatore nell’era digitale secondo Paolo Lobetti Bodoni, partner e CRM & customer solution lead per Italia, Spagna e Portogallo di Ernst & Young.
Nella sua relazione a Consumer & Retail Summit, Lobetti Bodoni ha approfondito le nuove modalità di consumo abilitate dall’innovazione tecnologica e dall’avvento dei social network e suggerito come le imprese potranno avvantaggiarsi di quest’evoluzione.
Il processo tradizionale d’acquisto di un bene/servizio sta d’altronde cambiando grazie alle opportunità d’informarsi preventivamente su di esso via web, un fenomeno ormai diffuso. Non solo i consumatori si stanno via via familiarizzato con l’e-commerce, ormai predominante in alcune nicchie di mercato, ma cominciano a sperimentare il mobile commerce, la cui diffusione è agevolata dalla diffusione di sempre nuovi dispositivi.
«Questi diversi modelli d’acquisto», ha puntualizzato Lobetti Bodoni, «non sono mai sostitutivi. Sono bensì degli step evolutivi, adottati in parallelo da differenti gruppi di consumatori in funzione della loro cultura, del canale, del bene/servizio. E per trasformare in clienti gli individui che hanno abbracciato una o più di queste differenti modalità d’acquisto, le imprese dovranno conoscere approfonditamente l’utilizzo e la fiducia che costoro nutrono nei loro confronti e i canali attraverso i quali s’informano».
Alcune indicazioni al riguardo sono contenute nell’edizione 2011-2012 del Customer Barometer di Ernst&Young, di cui Lobetti Bodoni ha dato qualche anticipazione (lo studio sarà rilasciato a fine anno).
«Dallo studio», ha detto il partner di Ernst&Young, «risulta che il canale diretto/negozio è ancora globalmente il luogo prioritario ove raccogliere informazioni sui prodotti/servizi. L’online è però già in seconda posizione, davanti a tv e stampa».
Spigolando fra i focus riguardanti il consumatore italiano, Lobetti Bodoni ha fatto alcune interessanti anticipazioni. Ha detto, per esempio, che in Italia l'elettronica di consumo è il settore nel quale la forbice fra i due canali è minima, è massima invece nell'auto. Dal Customer Barometer emerge anche che gli italiani apprezzano più di tutti avere un’ampia possibilità di scelta, poter personalizzare un bene/servizio. Che gradisono più di altri che sia artigianale ed etico. Che sono i più propensi di tutti a raccogliere informazioni sui social network per poi finalizzare l’acquisto in negozio oppure on line. Che apprezzano moltissimo il fatto di poter ricevere subito assistenza sull’utilizzo di un bene e più di tutti di veder premiata la fedeltà d’acquisto.

Intercettare il cliente, quale che sia la sua modalità d’approccio ai brand, è dunque oggi l’opportunità con maggior potenziale per la crescita di un’azienda.
Ma fino a che punto le imprese italiane sono già attive sul web e sui social network e quindi in grado d’intercettare i clienti più evoluti? Patrick Fontana, giornalista area retail del Gruppo 24 Ore, lo ha chiesto agli ospiti della terza tavola rotonda della giornata: Luca Bastagli Ferrari, amministratore delegato di Arcoretail-Agorà, Valerio Di Bussolo, direttore relazioni esterne di Ikea Italia, Carlo Salvadori, head of marketing and consumer communication di Nestlé Italiana, Tania Valentini, autrice del blog A Bagnomaria, e Viviana Venneri, social media consultant di BlogMeter.
«Sui social network», ha affermato quest'ultima, «si potrebbe fare di più, visto che dalle rilevazioni BlogMeter sugli 88 brand finalisti del premio Brands Award è emerso che soltanto il 57% del campione ha una fan page ufficiale in italiano. Va detto comunque che chi ha un approccio più di public relations, sui nuovi media può permettersi d’avere un sito in inglese. Mentre se l’obiettivo è dare un servizio alla clientela finale, diventa importante parlare nella lingua di quella clientela. In ogni caso dalla nostra rilevazione è risultato che i più attivi sui social nework sono i brand dell’area elettronica di consumo, del beverage sia alcolico che analcolico e del food».

Più locali che globali

Di Bussolo e Salvadori hanno testimoniato l’impegno delle rispettive aziende sui new media. «Ikea non vende online», ha detto Di Bussolo, «ma i nostri clienti utilizzano molto il nostro catalogo online nella fase di pianificazione dell’acquisto o per attivare la Carta family. Nel nuovo punto vendita di Catania, in sei mesi, sono state 161 mila le carte fedeltà attivate via internet e il 45% dei clienti di quel negozio già legge le nostre mail. Un risultato, quest’ultimo, che ci suggerisce che col tempo potremmo prescindere dalle inserzioni pubblicitarie tabellari. A livello centrale in Ikea abbiamo tre, quattro persone che seguono i siti e coordinano i 20 responsabili internet presso i negozi e due persone che si occupano dei social network. Monitoriamo inoltre i siti di terzi e rispondiamo alle loro sollecitazioni. Nel rapporto con la clientela via web utilizziamo un linguaggio informale. Ciò non toglie che siamo attentissimi a dare risposte precise e puntuali».
«Ancora oggi», ha osservato Salvadori, «si tende a sottostimare l’interazione con il pubblico sul digitale. Nestlé è un gruppo alimentare articolato con una quarantina di siti internet, 11 pagine Facebook e sei app e attivo sul web con una settantina di campagne pubblicitarie l’anno, eppure ci sentiamo ancora in una fase d’apprendimento. L’adesione del pubblico alle nostre iniziative sul digitale è normalmente superiore alle nostre aspettative: il sito dedicato ai Baci Perugina sfiora i 900 mila utenti registrati, 900 mila sono anche i fan sulla nostra pagina Facebook; la nostra app love notes in poche ore dal rilascio è stata scaricata da 70 mila utenti e i post veicolati tramite di essa sono stati visti da 3,5 milioni di persone. Gli strumenti, insomma, facilitano la diffusione dei contenuti, ma è fondamentale conoscere le persone per capire che cosa può interessarli. Più in generale e diversamente da quanto alcuni presumevano, ritengo che il digitale ci stia spingendo verso l’implementazione di strategie più local che global».
Valentini ha portato il punto di vista di una foodblogger e ha spiegato come le imprese non abbiano sempre ben chiaro come porsi nei confronti dei blog. «Alcune aziende», ha detto l’autrice di A Bagnomaria, «tentano d’utilizzarci come se fossimo un ufficio stampa o ci mandano dei comunicati come se fossimo una rivista. C’è però anche chi c’invia i prodotti sollecitandoci a provarli o c’invita a conoscere l’azienda, a vedere come lavora e ci spiega come degustare un prodotto. Di nuovo alcune aziende sembrano preoccuparsi solo di veder pubblicato un articolo, una ricetta o il resoconto di un evento che le riguarda, e non seguono la fase successiva, quella dei commenti ai post da parte degli utenti del blog. Certo non è facile star dietro a tutti i blog che trattano d’enogastronomia, ma monitorarli può aiutare le imprese a capire come sono vissuti i loro brand».

Le tecnologie abilitanti

L’intervento di Bastagli Ferrari ha riportato l’attenzione della platea sulle opportunità abilitate dalle nuove tecnologie digitali. «Per ottimizzare la resa al mq dei negozi delle gallerie commerciali che gestiamo», ha detto l’ad di Arcoretail-Agorà, «abbiamo sviluppato un nuovo software, che abbiamo chiamato loOKit, che ci consente d’approfondire la conoscenza di chi le frequenta. loOKit non si limita a contare quante persone entrano, escono o permangono nel centro, è bensì in grado d’individuarne sesso, età, provenienza e umore al momento dell’ingresso nella galleria commerciale. Ciò ci ha permesso, per esempio, di far sì che in un centro commerciale frequentato da una nutrita clientela appartenente a un’etnia latino-americana aprisse un negozio di food tipico. A due mesi dall’inaugurazione quel negozio di 120 mq ha raggiunto una resa di 8.650 euro al metro quadrato».

Riguardo a innovazione e tecnologie, Roberto Magnaghi, responsabile tecnico di Conai, ha annunciato l’imminente messa online dell’Eco-tool-box, uno strumento che consentirà alle 14 mila imprese consorziate d’effettuare un’analisi del ciclo di vita dei propri imballaggi, e quindi di valutarne l’impatto ambientale.
Carlo Rosa, amministratore delegato di Ceva Logistics Italia, si è soffermato sulla Control tower di cui si è dotata la sua azienda, il cui funzionamento è abilitato da un software messo a punto da Hewlett Packard. Grazie a quest’innovazione l’azienda ha in tempo reale la situazione dei 2 mila mezzi che impiega e ha potuto applicare ai clienti tariffe più concorrenziali.
Roberto Matina, direttore commerciale di Poligrafici Printing, ha spiegato come l'azienda per prima in Europa abbia applicato una nuova tecnologia di stampa a dati variabili ai volanti promozionali/cataloghi dei clienti. Di fatto Poligrafici Printing stampa codici di tracciatura logistica sulle copertine dei volantini/cataloghi, a uso del personale che si occupa della loro distribuzione e veicolazione, e codici promozionali all’interno.
Marco Nava, vice president consumer di DHL Supply Chain Italy, ha invece spiegato come il suo gruppo si sforzi d’essere un partner strategico dei propri clienti. «Abbiamo creato dei siti multiproduttore», ha detto Nava, «per sfruttare le sinergie sui costi che potevano offrirci, ma anche per travasare le innovazioni tra i diversi settori. Siamo diventati più flessibili e reattivi, offrendo alla clientela servizi sia di call center integrato sia di co-packing, investendo su linee di confezionamento ove realizziamo per loro conto formati speciali e pack promozionali. In questo modo i nostri clienti possono focalizzarsi sul loro core business».
Riportando il discorso su un piano più ampio Piergiorgio Licciardello, senior consultant supply chain integration di Di.Tech, ha infine sottolineato che finalmente il focus dei professionisti della logistica anche in Italia si è spostato dalla domanda di sistemi informativi ultrasofisticati alla sperimentazioni per migliorare i processi logistici. «Uno scenario moderno di prenotazione scarico gestito per via telematica con condivisione dell’agenda consegne fra fornitore e distributore», ha sottolineato «rende più agevole per l’operatore logistico organizzare un multidrop. L’invio di un DDT elettronico velocizza il lavoro di controllo della rispondenza fra ordinato e consegnato e renderà più fluido il lavoro amministrativo correlato. In ambito logistico non esistono killer application. Guardando al futuro ritengo però che l’evoluzione del mobile aprirà nuove opportunità agli operatori del settore»

Anticipare le esigenze e tornare a rischiare

Secondo Francesco Fumelli, vice direttore di SCS Consulting, ha testimoniato come gli italiani oltre che alle nuove tecnologie appaiono sempre più interessati alla sostenibilità. Dall’aggiornamento dell’osservatorio SCS sui consumi sostenibili (la prima edizione risale al 2009), Fumelli deduce che i prodotti rispettosi dell’ambiente possono rappresentare una chiave per fidelizzare la clientela, che l’acquisto effettivo oltre che l’interesse all’acquisto è in crescita e ha suggerito la possibilità che altre merceologie, al di là dei più gettonati freschi, possano essere proposte in chiave sostenibile.
«In due anni», ha puntualizzato Fumelli, «i consumatori che abbiamo classificato come campioni della sostenibilità sono passati dall’8% al 14,1% e gli attenti e attivi dal 34,5% al 47,8%. Al contempo è diminuito il drappello degli scettici: dal 15,1% sono scesi al 6,2%».
In conclusione del convegno Marilena Colussi, sociologa dei consumi esperta in tendenze alimentari, Paolo Lucchetta, architetto di Retail Design, Francesco Morace, presidente di Future Concept Lab, Luca Pellegrini, ordinario di marketing all’Università Iulm e presidente di TradeLab, e Antonella Pirro, partner di Focus Management, hanno risposto alle domande della platea.
Il quesito più impegnativo ha riguardato le azioni su cui si dovranno focalizzare Idm e Gdo nell'immediato. Morace non ha esitato nel rispondere che dovranno concentrarsi sulla sostenibilità e sul recupero della visione artigianale tipica del nostro paese, facendo bene quello che sanno fare e comunicandolo al consumatore. Colussi ha sollecitato i player del largo consumo a tornare ad aver fiducia in se stessi per evitare di cadere nel circolo vizioso: calo di fiducia-calo di produttività. Mentre Lucchetta ha consigliato imprese e manager di focalizzarsi sull’innovazione e sulla sostenibilità, che è sinonimo di cultura del non spreco, dell’efficienza e della qualità.

Ragionando invece sulle cinque parole che descriveranno i comportamenti di consumo degli italiani nel prossimo triennio, Morace le ha individuate in: fiducia, condivisione, tempestività, unicità e universalità, mentre Pellegrini ha messo l’accento sull’importanza per le imprese sia industriali che distributive di mantenere una relazione empatica con i consumatori e d’attuare una politica low cost.
E ancora alla domanda su quali elementi sarebbero da enfatizzare o da ridimensionare nella progettazione di una nuova insegna, Lucchetta ha risposto che ciò che conta è capire in primo luogo qual è la ragion d’essere di quell’insegna e Morace ha sollecitato a smettere di sondare il consumatore per capire cosa vuole e di tornare a progettare rischiando. «Anche perché», ha concordato Colussi, «non sempre il consumatore è ben conscio di che cosa ha bisogno». Anticipare le esigenze, non solo assecondarle, si conferma dunque una strategia vincente anche nell’era digitale.
Affrontando il tema degli elementi alla base del rapporto fiduciario fra cliente e brand, Pellegrini ha ricordato che se non si soddisfa il cliente non è possibile che questi abbia fiducia in noi. Pirro ha ricordato che la soddisfazione del consumatore oggi passa anche soltanto dal fare delle promozioni, per le quali chi ha problemi di budget è grato al retailer e al brand. Mentre Morace ha sollecitato a badare al sodo, all’autenticità, non all’apparenza.
Dalla platea sono giunte però anche domande d’ordine più prettamente operativo. Al quesito se sia già tempo di prescindere dai volantini, Colussi ha risposto che se ne potrebbe già far a meno, a tutto vantaggio dell’ambiente, a patto d’aver instaurato canali alternativi di comunicazione col consumatore. E alla domanda del perché non si lavori sul personale per aumentare la soddisfazione e la fedeltà della clientela, Pellegrini ha risposto con un secco: «Perché costa». Morace ha sollecitato a valorizzare la vocazione insita nelle persone, che le spronerà a lavorar bene senza avanzare particolari rivendicazioni economiche, mentre Lucchetta ha citato l’esempio di un retaier del Nord Europa che ha scelto d’affidare a dettaglianti esperti la gestione di reparti dei freschi all’interno dei suoi ipermercati.

A cura di Luisa Contri


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