Consumatore: vittima dell'offerta o capace di scegliere?
Che ruolo hanno i consumatori nella società italiana di oggi? Sono ancora figli di un dio minore, corteggiati come individui dalla pubblicità, studiati dalle imprese come destinatari d’azioni di marketing, ma poi misconosciuti come attori sociali portatori di diritti? E quale tutela hanno le imprese, soprattutto le Pmi, di poter operare in una situazione di libera concorrenza?
Se n’è discusso il 19 aprile scorso a Milano nel corso del settimo appuntamento di “Economia e società aperta 2010”, la serie di conversazioni sull’economia promossa dall’Università Commerciale Luigi Bocconi e dal Corriere della Sera. L’incontro, dal titolo «I consumatori: dalla dittatura dei produttori all’autonomia critica?», ha visto protagonisti Antonio Catricalà, presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), Gustavo Ghidini, professore ordinario di Diritto industriale all’Università degli Studi di Milano e presso la Luiss di Roma nonché presidente onorario del Movimento Consumatori, Michele Polo, professore ordinario di Economia politica all’Università Luigi Bocconi di Milano, e Massimo Mucchetti, vicedirettore ad personam del Corriere della Sera, anche in veste di moderatore. E l’opinione condivisa è risultata essere quella della necessità di rinsaldare nel nostro paese la cultura della concorrenza, del merito e dei valori della competizione.
«Nella tradizione politica e culturale italiana», ha rimarcato Michele Polo introducendo l’argomento della serata, «la figura del consumatore ha avuto un ruolo di secondo piano rispetto ad altre modalità d’identificazione del soggetto, la prima delle quali è quella per classi sociali».
Seppure con ritardo rispetto al mondo occidentale e all’Europa, negli anni Novanta anche l’Italia s’è dotata d’autorità amministrative indipendenti, con compiti di garanzia nei confronti dei cittadini (l’Agcm, per esempio, festeggia quest’anno il suo il ventennale) e ha imboccato la strada delle liberalizzazioni, alcune delle quali hanno cambiato il volto d’importanti servizi di pubblica utilità: dall’energia elettrica al gas, dalle telecomunicazioni a molti tipi di trasporti, ai servizi bancari.
«Il tuttora debole riconoscimento delle ragioni dei consumatori che caratterizza la tradizione culturale e politica italiana», ha però evidenziato Polo, «rende incerti e instabili il successo delle politiche e l’efficacia delle istituzioni designate per proteggere gl’interessi dei consumatori».
Polo, insomma, propende per la tesi che sia ancora attuale un’affermazione di Giuliano Amato, predecessore di Catricalà alla presidenza dell’Agcm, quella secondo cui chi s’occupa degl’interessi dei consumatori in Italia si sente spesso apostolo in terra d’infedeli.
Pur sottolineando i progressi fatti dall’Italia in tema di tutela del cittadino-consumatore dagli anni Novanta a oggi (il termine consumatore debutta nell’ordinamento giuridico nazionale nel 1996, con l’inserimento dell’art.1496 bis nel codice civile), progressi cui ha dato impulso l’Agcm con il suo operato, proprio per la relativamente giovane cultura consumerista del nostro paese, Catricalà ha reiterato l’auspicio che le istituzioni accolgano la sua proposta, presentata al Parlamento con una relazione ufficiale depositata agli atti all’indomani della sua nomina alla guida dell’Agcm, di potenziare gli strumenti sanzionatori di quest’Authority e d’ampliare il suo raggio d’azione dalla tutela dei diritti delle persone fisiche (come previsto dal Codice del consumo ossia dal Decreto legislativo nr. 206 del 6 settembre 2005) a quella anche delle persone giuridiche, in tutti quei casi in cui sussista una disparità di forza contrattuale fra le parti.
«Una competenza limitata quella attuale», ha detto Catricalà, «che non consente all’Agcm d’intervenire in situazioni che possono configurarsi come turbative della libera concorrenza». Un esempio per tutti l’impossibilità dell’Agcm d’incidere sul fenomeno dei ritardi nei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni.
«Considerato che la possibilità di scelta da sola non è sufficiente per garantire i diritti del consumatore e che l’ordinamento italiano deve essere ancora depurato di tutte le norme che consentono di derogare alla libera concorrenza», ha affermato Catricalà, «quello che serve nel nostro paese è una presa di coscienza della necessità di confermare quanto s’è fatto finora e di andare avanti. Sono d’altronde convinto che la crisi finanziaria globale non sia stata generata da un eccesso di libertà, bensì da politiche sconsiderate, messe in atto da operatori senza scrupoli in presenza di difetti nei meccanismi di controllo del loro operato da parte delle autorità terze a ciò preposte».
«Dobbiamo andare a rivedere i meccanismi di regolazione in assenza dei quali la semplice concorrenza non morde o morde male o a singhiozzo», ha convenuto Gustavo Ghidini. «L’Agcm è attenta e puntale, ma non sempre è così in altri settori. Occorre tenere alta l’attenzione sui grandi fenomeni che condizionano la vita dei cittadini. Risalire alle storture del mercato, individuare i vuoti normativi che hanno le hanno rese possibili e colmare quel vuoto. Il fatto, per esempio, che tutt’oggi in Italia alcune medicine costino notevolmente di più che in altri paesi europei, nonostante la vigilanza dell’Agenzia del Farmaco sulle case produttrici, dipende dalla mancanza di una norma che individui come prezzo equo quello medio dei paesi benchmark in Europa. Lo stesso vale per assicurazioni e servizi bancari, più cari in Italia rispetto agli altri paesi Ue, pur in presenza di una pluralità d’attori».
Ma in un’Italia reduce dalla grande crisi globale, s’è chiesto Massimo Mucchetti, in cui l’emergenza della vita delle persone è il lavoro non il consumo, ha ancora senso portare avanti la battaglia della concorrenza? In altre parole l’Agcm serve oggi come 20 anni fa?
«A mio giudizio», ha detto il vicedirettore del Corriere della Sera, «l’Antitrust dovrebbe rivedere le sue scelte. Instaurare un diverso rapporto con il governo e con il mondo politico per dettare nuove regole nell’economia, per contribuire anche a far sì che si giunga a una diversa ripartizione del valore aggiunto che si crea nell’economia».
«L’Agcm», ha risposto Catricalà, «serve oggi per impedire che si torni indietro, che prevalgano interessi corporativi come quelli, per esempio, che spingevano per normalizzare la liberalizzazione della vendita dei farmaci senza obbligo di prescrizione medica. Liberalizzazione che ha avuto effetti positivi sia per i consumatori, in termini di riduzione dei prezzi dei farmaci, sia per il settore, in termini d’occupazione, così com’è già avvenuto nelle telecomunicazioni e come si prevede avverrà nei trasporti e nelle poste quando saranno liberalizzati. La concorrenza, ne abbiamo avuto la riprova anche da noi, favorisce la crescita dell’economia e l’aumento dei posti di lavoro».
E se Catricalà con l’Agcm persegue una politica dei piccoli passi avendo comprovato che in molti casi «il meglio è nemico del bene», Ghidini auspica che la concorrenza sia accompagnata in Italia da una regolamentazione di contorno, con finalità di politica industriale (la grande assente nel nostro paese). «Altrimenti», ha detto, «corriamo il rischio d’avere una concorrenza fra imprese che offrono prodotti e servizi a prezzi più alti della media europea a consumatori con un potere d’acquisto fra i più bassi d’Europa».
A cura di Luisa Contri