Ripensare la supply chain: così si contrasta la crisi
Tra le tante eredità (o insegnamenti o necessità imposte) della crisi, che ormai dalla fine del 2008 fa parte della vita quotidiana delle imprese, rimettere in discussione l’impostazione e la strutturazione della supply chain (processi, relazioni con i fornitori, core competence, interazione con le altre funzioni aziendali, scelte di delocalizzazione, sistemi informativi) sembra essere la strada scelta da molte di esse. Di sicuro l’attenzione posta alla supply chain è decisamente superiore che nel passato, quando, tutto sommato, non c’era un problema di domanda e per i fornitori di beni si trattava semplicemente di favorirne l’espansione, mettendo in secondo piano l’ottimizzazione dei costi, il rapporto con i fornitori, la ricerca dell’efficienza. Oggi non è più così. Anzi, «il contributo della supply chain rappresenta la parte bassa della top line, perché la sua ottimizzazione significa incidere sul capitale circolante», come ha efficacemente sintetizzato Aldo Cammaroto del gruppo Poltrona Frau nel corso del convegno “Ripensare la Supply Chain: esperienze di successo in tempo di crisi”, organizzato dalla MIP, la Business School del Politecnico di Milano..
Il tema chiave è integrazione a valle e a monte della supply chain, come ha sottolineato Giovanni Leonida, vicepresidente di Assologistica, con sistemi gestionali più flessibili post-Erp e post-Sap: poiché la gran parte dell’industria manifatturiera è di fatto un assemblatore, occorre fare in modo che il flusso di informazioni coinvolga tutti i fornitori, anche tra di loro.
L’ha confermato nella sua relazione introduttiva il professor Thorsten Blecker dell’Università di Amburgo, analizzando l’esempio tedesco. Il più grande mercato logistico in Europa (218 miliardi di euro di fatturato e un volume trasportato di 3,6 miliardi di tonnellate) dalla fine del 2008 e per tutto il 2009 ha subito una tremenda battuta d’arresto con riduzioni fino al 40% delle merci trasportate via ferrovia e una caduta complessiva dell’11%. Il solo porto di Amburgo ha registrato una riduzione del 28% dei container movimentati. Nel primo semestre di quest’anno la curva si è invertita e la locomotiva tedesca ha ripreso la sua corsa, spargendo ottimismo sul futuro presso i fornitori dei servizi logistici. Ma qualcosa è cambiato. «I driver per un cambiamento strutturale di lungo periodo nella logistica» ha spiegato Blecker «sono la modularizzazione e la de-materializzazione, la globalizzazione e gli investimenti esteri e la domanda dei consumatori. Ma dobbiamo fare attenzione anche ai futuri driver: l’aumento del commercio continentale, una minore velocità della globalizzazione, la lotta al cambiamento climatico e l’aumento del contenuto locale». Secondo un’indagine condotta presso 171 aziende tedesche del settore industriale sono cinque le azioni da intraprendere per contrastare la crisi: migliorare i processi interni (ottimizzazione di processi propri, gestione degli ordini, acquisti, sistemi informativi), la gestione e la qualificazione delle risorse umane, il ridisegno delle relazioni con i fornitori di servizi (con la rinegoziazione dei prezzi e l’ottimizzazione dei processi ai primi posti), l’aumento delle attività di outsourcing (trasporti, magazzini), lo sviluppo di network e cooperazioni (trasporti in bundle, per esempio). A questi si aggiungono i benefìci derivanti dall’adozione di sistemi di logistica verde, con abbattimento di emissioni, non semplicemente utilizzando mezzi alternativi di trasporto, ma attraverso un sistema di trasporti integrato basato sui flussi. In sintesi, afferma Blecker si tratta di fare un grosso sforzo di innovazione in quanto «le innovazioni sono un must per mantenere competitività nel mercato sia per l’industria sia per i fornitori di servizi».
Le testimonianze di imprese italiane hanno, di fatto, avvalorato le affermazioni di Blecker (la sua presentazione è disponibile a questo indirizzo Internet http://www.slideshare.net/MipMilano), concordando su una serie di punti come la centralità delle risorse umane e dei talenti (Sirap), la riduzione dei costi amministrativi e il miglioramento degli acquisti (Alitalia), la necessità di avere sistemi informativi più flessibili in grado di gestire le previsioni (Riello).
Il caso di Poltrona Frau (che fa capo al fondo Charme della famiglia Montezemolo e comprende anche altri due brand di spicco nell’arredamento di lusso, Cassina e Cappellini, 260 milioni di euro il fatturato complessivo e acquisti per 140 milioni) per molti versi è emblematico. «Fino a un paio d’anni fa» spiega Cammaroto «per le aziende del made in Italy il focus era sul fatturato e la funzione leader era quella del direttore marketing e/o commerciale. Con la crisi che ha colpito anche il settore del lusso è stato necessario cominciare a lavorare sui costi. Si è trattato di rivedere completamente il rapporto con i fornitori dando loro visibilità del planning a 8 settimane per rendere più piatto il ciclo produttivo ottimizzando contemporaneamente i cicli stessi, facendo parlare tra di loro logistica e acquisti, per far muovere i camion pieni e non semivuoti». Con l’ottimizzazione dei viaggi è stato così ottenuto un risparmio del 5% sulle tariffe di trasporto l’anno scorso e un altro 7% è atteso quest’anno. Ma la parola chiave è collaborazione, pur avendo ridotto i fornitori da 3000 a 2000, con l’obiettivo di arrivare a 1000. «Fare efficienza nell’acquistato e non negli acquisti significa per noi lavorare a quattro mani con i fornitori per migliorare l’efficienza produttiva senza lottare più per qualche punto percentuale di sconto», ha concluso il manager.
A cura di Fabrizio Gomarasca