Antitrust: nuove regole per industria e distribuzione
Dal 1° giugno scorso la normativa europea Antitrust s’è fatta ancor più stringente di prima. È entrato infatti in vigore il Regolamento UE n. 330/2010 della Commissione (in sostituzione del precedente Regolamento CE n. 2790/1999), che si applicherà agli accordi verticali e alle pratiche concordate fra industria e distribuzione di nuova stipula (per quelli già in essere c’è un anno di tempo per conformarsi) e che resterà in vigore fino al 31 maggio 2022.
Della nuova normativa s’è parlato il 29 giugno scorso a Milano nel corso del seminario organizzato da ECR, in collaborazione con lo Studio legale HoganLovells, dal titolo: «Le nuove regole dell’Antitrust nelle relazioni verticali tra industria e distribuzione: conoscerle per minimizzarne il rischio». Un seminario che anticipa un momento formativo specifico su questa normativa che Indicod-Ecr ha calendarizzato per il 27 ottobre prossimo, sempre a Milano.
«Avere un’approfondita conoscenza della nuova normativa Antitrust» ha detto l’avvocato Gianluca Belotti dello Studio legale HoganLovells «è oggi imperativo per il top management, ovvero per amministratori delegati, direttori generali e di stabilimento, responsabili commerciali e finanziari, responsabili marketing nonché legali interni delle imprese: ciò è tanto più vero per quelle imprese con una quota di mercato superiore al 30% che non godono delle esenzioni automatiche riconosciute dal Regolamento. Imprese che, con i loro comportamenti, potrebbero limitare la libera concorrenza che il legislatore vuole invece garantire, per permettere ai consumatori di disporre di prodotti sempre migliori a prezzi competitivi. Altrettanto importante è che la nuova normativa sia conosciuta dal top management d’imprese con una quota di mercato compresa fra il 15 e il 30%, che pure, implementando alcuni accordi verticali, potrebbero porre in essere turbative della libera concorrenza e venire pesantemente sanzionate».
Soltanto le aziende con uno share inferiore al 15% sono dunque esentate dall’attenersi alle disposizioni della normativa Antitrust, eccezion fatta per le cosidette restrizioni gravi, quali l’imposizione dei prezzi di rivendita.
«Chi invece vi rientra e la viola», ha avvertito Belotti, «rischia grosso. L’Antitrust può infatti comminare sanzioni pecuniarie che possono raggiungere anche il 10% del fatturato complessivo dell’azienda. In alcuni paesi Ue sono altresì contemplate sanzioni penali.
I top manager che hanno autorizzato comportamenti illeciti in base alla normativa Antitrust rischiano inoltre d’essere chiamati dal datore di lavoro a risarcire i danni economici e d’immagine subiti dall’azienda sanzionata dall’Authority. Per non dire del fatto che le clausole contrattuali vietate dalla normativa Antitrust sono prive di validità alcuna».
Proprio per la rilevanza economica che le sanzioni comminate dall’Antitrust possono oggi raggiungere, il suggerimento di Belotti alle imprese è di trasferire allo studio legale, incaricato di verificare la conformità delle proprie pratiche commerciali con la normativa, l’onere del pagamento di eventuali multe erogate dall’Authority, così com’è già prassi all’estero. E di valutare l’opportunità, ma anche i rischi, di denunciare spontaneamente di aver commesso illeciti Antitrust nella speranza di vedersi concedere l’immunità dalle sanzioni dell’Authority, o di collaborare fattivamente all’investigazione avviata dalla stessa, vedendosi così ridurre finanche della metà l’ammenda. Scelte entrambe che comunque non mettono al riparo l’azienda da eventuali azioni civilistiche (class action) da parte di chi si ritiene danneggiato dal comportamento che ha falsato la libera concorrenza dell’azienda stessa.
Venendo alle novità introdotte dal Regolamento UE n. 330/2010, va innanzitutto detto che restrizioni fondamentali della concorrenza potranno essere lecitamente inserite in accordi verticali, solo, qualora l’impresa possa dimostrare che:
- tali restrizioni sono indispensabili per generare efficienze;
- per rientrare automaticamente nella zona d’esenzione dall’applicazione della normativa, entrambi i contraenti degli accordi verticali, sia il produttore che il distributore, devono essere accreditati di una quota di mercato inferiore al 30% rispettivamente di vendita e d’acquisto dei beni (prima questa soglia era riferita solo al produttore);
- d’ora in poi, sarà sempre più difficile fissare restrizioni alle vendite on line.
Fatto salvo il fatto che negli accordi verticali industria-distribuzione sono oggi sempre vietate sia la fissazione dei prezzi di vendita sia restrizioni territoriali/clientelari. Non è infatti ammesso né limitare l’autonomia dell’impresa d’impostare la propria politica commerciale in quanto si favorirebbe un allineamento dei prezzi sul mercato. L’art. 4 lettera a) del regolamento salva però «… la possibilità per il fornitore di imporre un prezzo massimo di vendita o di raccomandare un prezzo di vendita…». Né limitare l’autonomia del rivenditore nello scegliere a chi, dove e quando vendere le merci acquistate. E che, allo stesso modo, sono sempre vietate (e quindi non se ne può rivendicare l’applicabilità) clausole che impongano per più di 5 anni l’obbligo di non concorrenza e che impediscano al rivenditore di vendere particolari marche. Restrizioni non gravi possono essere concordate più o meno a cuor leggero in funzione della posizione di mercato dei soggetti che le pongono in essere. Politiche scontistiche (come gli sconti fedeltà o quelli target) e accordi particolari come, per esempio, il monomarchismo, la distribuzione esclusiva o selettiva, il category management e i listing fee, possono essere tranquillamente concordati fra soggetti che controllino entrambi fino al 15% di quota e pattuiti con una certa cautela fra imprese con il 15-30% di share. Vanno invece implementati con estrema prudenza da società con una quota di mercato superiore al 30% e possono sconfinare nell’illecito nel caso a prevederli siano aziende con più del 40% di share.
Concludendo vale la pena sottolineare che una pratica sulla quale si concentra in modo particolare l’attenzione della legislazione Antitrust è quella del category management, soprattutto se si realizza in mercati concentrati e da parte di operatori con una quota di mercato superiore al 30%. «Il legislatore», ha rimarcato Belotti, «sollecita i retailer ad affidare il ruolo di category captain a partner industriali diversi.
Alla luce dell’attenzione del legislatore sul tema, ECR ha avviato, con il supporto del legale e con il proposito di coinvolgere successivamente le aziende aderenti, un riesame del modello di category management per chiarire gli ambiti di attenzione e le possibili criticità con riferimento alla normativa sulle relazioni verticali.
Accordi di category management fra partner commerciali di peso, insomma, in base alla nuova normativa Antitrust non devono assolutamente diventare il mezzo che consente al category captain di riposizionare i prezzi della propria offerta, essendo venuto a conoscenza delle politiche di sell-in dei competitor. Ciascun category captain dovrà inoltre valutare con attenzione se i programmi di category management che li vedono coinvolti possano far sorgere il benché minimo sospetto che siano stati impostati per estromettere dallo scaffale i prodotti di fornitori suoi concorrenti.
A cura di Luisa Contri