sostenibilità

Ai prodotti delle terre confiscate alla mafia la patente della sostenibilità

È Alce Nero-Mielizia insieme al Consorzio Libera Terra Mediterraneo, con il progetto inteso a ”promuovere prodotti buoni, puliti e giusti, ottenuti dalle terre confiscate alla mafia“, il vincitore assoluto dell’edizione 2009 del premio Ethic Awards, promosso dalla testata GDOWeek (gruppo Il Sole 24 Ore Business Media) per valorizzare l’impegno delle imprese per un futuro sostenibile e sponsorizzato da Barilla, Illy, Palm e P&G, con il patrocinio di Indicod-Ecr e la collaborazione di Gpf.
La cerimonia di premiazione dell’edizione 2009 del concorso si è svolta il 18 novembre scorso a Milano e ha anche assegnato sette premi d’area: ad Alce Nero-Mielizia nell’area I giovani, ad Ancc-Coop nell’area Il Consumatore, a Sma nell’area Greening, a Guna nell’area Processi industriali, a Nordiconad nell’area Retailer locale e territorio-comunità, a Coop Adriatica nell’area Minoranze e società e al Gruppo Pedon nell’area Il sud del mondo.

La premiazione è stata l’occasione per fare il punto sull’evoluzione del concetto di sostenibilità nel terzo millennio con Monica Fabris, presidente di Gpf e della giuria del premio e con i cinque blogger invitati a partecipare dalla tavola rotonda dal titolo “Fermati e ascolta. Parla il consumatore”, moderata da Cristina Lazzati, direttore di GDOWeek: Flavia Rubino, ideatrice dei blog veremamme.it rivolto alle neomamme e cofondatrice di thetalingvillage.it, luogo d’incontro tra brand e consumatori; Marco Mazzoni, ideatore di blogmag.it, punto d’incontro per teenager e studenti; Linda Serra, ideatrice di girlgeekdinnerstalia.com, sito di idee, appunti, approfondimenti e stili di vita delle ragazze appassionate di tecnologia e nuovi media; Michele D’Alena, ideatore di crossmode.it, blog d’incontro interculturale basato sulla creatività; e Alessio Alberini, promotore di greenbean.it, che promuove la sostenibilità come valore di marca e d’impresa.

«Quando nacque Ethic Awards nel 2002, da un’idea di un gruppo di lavoro misto GDOWeek-Kpmg», ha ricordato in apertura della cerimonia di premiazione Nicola Ligasacchi, publisher area gdo del Sole 24 Ore Business Media, «la sostenibilità era vista dalle aziende come un vincolo. Oggi la situazione è profondamente cambiata. L’interesse per la sostenibilità è tornato altissimo, come dimostra la partecipazione di ben 89 progetti di 65 aziende all’edizione 2009 del premio. Da quest’anno Ethic Awards riprenderà dunque la sua cadenza annuale, dopo un’interruzione di tre anni».
«La sostenibilità», ha assicurato Monica Fabris, «non è d’altronde una moda, bensì un fenomeno sociale, un valore che s’è propagato come un virus fra i cittadini, sia in Italia che nel mondo, mitigando le istanze dell’edonismo individualista, imperante nell’ultimo ventennio, attraverso una nuova sensibilità al tema della responsabilità. Dall’ambito originario, l’ambiente, si è propagato ad altri temi correlati con la qualità della vita dei singoli: l’economia, il lavoro, le relazioni sociali, la cultura, ecc. E dai loro stili di vita, dalle loro conversazioni ha contagiato gli uomini di marketing, le aziende, le istituzioni. Oggi sostenibilità è tante cose: è una risposta etica, ma anche una sintesi creativa, una nuova dimensione di mercato, un insieme di valori che ci consentirà di uscire dalla crisi. Si caratterizza per essere un valore relativo in quanto, essendo fondato sul ragionamento, determina un ventaglio di comportamenti concreti, ma differenti fra loro. Le scelte dell’individuo si indirizzeranno quindi su proposte sostenibili di tipo differente in funzione della sua sensibilità».

Fin qui l’analisi sociologica. Ma cos’è e quanto è importante la sostenibilità per i consumatori italiani?
«Le neomamme», ha risposto Flavia Rubino, «sono molto sensibili a questo tema che non identificano con stili di vita estremisti o necessariamente verdi. Per loro sostenibilità è meno spreco nel packaging. È qualità della vita intesa come facilità d’accesso ai trasporti pubblici o come ritmi di vita più slow. È un’azienda che valuta il lavoro per i suoi risultati, non per il tempo passato in ufficio ».
E se la sostenibilità interessa poco, quando addirittura non annoia, i giovanissimi (pur essendo i consumatori più sostenibili in assoluto, ma soltanto perché squattrinati,come ha sottolineato Marco Mazzoni), le “geek girls” ne vanno pazze. «Le frequentatrici del mio blog», ha detto Linda Serra, «ritengono sostenibile l’accessibilità in rete, i siti nei quali le informazioni sono facilmente reperibili o quelli in cui il servizio clienti si raggiunge al terzo click». «Sostenibili», ha affermato Michele D’Alena, «sono le imprese che non dimenticano che siamo già una società interculturale e che gli immigrati di seconda generazione, in quanto portatori di due culture, sono potenzialmente i migliori esportatori del made in Italy». «La sostenibilità», ha aggiunto Alessio Alberini, «è un movimento culturale che aggrega persone di diversa estrazione. Fa sentire meglio l’individuo, che ha modo di consumare un qualcosa che fa bene a lui stesso e anche all’ambiente. E per l’impresa è una prateria da colonizzare come fecero i coloni nel Far West».

Se è vero che, pur non essendo un tema sexy, la sostenibilità sta facendo sempre più presa perché è conoscenza, è guardare alla realtà senza paraocchi, come ha sostenuto Monica Fabris, o che è una scelta rassicurante per il consumatore di oggi, come ha evidenziato Cristina Lazzati, dov’è il confine fra la responsabilità del singolo e quella delle imprese?
«All’individuo», ha risposto Flavia Rubino, «resta in capo la responsabilità di fare scelte sostenibili coerenti con la sua personale interpretazione di sostenibilità. Sulle imprese ricade invece l’onere di fornire informazioni trasparenti, che consentano ai consumatori di fare scelte ragionate». Per un target pigro come possono essere i teenager, secondo Marco Mazzoni, il confine è rappresentato dalla scomodità. Le imprese che puntano sui giovani, in altre parole, dovrebbero coniugare sostenibilità con comodità. Al singolo, è l’opinione di Linda Serra, spetta il compito di lasciare in rete un feedback il più possibile preciso per consentire all’impresa di aggiustare il tiro, e alle aziende quello di saper reinterpretare i suggerimenti. Differente il punto di vista di Alessio Alberini: «Pensare che esista un confine netto fra responsabilità del singolo e dell’impresa è un errore. La sostenibilità è fatta di collaborazione, implica l’assunzione di responsabilità di entrambe gli interlocutori: imprese e individui». «Se la sostenibilità non è vista come un tema sexy», ha osservato Michele D’Alena, «è colpa nostra che non la comunichiamo adeguatamente. Anche la multiculturalità non è sexy se associata sempre ad eventi negativi ,ma lo diventa mettendo in evidenza il suo ruolo nell’arte, nella musica e nella moda. Obama non è oggi l’uomo più sexy del mondo?».

Per le imprese, insomma, la sostenibilità può essere un obiettivo a tendere, un percorso che, per gradi, le porta ad adottare comportamenti coerenti con le diverse forme in cui questo valore si concretizza. Comportamenti che saranno apprezzati da un pubblico tanto più vasto quanto maggiore sarà la trasparenza con cui sapranno renderli palesi. Non per niente, come ha ricordato Monica Fabris: «il consumatore che per essere sostenibile ha fatto delle rinunce sarà un giudice severo».

A cura di Luisa Contri