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Francia: benefici per i consumatori dalla riforma economica

La Legge di modernizzazione economica (LME), approvata in Francia nell’agosto del 2008, ha ridefinito il sottocosto, permettendo ai distributori di praticare prezzi al netto di tutti i contributi finanziari dei produttori. Ha inoltre eliminato il divieto di differenziare le condizioni di vendita fra i distributori e consentito così a questi ultimi di esercitare più liberamente, al riparo dai rischi giuridici, la loro pressione negoziale sui produttori. A un anno dalla legge, le riforme hanno dato gli effetti voluti sui marges arrière e sui prezzi: i primi sono diminuiti drasticamente, passando dal quaranta all’undici per cento, e i secondi hanno continuato nella loro tendenza deflazionistica.

La riforma ha quindi giovato ai consumatori, ma ha anche introdotto nuove sfide per i distributori, per i produttori e per i pubblici poteri.
Con la nuova definizione del livello di sottocosto, la concorrenza fra i distributori si è intensificata, come dimostra la crescita del divario fra i prezzi delle insegne più o meno competitive. I distributori più aggressivi sui prezzi hanno perfino messo in difficoltà i discount, la cui quota di mercato ha conosciuto un rallentamento.
La nuova legge riporta i rapporti industria/distribuzione alla situazione precedente la Legge Galland. Dal 1996 fino al 2008, periodo in cui questa legge è rimasta in vigore, produttori e distributori negoziavano non tanto il prezzo quanto piuttosto un valore complessivo di contributi finanziari (i marges arrière), la cui attribuzione a specifiche iniziative di marketing dei distributori era in gran parte fittizia. Nella nuova situazione, produttori e distributori hanno interesse invece a negoziare il prezzo base del prodotto e individuare con precisione l’ammontare dei marges arrière. Questi ultimi non solo rialzano il livello del sottocosto ma, se non corrispondono effettivamente a prestazioni reali, espongono l’insegna a sanzioni pecuniarie elevate.

Il fatto di poter rinegoziare i prezzi, dopo anni in cui sono stati “amministrati” di concerto fra produttori e distributori, comporta una riscoperta del marketing distributivo e del pricing in particolare. L’offerta e i prezzi tendono a variare sulla base di segmentazioni e ricerche di differenziazione per marca, tempi e aree di attrazione.
La riduzione dei prezzi, che si concentra soprattutto sui prodotti di marca, favorisce un loro riposizionamento rispetto alle marche commerciali e ai primi prezzi.
Alcune insegne aumentano l’intensità promozionale, altre la diminuiscono, puntando sull’”every day low price”. Se la media dell’intensità promozionale raggiunge mediamente il 18%, il gruppo Leclerc, ad esempio, si limita al 16% e offre ai suoi clienti, titolari della carta di fedeltà, una “garanzia” promozionale, vale a dire il rimborso della differenza fra il prezzo pagato e quello praticato da un concorrente nel corso di una promozione successiva all’acquisto.

Tutti i gruppi sperimentano politiche di geomarketing e geomerchandising per adattare l’offerta e i prezzi alle varie aree geografiche.
Il ritorno al marketing del prezzo si accompagna, da parte di alcuni produttori di marca, alla consapevolezza di avere rinunciato a occupare la fascia media di mercato, favorendo così le marche commerciali. Alcune grandi marche (per esempio Danone) reagiscono allora con vigore per riconquistare il terreno perduto, introducendo linee di prodotti a prezzo medio e anche primi prezzi.

Di fronte alle più forti pressioni negoziali, le principali marche e le loro associazioni propongono ai distributori una politica di cooperazione, basata in particolare sulla preparazione in comune di “piani di business”. Tali piani, previsti dalla nuova legge, dovrebbero permettere una definizione concertata degli assortimenti, delle innovazioni, delle promozioni, della logistica e del merchandising, nella logica dell’ECR e del category management. I produttori chiedono inoltre il rispetto della legge e l’applicazione di sanzioni nei casi di abusi di situazioni dominanti e di “squilibri significativi” tra piccole e medie imprese e grandi centrali d’acquisto.

I poteri pubblici manifestano soddisfazione per i risultati raggiunti in termini d’inflazione, attribuendosene il merito. Con l’obiettivo di difendere le piccole e medie imprese, la potente Direzione Generale dei Consumi, della Concorrenza e della Repressione delle Frodi, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha mobilitato una “brigata” di controllori per sorvegliare la conformità dei contratti alla legge e scoprire eventuali abusi. I risultati delle indagini non sono, per ora, trasparenti, ma sembra che siano state individuate una quindicina di clausole non conformi alla legge fra cui, per esempio, l’obbligo di ripresa di prodotti invenduti, la remunerazione di servizi non citati nel piano d’affari, le penalità sproporzionate in caso di ritardo nelle consegne, le differenze fra il contenuto dei piani e quello delle fatture e la non assunzione di alcuni rischi da parte dei distributori. Pesano, su questi ultimi, minacce di elevate sanzioni, che sembrano costituire una concessione del governo ai produttori dopo l’introduzione della LME, che è stata accolta più favorevolmente dai distributori. Non è però sicuro che agli annunci politici (dai toni talora demagogici) seguano davvero delle sanzioni importanti, col rischio di suscitare di nuovo un clima conflittuale in una situazione economica e sociale che ha bisogno soprattutto di serenità.

A cura di Enrico Colla