Green e digital: con gli standard GS1 verso l’economia circolare
Il ciclo virtuoso dell’economia circolare passa da dati condivisi, aperti e interoperabili, grazie all’adozione degli standard GS1. Presto il passaporto digitale del prodotto, ma ora è tempo per le aziende di mettersi all’opera
«L’economia lineare è come un fiume dal quale si prelevano le risorse, le si utilizzano e poi vengono trasformate in rifiuti o emissioni. L’economia circolare è invece come un lago nel quale le risorse sono contenute in uno stock il cui utilizzo è massimizzato a beneficio della società il più a lungo possibile con il minore impatto per l’ambiente». È questa la metafora utilizzata da William Neal, consigliere economia circolare alla direzione generale ambiente della Commissione europea nel suo intervento all’ultimo Regional Forum di GS1 in Europe incentrato sul rapporto tra economia circolare, circolarità dei dati e supply chain trasparenti.
Per capire meglio questo rapporto e che cosa c’entrano gli standard globali GS1 abbiamo chiesto aiuto a Francesca Poggiali, director public policy Europe di GS1, che spiega: «Dobbiamo necessariamente prendere le mosse dal fatto che per la Commissione europea non c’è green senza digital. E viceversa. La strategia per i dati, prima con il regolamento sui dati personali e la privacy, poi con la portabilità dei dati prodotto è stato il primo mattone sul quale la Commissione ha costruito il Green deal e la circular economy e ha consentito di sbloccare molte delle barriere presenti.. La circolarità dei dati è la premessa affinché possono essere circolari anche i prodotti».
Alla base infatti dell’economia circolare vi è l’idea di consentire la condivisione dei dati di prodotto tra chi è interessato e coinvolto: «Almeno una parte dei dati di prodotto diventa di pubblico interesse. Per questo i dati devono essere interoperabili, aperti e condivisi. Se non si strutturano in modo aperto e globale non possono essere utilizzati nel grande lago dell’economia circolare. È un enorme passo in avanti rispetto al fatto che molti operatori considerino i dati da una prospettiva proprietaria chiusa. A danno non solo dell’ambiente, ma anche dell’efficienza della catena di fornitura e in ultima analisi dei consumatori. Oggi l’economia circolare vuole essere per tutti» continua Poggiali.
Figura 1 - La circolazione dei dati nell’economia lineare e nell’economia circolare
Fonte: dall’intervento di William Neal al GS1 in Europe Regional Forum 2020
Un ecosistema da reinventare, per garantire qualità e portabilità dei dati
Nel Position paper sull’economia circolare, GS1 in Europe spiega molto chiaramente che “il modello di economia circolare implica il ripensamento dei modelli di produzione, distribuzione e consumo”. Significa un intero ecosistema da reinventare, con molti silos da rompere Posti alle fondamenta di questo nuovo modello, i dati sono una risorsa cruciale. In primo luogo perché l’economia circolare richiede una gran mole di dati. Poi, perché per ogni "ciclo di prodotto", ci sarà un "ciclo di dati di prodotto". La qualità dei dati sarà quindi essenziale. Ma ancora di più, la portabilità dei dati sarà una necessità nel concetto di supply chain senza fine". Linguaggio comune, strutturazione dei dati, utilizzo dell’intelligenza artificiale per il loro trattamento sono tutti motivi che spiegano l’importanza della standardizzazione e dell’interoperabilità, delle regole comuni che GS1 favorisce e sviluppa da sempre. Altro importante elemento è quello dell’accessibilità dei dati prodotto e speriamo che anche in questo caso non si creino sistemi chiusi su dati nati aperti. Sarebbe davvero il colmo. GS1 sostiene la proliferazione di meccanismi di accessibilità diversi e differenti, alla portata di tutti a seconda del posizionamento lungo la catena e del ruolo che si svolge.
Il passaporto digitale del prodotto e il ruolo del barcode GS1
Ed è attraverso gli standard che si può realizzare il link tra green e digital con il passaporto digitale del prodotto a cui la Commissione europea sta lavorando. Il Green deal europeo prevede che la digitalizzazione possa migliorare la disponibilità di informazioni dei prodotti venduti in Europa.
Nel passaporto digitale del prodotto saranno così contenute, informazioni riguardanti, tra l’altro:
- Dati prodotto quali: azienda, brand, peso, colore ... e simili.
- L’origine.
- La composizione.
- La presenza di sostanze chimiche.
- L’uso.
- Le possibilità di riparazione e smontaggio.
- La gestione del fine vita.
«Il codice a barre è il vettore di questi attributi che riguardano oggi anche gli aspetti ambientali dei prodotti», riprende Poggiali. «L’umile barcode, come è stato definito in un articolo del World Economic Forum, è il potente strumento a supporto delle imprese anche di quelle che , poniamo, abbiano già ottenuto tutti i risultati prefissati in tema ambientale. Per tutti noi consumatori oggi è difficile discernere tra un prodotto dichiarato “verde” in etichetta perché magari ha ridotto del 30% i consumi energetici, ma non ha ancora fatto nulla per la riduzione delle plastiche, verde esattamente come quello che utilizza packaging compostabili, ma con il 100% di energia fossile. Come fare in modo che il consumatore non sia tratto in inganno da un claim che ha due prospettive completamente diverse ma che usa lo stesso linguaggio? La sfida di GS1 è proprio quella di aiutare le aziende a condividere tutte le informazioni con un linguaggio standardizzato, per renderle confrontabili e utili per il consumatore e, ancor prima, per tutti gli interlocutori che intervengono nella supply chain. Ne potranno giovare sia la cooperativa di riciclaggio per il recupero del rame dagli smartphone, sia le catene complesse dove ciascuna impresa deve avere sviluppato un sistema di informazioni con i suoi interlocutori e partner». E non da ultimo il consumatore.
La prova sul campo sarà a dicembre, quando sarà pubblicato il regolamento europeo per l’economia circolare delle batterie, sulla spinta dello sviluppo della mobilità elettrica, che prevede anche che il “riutilizzo delle batterie in applicazioni stazionarie può ridurre l'impatto ambientale nel corso del ciclo di vita” e di fatto le trasforma in beni di consumo, che come tali, avranno bisogno di un’identificazione aperta e del codice a barre.
Vi sono però dei rischi. Il primo è che nella euforia da digitale che ha causato la pandemia, molte aziende pensino di affrontare la transizione ricreando sistemi digitali proprietari, sistemi chiusi che non dialogano con gli altri operatori e si trovino fuori dal processo dell’economia circolare. Il secondo è che i tempi di Bruxelles si allunghino e i principi contenuti nel Piano d’azione per l’economia circolare si scontrino con l’inerzia delle istituzioni europee e poi nazionali. Visto che gli stati membri dell’UE devono presentare dei piani nazionali su come raggiungere gli obiettivi ambientali e non solo.
«Sono certamente dei rischi presenti – risponde Poggiali – ma meno di quanto si creda.
A chi dovesse pensare di investire su un progetto digitale proprietario per la supply chain vorrei dire solo che è molto più costoso e difficoltoso trasformare in un secondo momento un sistema chiuso in un sistema aperto. L’UE ha messo in campo piani, strategie, regolamenti ed ingenti disponibilità di denaro, legati al binomio green e digital. Un impegno ribadito ancora da Ursula von der Leyen nel suo discorso sullo Stato dell’Unione riguardo ai fondi per il Next Generation Eu.
Quanto ai tempi, secondo i programmi, l’anno prossimo (ndr 2021) ci sarà il regolamento relativo al digital product passport e ogni prodotto dovrà avere una copia digitale con le informazioni green. Oggi non siamo più nella fase dei progetti pilota o del coinvolgimento di uno-due settori o della definizione delle best practices. L’economia circolare è un nuovo modello e richiede nuovi investimenti e nuovi piani aziendali. E non c’è molto tempo. Gli standard GS1 ci sono per correre con le aziende e gestire un cambiamento così’ importante», conclude Poggiali.
A cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab
Per saperne di più sul Piano d’azione per l’economia circolare vedi anche Mettere in pratica l’economia circolare