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01. Sintesi dei risultati della ricerca

Introduzione

A metà degli anni ottanta del secolo scorso la Comunità Europea lanciò il progetto di Mercato Unico con l’intento di ridurre nella misura massima possibile le barriere non tariffarie tra i paesi membri e integrare i mercati dei beni e dei fattori produttivi.

Il progetto di più rapida realizzazione riguardò l’integrazione del mercato dei capitali, completata nei primi anni novanta. Più lenta, ma comunque progressiva, è stata l’integrazione del mercato dei beni. A distanza di sedici anni, cominciano a essere osservabili importanti risultati per il mercato dei beni: lavori empirici sulla formazione dei prezzi dei beni manifatturieri mostrano che in questo periodo il mark-up nella media dei paesi membri si è ridotto, come pure è avvenuto nel settore delle costruzioni (Harald Badinger, Has the Eu’s Single Market Programme Fostered Competition? Testing for a Decrease in Mark-up Ratios in Eu Industries, Working Paper n. 135, Oesterreichische National Bank). Ovviamente, in questi anni sono mutate le condizioni concorrenziali anche sui mercati globali, non solo su quello europeo, ma ciò non fa che confermare l’importanza dell’integrazione che abbatte le barriere all’entrata.

A fronte di questi effetti esercitati dal maggior grado di concorrenza immesso sui mercati dei beni commerciabili tra diversi paesi, il settore dei servizi, nello stesso periodo, ha visto crescere il mark-up, nonostante l’intenso processo di liberalizzazione dei mercati dei servizi di pubblica utilità. Di qui le iniziative intraprese con la Direttiva Bolkenstein relativa al mercato dei servizi e non ancora pienamente applicata, sia pure nella versione più edulcorata.

Obiettivi e metodologia della ricerca

Anche in Italia i mercati dei beni e servizi si sono mossi nella direzione di una riduzione degli ostacoli alla concorrenza, ma con un passo più lento e quindi con un ritardo che diventa sempre più evidente. Lo scopo di questo lavoro è di misurare i costi per l’economia italiana di questo ritardo. Costi che vengono sopportati direttamente dai consumatori, per i quali il potere d’acquisto è compresso da un livello dei prezzi più elevato di quanto potrebbe essere, e costi che sopportano le imprese, direttamente, a causa di maggiori oneri per gli input materiali (energia e servizi alle imprese), e, indirettamente, per maggiori salari conseguenti al più elevato costo della vita. Infine, costi di tipo macroeconomico che conseguono alla minore capacità di penetrazione delle nostre esportazioni sui mercati esteri e alla minore sollecitazione agli investimenti in capacità produttiva e innovazione tecnologica, che un ambiente più concorrenziale determinerebbe.

Numerosi sono i settori della nostra economia nei quali il grado di concorrenza potrebbe essere innalzato; l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) ha individuato e tiene sotto sorveglianza una molteplicità di mercati: quello dell’Energia elettrica, del Gas, delle Comunicazioni, dei Trasporti, dei Servizi finanziari, dei Servizi professionali, della Distribuzione commerciale e dei Carburanti.

Se si esclude la distribuzione commerciale, nel complesso questi settori forniscono beni e servizi alle imprese che incidono direttamente per il 15 per cento sui costi di produzione; tale incidenza sale al 20 per cento se si considerano anche gli effetti indiretti esercitati sull’intera filiera di produzione di un determinato settore produttivo (Figura 1 - Incidenza diretta e indiretta sui costi delle imprese italiane).

Per quanto riguarda le famiglie, l’incidenza di sette tra i settori indicati (distribuzione commerciale esclusa) sulla loro spesa per consumi interni è pari al 14.4 per cento; la distribuzione commerciale in senso stretto, da sola, incide su un volume di spesa che è pari a un terzo del valore totale dei consumi interni (Figura 2 - Quota a valore sui consumi interni).

I comparti presi in considerazione in questo lavoro sono:

  • Energia elettrica.
  • Telecomunicazioni.
  • Servizi finanziari.
  • Distribuzione commerciale.

I primi tre sono stati indicati dalle imprese associate a Indicod-Ecr (in occasione della quinta edizione dell’Osservatorio Indicod-Ecr) come maggiormente necessari di interventi di aumento della concorrenza; la scelta della distribuzione commerciale è legata invece alla missione istituzionale del committente e ai recenti provvedimenti legislativi in materia.

I passi che sono stati seguiti nello svolgimento dell’analisi sono i seguenti. Dapprima è stata misurata la distanza che intercorre tra il livello dei prezzi sui quattro mercati italiani considerati e gli analoghi prezzi prevalenti sui mercati europei; da questa prima esplorazione si è ricavata la dimensione della riduzione di prezzo che in ciascun mercato italiano è realistico aspettarsi di ottenere con provvedimenti che sostengano la diffusione di un maggiore grado di concorrenza. Il realismo cui si fa riferimento è commisurato alle condizioni strutturali specifiche del singolo settore italiano, che limitano la possibilità di convergenza del prezzo finale al livello europeo. Queste ultime considerazioni valgono soprattutto per il mercato dell’energia elettrica, nel quale la composizione delle fonti di approvvigionamento dei combustibili costituisce un vincolo difficilmente superabile anche nel medio periodo, e per la distribuzione commerciale, per la quale il diverso grado di penetrazione tra Nord e Sud nel nostro paese pone un ostacolo all’incremento della penetrazione media complessiva.

Gli obiettivi di riduzione di prezzo così individuati hanno fornito gli input per i due modelli, di cui Prometeia dispone: l’uno - il “modello Asi”, predisposto per l’analisi della struttura produttiva e di costo dei settori industriali - ha consentito di ottenere l’impatto diretto e indiretto sui prezzi di produzione, e l’altro - il “modello macroeconomico”, stimato sulle serie storiche di contabilità nazionale per formulare la previsione macroeconomica trimestrale della nostra economia - ha consentito di valutare gli effetti che le riduzioni di prezzo alla produzione e al consumo possono esercitare sul Pil della nostra economia e sulle componenti di domanda interna e di domanda estera dei nostri prodotti.

I principali risultati

È stato considerato, innanzitutto, il primo effetto di natura statica (si potrebbe dire semplicemente contabile) sui prezzi alla produzione tramite il modello Asi. La riduzione dei prezzi dell’energia elettrica alle imprese del 5.2 per cento e quella dei prezzi dei servizi di telecomunicazione forniti alle stesse imprese del 15.0 per cento implicano una riduzione dei prezzi alla produzione complessivi di poco più di tre decimi di punto. L’effetto indiretto è quasi totalmente imputabile alla riduzione del prezzo dell’energia elettrica, la quale entra significativamente in tutti gli stadi di produzione. L’effetto complessivo si distribuisce nei principali settori come indicato nella Tabella 1 - Effetto complessivo sui prezzi alla produzione.

I risultati appena descritti sono stati utilizzati come input per il modello macroeconomico trimestrale al fine di ottenere una valutazione degli effetti che tenga conto delle componenti dinamiche dei meccanismi di aggiustamento dell’intera economia. A questi input, che agiscono sui prezzi alla produzione, sono state affiancate le riduzioni di prezzo che agiscono direttamente sui prezzi al consumo e la riduzione dei tassi di interesse sugli impieghi, alle famiglie e alle imprese, così come indicato nella Tabella. 2 - Ipotesi di riduzione dei prezzi al consumo e dei tassi di interesse.

La Tabella 3 - Risultati, scostamenti % dallo scenario base contiene i dati di sintesi della simulazione degli effetti di una maggiore liberalizzazione dei mercati dell’energia elettrica, delle telecomunicazioni, dei servizi finanziari e della distribuzione commerciale e dei carburanti sull’economia italiana. I risultati presentati descrivono il raffronto tra una simulazione di base, nella quale si riproducono le condizioni attuali dei mercati, e una simulazione in cui si immagina agiscano le condizioni di maggiore concorrenza e riduzione conseguente dei prezzi che più sopra sono state esposte. In altre parole, i numeri contenuti nella tabella misurano la distanza percentuale tra la traiettoria della variabile nella simulazione di base e quella della medesima variabile nella simulazione con più concorrenza. Infine, vengono indicati due effetti: l’effetto d’impatto relativo al momento in cui la maggiore concorrenza manifesta i suoi effetti sui singoli mercati considerati e l’effetto a regime, quando la gran parte del processo di trasmissione macroeconomica si è realizzato.

L’aumento della concorrenza nei quattro mercati indicati esplica i suoi effetti attraverso un insieme articolato di canali: la riduzione del mark-up nel processo di formazione del prezzo; l’aumento della capacità produttiva che le interazioni strategiche tra incumbent e potenziali entranti determinano; l’aumento della domanda finale di tali prodotti o servizi; l’aumento degli investimenti in innovazione dei processi produttivi; infine, l’aumento della produttività del lavoro. La dimensione quantitativa di questi fenomeni è esattamente quella in grado di convalidare le riduzioni di prezzo poste come obiettivo.

A regime, questi andamenti risultano amplificati dalla interazione tra tutte le variabili macroeconomiche. Così, ad esempio, la riduzione dei prezzi alla produzione che inizialmente corrisponde a poco più di tre decimi di punto - come ricavato dalla simulazione del modello Asi - dopo le prime interazioni simulate con il modello macroeconomico diventa di otto decimi di punto e a regime di 1.3 punti. La riduzione dei prezzi alla produzione si diffonde ai prezzi al consumo e si somma agli effetti iniziali delle liberalizzazioni che agiscono direttamente sui prezzi al consumo e tutti assieme riducono la crescita dei salari, la quale, combinata con la maggiore domanda dei prodotti liberalizzati e con i maggiori investimenti in innovazione, aumenta la produttività del lavoro riducendo la crescita dei costi di produzione.

L’insieme di tutte queste interazioni fa sì che le liberalizzazioni che abbiamo indicato producano, a regime, una riduzione del livello dei prezzi al consumo dell’1.7 per cento e un incremento del livello del Pil della stessa misura dell’1.7 per cento. Il maggiore livello del Pil è spiegato per più della metà dall’incremento del livello dei consumi e per il rimanente quasi totalmente dal maggiore livello degli investimenti (un piccolo contributo viene anche dalle maggiori esportazioni, che risultano più competitive).

La riduzione finale dei prezzi al consumo, infatti, si concentra soprattutto sui beni alimentari e sui prodotti energetici, che rivestono un ruolo importante nel paniere di beni di consumo delle famiglie italiane. Il più alto potere d’acquisto delle famiglie e i maggiori investimenti stimolano un aumento del livello di occupazione dello 0.6 per cento e un livello di salario nominale di circa otto decimi di punto più basso, ma più elevato di nove decimi in termini reali rispetto all’ipotesi di assenza delle liberalizzazioni.

È ovvio che la estensione delle liberalizzazioni a tutti i mercati citati all’inizio e giudicati problematici dall’Agcm avrebbe effetti ancora più consistenti sul livello di benessere (così come espresso dalla misura del Pil) e sulla distribuzione del reddito attraverso la riduzione ulteriore delle posizioni di rendita. Infine, i risultati ottenuti mostrano che la piena liberalizzazione dei mercati di beni e servizi costituisce un contributo alla competitività dei nostri prodotti, consentendo un aumento della domanda interna che risulta compatibile sia con la riduzione del suo contenuto di importazioni, sia con l’espansione delle esportazioni a parità di domanda mondiale.

Note

Nella valutazione dei risultati ottenuti è opportuno considerare, in primo luogo, che si assume che l’adozione di provvedimenti di liberalizzazione dei singoli mercati in questione generi immediatamente gli effetti desiderati sui prezzi. In altre parole, non solo non vengono valutati i tempi necessari sia per rendere operativi i provvedimenti legislativi e sia perché essi esercitino a pieno i loro effetti, ma non vengono nemmeno presi in considerazione fattori che possono indurre vischiosità nel comportamento dei consumatori (asimmetrie informative sui prezzi dei servizi, sopravalutazioni dei costi di trasferimento da un servizio a un altro, reazioni non di prezzo degli incumbent, ecc.); fattori che potrebbero rendere aleatori i tempi necessari perché le riduzioni di prezzo ipotizzate si manifestino.

In secondo luogo, è necessario ricordare che, in linea di principio, un maggiore livello di concorrenza esercita un effetto di riduzione una tantum sul livello dei prezzi; mentre questo effetto si manifesta, trasmettendosi ai diversi segmenti dell’attività produttiva, esso si traduce anche in un minore tasso di inflazione (ovvero, si esercita un effetto di deflazione), ma quest’ultimo effetto non è un effetto permanente. Una volta terminato lo sciame di reazioni all’impulso iniziale, il livello dei prezzi si assesta al nuovo minore livello e il tasso di deflazione indotto dalla liberalizzazione si annulla. Ciò premesso, non va trascurato, comunque, il fatto che una situazione più concorrenziale è una situazione nella quale i produttori e i venditori finali aggiustano più frequentemente i prezzi; questo quindi rende più volatile il livello dei prezzi, ma meno persistente il tasso di inflazione, il che, a sua volta, facilita la gestione della politica monetaria, rendendo le reazioni di quest’ultima a impulsi inflazionistici meno costose per il sistema economico (Inflation Persistence Network, Inflation Persistence in the Euro Area: Preliminary Summary of Findings, European Central Bank).

Consulta la presentazione di Paolo Onofri al convegno “Concorrenza come motore della crescita” - Milano, 30 gennaio 2008.

Paolo Onofri è professore di Politica economica all’Università di Bologna e segretario generale di Prometeia