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La via per la leadership al femminile nel retail

Il primo evento dell’Associazione Donne del Retail ospitato da GS1 Italy

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«Perchè questa associazione? Anzitutto per sentirci meno sole».

Con queste parole di “una donna del retail che osserva il retail”- come si definisce Cristina Lazzati, direttrice responsabile di GDOWEEK e Markup - inizia l’evento “Rising in retail - la via per la leadership al femminile” organizzato lo scorso 22 novembre dall’Associazione Donne del Retail (del cui direttivo fa parte anche Lazzati), chiamando a raccolta una moltitudine di donne che lavorano, appunto, nel mondo della distribuzione italiana.

Perché non sentirsi sole e far parte di un gruppo riconosciuto dice dell’esigenza di condivisione di tante professioniste che quotidianamente affrontano la difficoltà di essere una minoranza in un ambiente lavorativo e sociale non sempre - e non abbastanza - capace di pari opportunità e pari trattamento.

Fa gli onori di casa Silvia Scalia, ECR & training director di GS1 Italy: nel raccontare la propria storia sottolinea come, pur non essendo certo mancate sfide complesse tanto nella vita privata quanto in quella professionale, può parlarne in senso positivo, avendo trovato il supporto di una organizzazione come GS1 Italy che l’ha sostenuta e dove ha trovato lo spazio per crescere come professionista e per curare la sfera privata.

E ancora di storie parla la presidente dell'Associazione, Eleonora Graffione, delle storie che ci ispirano o che ci hanno accompagnato nella crescita, dove i cambiamenti significativi sono spesso opera di eroi solitari, spesso maschi. La realtà, invece, dimostra che il lavoro di squadra è la chiave del cambiamento: «la forza collettiva delle persone, ciascuna con le proprie diversità - dice Graffione - che riescono a fondersi in un unico intento condiviso, ad intonare una richiesta collettiva di cambiamento».

Il pregiudizio non paga: numeri e scenari del lavoro al femminile

Camilla Speriani, project founder di AConnection, dice di sé di essere un’“economista votata alla sostenibilitá”, un concetto di sostenibilità che comprende i temi dell’inclusione femminile e della diversity. Nel suo intervento Speriani offre un approfondimento sulla relazione tra donne e carriera, in cui - numeri alla mano - emerge chiaramente come il pregiudizio sia un fattore escludente e penalizzante per le donne. Per citarne alcuni:

Nel settore retail? Speriani ammette che mancano ricerche specifiche, specie relative all’Italia, ma analizzando i bilanci di sostenibilità delle quattro insegne italiane presenti nel report Deloitte Global Powers of Retailing 2023 rileva che:

  • Non ci sono indicazioni sul divario retributivo.
  • In due aziende su quattro non ci sono donne nel board.
  • È intorno al 13% la presenza delle donne nei ruoli direttivi nelle tre aziende che rendicontano quanto dato.

«Oltre ad esserci un pregiudizio di genere che ostacola la realizzazione professionale delle donne - commenta Camilla Speriani - troppo spesso non vengono monitorati i dati e le metriche che misurano la diversity, come il gender pay gap». Un fenomeno che non viene misurato è anzitutto un fenomeno non riconosciuto come tale.

La leadership e l’empowerment nel retail passano anche attraverso le parole

L’intervento di Maura Gancitano, filosofa e saggista Tlon, prende da subito le sembianze di un momento formativo.

Partendo dalla definizione di pregiudizi di genere e da come si manifestano nella nostra società, Gancitano rileva che la nostra struttura sociale e culturale non applica l’uguaglianza tra le persone. Invece che considerare le molteplici dimensioni dell'identità di una persona, ci abitua a darle un posto nella società in base ad alcune sue caratteristiche, solitamente culturali: il genere è una di queste. Al genere - spiega - vengono associati dei valori, quindi: alle donne piacciono certe cose ed altre no, le donne hanno certe tendenze, gli uomini altre; una serie di elementi che vanno a costituire la “performance di genere” a cui le persone si conformano per corrispondere a quello che la società in cui vivono ritiene essere la loro parte di maschio o di femmina.

La maggioranza di queste presunzioni non sono più avallate dalla scienza: ad esempio, il cervello maschile e femminile non ha differenze sostanziali; l'idea che le donne siano naturalmente multitasking non è vera: sono educate a ricordarsi le cose di tutti, ma un uomo educato allo stesso modo fa esattamente lo stesso; falsa anche la presunzione per cui le donne sarebbero naturalmente portate per gli studi umanistici e non per quelli scientifici.

I pregiudizi di genere sono una realtà che le persone, e le donne in particolare, devono affrontare quotidianamente, in una società in cui questi pregiudizi sono radicati e che si basa su stereotipi di genere.

Diventa, quindi, importante distruggere soffitti di cristallo (quelle barriere apparentemente invisibili che impediscono di raggiungere posizioni di leadership), e sottolineare come non dovrebbe essere un caso eccezionale quando una donna arriva ad occupare posizioni apicali. Ma è altrettanto importante cercare di migliorare la condizione di tutte le donne del settore - e qui Gancitano si rivolge alle “donne del retail” - e lavorare affinché l’equo trattamento sia una condizione diffusa, non elitaria.

L’invito alle donne presenti - e all'Associazione Donne del Retail - è quello di condividere le proprie storie e i dati per analizzare questi fenomeni, a sostenersi e anche a riconoscere la fatica che fanno in una società che non è progettata per garantire loro tutte le opportunità e il contesto per agevolare, come dice Gancitano, “il percorso di fioritura”, il loro pieno sviluppo come individui.

Perché, diciamolo, è una grande perdita collettiva che le donne non riescano ad esprimersi appieno: il mondo si priva di una considerevole quantità di idee e di valore.

Il cambiamento necessario è sicuramente culturale. Rispondendo ad una domanda, la filosofa introduce un concetto di “leadership al femminile” dove anche quella maschile può diventare meno “muscolare e cinica” e adottare maggiormente caratteristiche che vengono dette femminili, come ascolto, cura, empatia, ma che in realtà sono semplicemente umane. Caratteristiche che possono fare la differenza, specie in questo periodo in cui si evidenzia una certa disaffezione verso il lavoro e il bisogno che il lavoro dia senso alla vita.

Il linguaggio: nuovi mezzi, antichi stereotipi

“Sono solo parole” quante volte ce lo sentiamo dire: eppure, usare le parole giuste permette di entrare in relazione con le persone e di proiettare qualcosa che ancora non c’è.
Dominga Fragassi, del direttivo Associazione Donne del Retail, inizia citando Michela Murgia nel sostenere che le parole sono l'infrastruttura del pensiero, il mezzo attraverso il quale formuliamo i nostri concetti e le nostre idee. Le parole ci permettono di comunicare con le altre persone, di condividere le nostre conoscenze e di costruire relazioni. Anche nelle relazioni di potere, quindi, il linguaggio può essere utilizzato per esercitare controllo e influenza, per diffondere disinformazione, per perpetuare stereotipi e ingiustizie e per legittimare le diseguaglianze.

Diventa quindi importante essere consapevoli del potere delle parole e del modo in cui possono essere utilizzate. E scegliere le parole con cura, in modo da comunicare efficacemente e in modo rispettoso. Ecco quindi l’attenzione all’utilizzo del maschile sovraesteso. Oppure notare come, continua Fragassi: «nel retail abbiamo le cassiere e le segretarie (femmine), mentre i buyer, i direttori commerciali, i capi reparto, i direttori generali (maschi). Quando decidiamo di scegliere le parole diverse da queste, stiamo parlando di un mondo diverso, in cui ci sono direttrici commerciali e cassieri».

Per allenare l’uso responsabile del linguaggio e della comunicazione, ecco la nuova campagna di comunicazione "Sono solo parole", una “non pubblicità” ideata con Natalia Gorri di Ad Store per riflettere sui bias di linguaggio di genere già introiettati dall’intelligenza artificiale.

L’esperienza di una donna nel mondo del retail

La storia di Barbara Labate, ceo di Restore, in qualità di professionista donna attiva in ambienti prevalentemente maschili, è costellata di aneddoti ed episodi di mancati riconoscimenti e della presunzione di sua inferiorità o inadeguatezza in quanto donna: da «mi presentavano come “la ragazza dell’e-commerce”, senza nome e cognome» a «partecipavo ai consigli di amministrazione ma venivo presa per assistente». Anche in comparti “ad alto tasso di innovazione”, come quello delle start up in cui opera, il divario di genere è significativo: solo il 12,3% delle start up italiane, infatti, ha una ceo donna (Il Sole 24 Ore). Ed è significativo anche il divario di investimento: «le imprenditrici - continua Labate - ricevono circa il 2% di tutti gli investimenti di venture negli USA, anche se sono proprietarie del 38% delle aziende e anche se generano in media più del doppio del fatturato (Masschallenge - BCG)». Sulle donne si investe meno anche se sanno generare maggior valore. Nonostante questo, Barbara Labate dice: «Donna ceo nel tech? Si può fare!».

Per un retail inclusivo

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In questo primo incontro ufficiale, l’Associazione Donne del Retail ha accolto le nuove socie e le persone curiose presenti, facilitando la reciproca conoscenza e la condivisione della sua missione: promuovere “la cultura e la conoscenza del retail con una visione inclusiva e al femminile”.

Nei prossimi mesi intende lavorare a progetti concreti, come uno sportello legale, una formazione mirata al linguaggio inclusivo e una carta dei valori per l’inclusione da proporre alle aziende.

*A cura di Laura Perrone, senior communication manager di GS1 Italy