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Verso il new retail

Dopo la pandemia il mondo della Distribuzione alla ricerca di sintonia con uno scenario che ha subito una forte accelerazione. Il cliente al centro, la sostenibilità e la tecnologia digitale sono i punti fermi. All’orizzonte, però, incombono le nubi dei rincari

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Il mondo della Distribuzione non può permettersi di stare fermo. È una continua tensione a ripensare al proprio ruolo, ai modelli di offerta, al rapporto con il consumatore, a misurarsi con la doppia sfida dell’innovazione e della sostenibilità. Tutti temi affrontati alla recente edizione di Retail & Marketing Summit organizzato da GDO Week, una ribalta per molti top manager della GDO italiana chiamati a confrontarsi sull’evoluzione del retail, necessariamente più veloce dopo i cambiamenti indotti dalla pandemia. Tra questi la rifocalizzazione dei consumi, un maggiore orientamento alla vita domestica ma solo in qualche caso, la spinta all’online e la riscoperta dei negozi, l’importanza crescente della sostenibilità. È quello che si dice un consumatore “incerto e mutevole”, al quale il retail deve dare una risposta.

Punto di riferimento per il cliente

Secondo Andrea Petronio, senior partner Bain & Company il retail deve affrontare la situazione reagendo rapidamente agli insights dei consumatori, modellando l’offerta per soddisfare i loro mutevoli comportamenti, incorporando la sostenibilità nella strategia a breve termine e investendo per crescere. «In una parola – dice Petronio – la soluzione è l’ecosistema: bisogna cercare di diventare one stop shop per i clienti in tutte le modalità e i canali dove essere presenti prima degli altri, sfruttando tutte le leve caratteristiche del retail, per creare fedeltà nei clienti».

Ci sono diversi modelli di ecosistemi: quelli che mescolano partnership, acquisizioni e sviluppo interno (Zara, H&M, Aldi), aperti come i big Amazon, Alibaba e Tencent, quelli dove vi è una partecipazione tra retailer ed ecosistemi aperti (El Corte Ingles con Alibaba), retailer che costruiscono il proprio ecosistema proprietario (Walmart, Best Buy). «Si tratta comunque di catalizzare le esigenze dei clienti con soluzioni specifiche per diventare riferimento del proprio cliente», puntualizza Petronio.

Figura 1 – L’evoluzione del retail

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Fonte: Bain & Company

È quanto fa, su scala ridotta, Unes con la linea di MDD Il Viaggiator goloso, con un percorso, riassunto dall’amministratore delegato Rossella Brenna, che, partito da un temporary store a Milano l’ha portato ad aprire punti vendita con la stessa insegna, a sviluppare una partnership con Amazon, costantemente alimentata con nuove iniziative, e più recentemente con Coin a Milano e con altri brand come Venchi (“il corner nel corner”). «Le partnership continuano a espandersi, perché il negozio fisico è ancora il primo touch point della GDO, ma poiché buona parte dell’economia sarà sempre più influenzata dall’utilizzo dei dati, non sarà più sufficiente lavorare su un modello che ha funzionato e continua a funzionare», conclude Brenna.

La consapevolezza che il retail deve mettersi continuamente in discussione è al centro anche della riflessione di Giancarlo Nicosanti Monterastelli, amministratore delegato Unieuro: «Nell’elettronica di consumo presto assisteremo alla convergenza dei prezzi tra online e offline. Dovremo ampliare l’offerta ad altri prodotti, a servizi di diverso tipo e interloquire con mercati attigui per compensare i margini che perderemo. Il retail ha futuro se ascolta i clienti e investe intercettando i suoi bisogni e trovando un equilibrio tra investimenti, fatturati e margini».

Imprese e sostenibilità

Nel cammino verso il nuovo retail un ruolo consolidato è quello della sostenibilità, sulla quale le insegne principali si stanno impegnando sempre più in maniera strutturata. Non solo quella ambientale, ma anche quella sociale.

Lo fa Lidl Italia, che può enumerare una serie ampia di risultati sulla riduzione dell’impatto ambientale di negozi e piattaforme logistiche, sull’economia circolare tra le aziende del gruppo con una particolare attenzione alla riduzione dell’impego della plastica (entro il 2025 20% di plastica in meno e il 100% di packaging riciclabile dei prodotti MDD con il 20% di utilizzo di plastica riciclata), sulla graduale decarbonizzazione dei trasporti, sulla neutralità climatica entro il 2022 grazie alle compensazioni (ma entro il 2030 l’obiettivo è di ridurre del 48% le emissioni di CO2). «Ma puntiamo anche a offrire un assortimento a marchio più responsabile e sostenibile attraverso filiere a ridotto impatto sociale e ambientale, oltre a promuovere scelte di consumo consapevole, a valorizzare il sistema agroalimentare italiano grazie anche all’export nei 29 paesi dove siamo presenti e a contribuire alla comunità con la lotta allo spreco alimentare», spiega Massimiliano Silvestri presidente Lidl Italia.

Anche Carrefour con il suo piano per la transizione alimentare (i cui pilastri sono ambiente, salute, rispetto del lavoro) supporta i produttori locali semplificando i contratti con quelli più piccoli, valorizzando le eccellenze italiane con accordi di filiera per la tracciabilità e la provenienza dei prodotti, stringendo partnership strategiche, ultime quelle con la Regione Piemonte e la Regione Lombardia per offrire occasioni di conoscenza e informazione sulle eccellenze alimentari, anche in chiave di sostenibilità. «La GDO per la posizione intermedia che occupa può fare la differenza nel valorizzare tracciabilità, sostenibilità e qualità dei prodotti», sostiene Christophe Rabatel, amministratore delegato Carrefour Italia.

Dal canto suo il piano di sostenibilità 2020-2025 di Esselunga si articola in cinque pilastri che ricomprendono i cinque stackeholder della catena – clienti, persone, ambiente, fornitori, comunità – collegati a dieci dei diciassette obiettivi sostenibili dell’Onu. «Per integrare la sostenibilità nel business è stato costruito un modello organizzativo snello ed efficace che ha il suo punto di arrivo in 28 ambassador della sostenibilità che garantiscono la diffusone della cultura sostenibile e favoriscono un clima di collaborazione e di scambio continuo. Per ciascuno dei cinque pilastri individuati la strategia si sviluppa sulla prioritizzazione di alcune tematiche e individua gli obiettivi oggetto di rendicontazione», dice Luca Lattuada, chief HR officer and Csr manager Esselunga.

Tuttavia, annota Marco Pedroni, presidente di Coop Italia, «Oggi viviamo un clima positivo, ma ci sono 28 milioni di persone in difficoltà e di queste 5 milioni sono in difficoltà con il cibo, per le quali la risposta più semplice è quella di abbassare la qualità. Ricordiamoci che senza equità qualsiasi ragionamento sulla sostenibilità diventa debole».

Tecnologia e cambiamento culturale

Meno consolidato, seppur sempre presente e in costante divenire, è il ruolo della tecnologia e della digitalizzazione, tanto che Giovanni Battista Dagnino, docente di Management e Strategia digitale Università di Roma Lumsa, afferma che si è data troppa enfasi alla tecnologia trascurando la formulazione della strategia digitale delle imprese. E invoca la necessità di un cambiamento culturale nell’orientamento mentale del top management verso la trasformazione digitale. Per esemplificarlo, Dagnino propone una matrice che individua quattro metafore di comportamento: la tartaruga digitale (assenza di strategia digitale tout court, esempio: Blockbuster); la scimmia digitale, che investe risorse finanziarie in tecnologia ma non ha un progetto ben definito, esempio: Kodak; il cane da tartufo, dalle grandi potenzialità, perché  ha sviluppato una mentalità digitale ma non hanno ancora sperimentato una trasformazione digitale, esempio: Disney; il leone digitale investe nella forza della digitalizzazione e possiede una mentalità digitale, come Netflix.

Figura 2 – Trasformazione digitale e approccio mentale: una matrice

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Fonte: Prof. Giovanni Battista Dagnino, Università Roma Lumsa

«Il passaggio da analogico a digitale diventa un imperativo categorico – esorta Dagnino – soprattutto dopo l’accelerazione impressa dall’ultimo anno. È un passaggio che deve comprendere la formulazione di una strategia digitale, impossibile da sviluppare se il management non possiede una “testa”».

Ripensare il punto vendita

Tuttavia il nodo centrale rimane ancora il punto vendita, perché, secondo i dati di Accenture, il 73% degli italiani preferisce acquistare gli alimentari nel punto vendita fisico, perché non vuole rinunciare alla spesa dal vivo (37%) e vuole toccare i prodotti (21%). «Il negozio è legato a un modello che ha quarant’anni, lo scaffale, e dei 27 minuti mediamente spesi per fare la spesa oltre la metà è dedicata ad attività a basso valore aggiunto. Per questo – sottolinea Matteo Arata, consulting retail lead per Accenture Italiail negozio deve essere rinnovato. Seguendo quattro dimensioni rispondenti ad aspettative ormai consolidate: l’integrazione digitale e fisico, perché l’aggiornamento tecnologico è una discriminante per la scelta del negozio (66%), il convenience perché la rapidità e la semplicità sono imprescindibili nella spesa ricorrente (92%), l’ispirazione perché ci si attende di trovare in negozio nuove risposte alle proprie esigenze (75%), la sostenibilità, perché il 76% cambierebbe il proprio retailer per uno più attento alla sostenibilità». Accenture ha quindi progettato un format nuovo di negozio più digitale, più personale, più reale, che affronta in maniera più organica la convergenza tra online e offline. «Si tratta di un concept store, prossimamente operativo in Far East, che dà valore al tempo per la spesa, crea un’esperienza distintiva, con un accesso più aderente alle varie esigenze», aggiunge Arata. Si tratta in sostanza di un ipermercato con una piazza per i freschi dove il focus è sull’immaginare nuove esperienze di acquisto o sociali e di una reinterpretazione delle corsie dove i prodotti esposti sono dematerializzati (foto, campioni o dispenser) e scelti con lo smartphone, con una minore superficie dedicata e un abbattimento dei tempi per la spesa. A completamento vi è un dark store automatizzato affiancato al punto vendita o centralizzato per la preparazione delle consegne per più negozi. «È un’idea di negozio futuro che si può applicare anche al vicinato creando una sorta di ecosistema di quartiere con altri negozi», conclude Arata.

La tempesta delle materie prime

L’equilibrio ricercato dal retail di fronte alle nuove sfide rischia però di essere messo in forte difficoltà dalla tempesta in arrivo sui costi delle materie prime con ciò che consegue in termini di disponibilità dei prodotti e di aumento dei prezzi. L’allarme lo lancia Marco Pedroni, presidente di Coop Italia: «Stiamo correndo il rischio che i rialzi delle materie prime abbia un impatto devastante sull’economia italiana con esiti devastanti. Come affrontare una possibile recessione da costi, visto che non possiamo trasferire al consumatore sei punti di inflazione? Dobbiamo farcene carico tutti e sederci a un tavolo anche con il governo perché riguarda la ripresa del paese».

Gli fa eco Francesco Pugliese, amministratore delegato Gruppo Conad: «Un incremento generalizzato da parte di tutta l’Industria, fatte salve alcune filiere in sofferenza, sarebbe irresponsabile, perché se si fermano di nuovo i consumi interni sarebbe un disastro. Ma la stagione in arrivo non renderà semplice la collaborazione tra Industria e Distribuzione. Questi sono momenti in cui la collaborazione va misurata e non può essere uguale con tutti. Bisogna scegliere».

Il cammino verso il new retail è lungo. Siamo solo agli inizi.

a cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab