Mettere in pratica l’economia circolare
Con il Piano d’azione per l’economia circolare, la Commissione europea introduce diverse iniziative riguardanti l’intero ciclo di vita dei prodotti. In una serie di webinar, GS1 Italy ha analizzato il contesto e le misure previste e ha presentato in anteprima lo strumento per la misurazione della circolarità nelle imprese del largo consumo
Nella serie di webinar “Economia circolare: come metterla in pratica” organizzato da GS1 Italy con la collaborazione della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, si analizza a fondo il Piano d’azione per l’economia circolare della Commissione europea che si pone obiettivi molto circostanziati indicando le misure da attivare, anche se, occorre dirlo, non vi sono vincoli in termini temporali perché non si tratta di atti normativi cogenti ma che sono state pensate per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Le indicazioni sulle azioni da intraprendere vengono rimandate ad atti normativi successivi.
Tuttavia è un framework molto interessante per le imprese perché si tratta di un piano di interventi mirati a raggiungere una serie di obiettivi, tra i quali il raddoppio dei materiali circolari nel prossimo decennio, la crescita del Pil europeo dello 0,5% entro il 2030 con la creazione di circa 700 mila posti di lavoro, il rafforzamento della base industriale dell’UE, in particolare delle PMI.
In sostanza l’economia circolare intende contribuire alla transizione verso un modello di crescita rigenerativo che restituisca al pianeta più di quanto prenda, favorendo il consumo delle risorse entro i limiti del pianeta.
Conservare la biodiversità
«Il disequilibrio ambientale – evidenzia Marco Frey ordinario di economia e gestione delle imprese e coordinatore del gruppo di ricerca SuM-Sustainability Management della Scuola Sant’Anna di Pisa – è al centro anche di fenomeni come l’attuale pandemia di Covid-19, che ha anche dimostrato come in undici settimane da gennaio ad aprile, con la riduzione coatta delle attività, le emissioni di CO2 in atmosfera sono tornate a quelle del 2006. O anche di fenomeni climatici come l’intensificarsi dei disastri meteorologici, che sono sempre più rilevanti per l’economia. Il World Economic Forum prevede che nei prossimi dieci anni tra i rischi globali quelli ambientali saranno la maggioranza».
Proprio la pandemia ha contribuito a cambiare modelli di consumo e di produzione che possono accelerare una trasformazione in coerenza con il Green Deal europeo. Secondo Frey, in questo contesto «l’economia circolare puòmigliorare la qualità del capitale naturale e degli ecosistemi, favorire l’adozione di soluzioni compatibili a livello ambientale e ridurre l’estrazione di materie prime, aumentare l’efficienza dell’utilizzo di tali risorse, favorire il passaggio a risorse rinnovabili e alla dematerializzazione, agendo da elemento di mitigazione e di adattamento della salute dell’uomo, del pianeta, dell’ambiente».
Non è quindi da sottovalutare la strategia sulla biodiversità dell’Unione europea che contribuisce a garantire che entro il 2050 tutti gli ecosistemi del pianeta siano ripristinati, resilienti e adeguatamente protetti.
Frey enumera i vantaggieconomici della conservazione della biodiversità, tra i quali un aumento degli utili annuali per l’industria dei prodotti ittici di oltre 49 miliardi di euro grazie alla conservazione degli stock marini, un risparmio di 50 miliardi di euro all’anno per il settore assicurativo, grazie alla riduzione dei danni provocati dalle alluvioni proteggendo le zone umide costiere e il mantenimento di valore di sei settori che si fondano sulla natura per oltre il 50% del loro valore, come turismo e viaggi, settore immobiliare, commercio al dettaglio, beni di consumo e stile di vita, industria estrattiva e metalli, supply chain e trasporti.
Naturalmente vi sono anche dei costi per il mancato intervento in questa direzione.
La perdita di biodiversità mette infatti a rischio i sistemi alimentari per la nutrizione. Si calcola che tra il 1997 e il 2011 il mondo abbia perso tra 3.500 e 18.500 miliardi di euro all’anno in servizi ecosistemici (i benefici multipli forniti dagli ecosistemi al genere umano) e tra 5.500 e 10.500 miliardi di euro all’anno per il degrado del suolo e si prevede che il rendimento medio del riso, del frumento e del granoturco su scala mondiale diminuisca tra il 3 e il 10% per ogni grado di incremento della temperatura oltre i livelli storici.
«C’è però bisogno di un commitment forte da parte delle imprese. Il 66% delle aziende evidenzia come l’adesione ai Dieciprincipi del Global Compact costituisca l’approccio vincente per contribuire agli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) e l’80% delle aziende dichiara di implementare azioni, progetti, programmi, a supporto degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Con riferimento all’Agenda per lo sviluppo sostenibile dell’ONU, però, le aziende hanno dichiarato di prediligere gli obiettivi 8 - Lavoro dignitoso e crescita economica; 3 - Buona salute e benessere; 5 - Parità di genere», sottolinea Frey.
Il piano per la transizione all’economia circolare
Sono sei le linee prioritarie di intervento prese in considerazione dal Piano d’azione.
- Far diventare norma i prodotti sostenibili.
- Responsabilizzare i consumatori.
- Incentrarsi sui settori che utilizzano più risorse e hanno un elevato potenziale di circolarità.
- Ridurre i rifiuti.
- Mettere la circolarità al servizio delle persone e dei territori.
- Guidare gli sforzi globali sull’economia circolare attraverso accordi a vari livelli.
«Il Piano d’azione rileva che le misure di economia circolare hanno importanti ricadute sulla decarbonizzazione e che l’economia circolare è sinergica alla crescita del Pil e dell’occupazione. Ma è significativa l’attenzione dell’Unione europea sui prodotti e la loro progettazione», afferma Fabio Iraldo, ordinario di economia e gestione delle imprese e co-coordinatore del gruppo di ricerca SuM-Sustainability Management Scuola Sant’Anna di Pisa. «Il ciclo di vita del prodotto è visto come elemento portante per chi si misura con il consumatore, che a sua volta diventa un attore chiave nell’economia circolare».
La durabilità, un maggiore utilizzo di materiali riciclati, la riduzione dell’impronta ambientale, la digitalizzazione delle informazioni di prodotto, la promozione del modello “prodotto come servizio” sono alla base dell’abbandono del modello lineare “prendi, produci, usa, getta” e dell’incentivazione alla circolarità della produzione.
Alcuni di questi elementi, come evidenzia Iraldo, sono già delle best practice. Si riferisce alla dematerializzazione del prodotto (per esempio il passaggio dal vinile alla musica in streaming) e alla riduzione delle confezioni, alle strategie di recupero degli scarti, alla progettazione di prodotti facilmente riparabili e disassemblabili, all’impiego di materie prime rinnovabili, per esempio. Ma anche ai modelli innovativi che richiedono l’intervento dei consumatori, come il ritiro dei prodotti a fine vita o l’attenzione alla riparabilità dell’abbigliamento. «L’Unione europea è consapevole che il consumatore è fondamentale per la riuscita di strategie efficaci. La legislazione sarà rivista per garantire che i consumatori possano ricevere informazioni affidabili sui prodotti, anche per quanto riguarda la durabilità, la possibilità di riparazione, la disponibilità di pezzi di ricambio e contro il greenwashing e l’obsolescenza programmata. Inoltre la Commissione istituirà entro il 2021 un nuovo diritto alla riparazione», spiega Iraldo.
Il Piano d’azione si concentra poi sui settori produttivi potenzialmente più interessanti per l’applicazione dell’economia circolare. Per esempio, per la filiera degli imballaggi, responsabili della produzione di 173 kg di rifiuti di imballaggi per persona (2017), saranno proposte nuove iniziative legislative per ridurre i rifiuti degli imballaggi e gli imballaggi eccessivi, favorire la loro progettazione ai fini del riutilizzo e della riciclabilità (l’obiettivo è di immettere sul mercato dell’UE solo imballaggi riutilizzabili o riciclabili entro il 2030), ridurre la complessità dei materiali di imballaggio. Allo studio anche l’inserimento di un sistema di etichettatura per facilitare la corretta separazione dei rifiuti. Anche per la filiera alimentare l’obiettivo è quello di trasformare gli scarti (in Europa le attività economiche producono 2,5 miliardi di tonnellate di rifiuti all’anno) in risorse.
Nella stessa direzione vanno le indicazioni per le altre filiere, della plastica, dell’elettronica, dell’edilizia, delle batterie. Da sottolineare anche che la circolarità è considerata il presupposto per la neutralità climatica, attraverso il rafforzamento delle sinergie tra circolarità e riduzione dei gas a effetto serra e che la Commissione intende orientare i finanziamenti verso modelli di produzione e di consumo più sostenibile.
Ovviamente la transizione sarà più efficace quanto più si riuscirà a dar vita a incentivi più che a vincoli. Vi è una forte attenzione della Commissione ad aiutare le imprese a monitorare gli sforzi di economia circolare attraverso indicatori di misurazione delle performance. Naturalmente le aziende saranno incentivate a misurarsi e dovranno dimostrare l’eccellenza nell’economia circolare.
La Commissione infatti rafforzerà il monitoraggio dei piani e delle misurazioni nazionali per accelerare la transizione a un’economia circolare.
«Il quadro di monitoraggio dell’economia circolare verrà poi aggiornato aggiungendo nuovi indicatori che considereranno le interconnessioni tra circolarità, neutralità climatica e obiettivo “inquinamento zero”. Verranno quindi potenziati gli indicatori sull’uso delle risorse, come l’impronta dei consumi e quello dei materiali, per rendere conto del consumo di materiali e dell'impatto ambientale associati ai nostri modelli di produzione e consumo», conclude Iraldo.
Lo strumento per misurare la circolarità
Per le imprese l’economia circolare, dunque, è un percorso ormai tracciato, potendo contare sul sostegno dell’Unione europea, che con il Green Deal punta a slegare la crescita economica dall’uso delle risorse e le sue conseguenze. Ma assume un’importanza cruciale poter misurare le performance. «La misurazione è un tassello fondamentale della transizione. Si basa sul monitoraggio di aspetti fisici, economici e sociali del sistema in analisi, nel tempo, al fine di raccogliere informazioni utili alla definizione di azioni e priorità», annota Natalia Marzia Gusmerotti, assistant professor Istituto di Management, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
In questo contesto generale il largo consumo in Italia ha evidenziato la necessità di un’azione strategica mirata a facilitare la transizione verso il nuovo modello di economia circolare, che permetta di sviluppare modelli di business semplici e innovativi, capaci di valorizzare, ciclicamente, le risorse, di creare valore aggiunto, misurabile e quantificabile, per l’intera filiera, di favorire la promozione della sostenibilità e di collaborare in maniera sistemica per rendere efficienti i processi e per ridurre gli sprechi.
È così che GS1 Italy ha sviluppato Circol-UP uno strumento operativo che supporta le aziende nel misurare il proprio livello di circolarità e che permette di individuare nuove opportunità offerte dalla possibile chiusura dei cicli nella propria catena del valore, promovendo lo sviluppo di azioni e strategie mirate a realizzare partnership con i soggetti chiave delle proprie rispettive filiere.
«Al progetto ha partecipato un gruppo di lavoro di aziende della Produzione e della Distribuzione del largo consumo che, per poter identificare le caratteristiche e le problematiche il più possibile omogenee a ciascun settore, è stato suddiviso nei tre sottogruppi del food & beverage, del cura persona e cura casa e del retail», spiega Carolina Gomez, ECR jr project manager di GS1 Italy. «Il percorso che ha portato alla sua definizione si è articolato in tre passaggi principali: la definizione degli indicatori di circolarità, la validazione e il test dello strumento e la fase della sperimentazione e della pubblicazione online dello strumento».
Circol-UP analizza ogni singola fase del ciclo di vita dei prodotti legata all’approvvigionamento, al design, alla produzione, alla distribuzione, all’utilizzo da parte del consumatore alla raccolta e alla gestione dei rifiuti per individuare gli indicatori più importanti per l’azienda in un’ottica di circolarità. «È uno strumento di misura esteso (circa 60 domande), di natura quali-quantitativa e semi-quantitativa, focalizzato su specifici settori, per poter essere allo stesso tempo semplice da applicare e preciso nell’individuare il potenziale di circolarità di processi, prodotti/servizi ed organizzazioni», precisa Gusmerotti.
Nella compilazione del questionario di autovalutazione che permette di misurare e analizzare il livello di circolarità in ogni fase del ciclo di vita, è stata posta attenzione ad alcuni fattori come la compilazione condivisa attraverso il coinvolgimento delle diverse figure aziendali responsabili dei processi, il corredo alle domande di esempi specifici per ogni settore, il confronto con le compilazioni fatte in precedenza, la presenza di un vocabolario terminologico a supporto della compilazione. Il risultato offerto è quanto è circolare ogni fase del ciclo di vita del prodotto, proposto sotto forma di un indicatore di performance di circolarità complessiva e di fase.
Figura 1 – Gli indicatori di circolarità di Circol-Up
Fonte: GS1 Italy
«Lo strumento – puntualizza Gomez – non solo fornisce indicatori di circolarità, ma rafforza la cultura aziendale in materia proprio grazie agli indicatori, che diventano anche informazioni credibili nei confronti dei fornitori e si possono trasformare in best practices settoriali grazie al coinvolgimento dei fornitori e dei clienti».
Considerazioni condivise da Valeria Bullo, sustainability coordinator di Artsana, che ha fatto parte del gruppo di lavoro di GS1 Italy sull’economia circolare. «È uno strumento concreto nella sfida verso la circolarità che consente di individuare le aree di miglioramento e considera il ciclo di vita del prodotto nell’intera catena del valore con la misurazione delle performance promuovendo un miglioramento continuo. Consente anche di mettere subito in pratica gli indicatori di autovalutazione integrando il tool nello sviluppo di prodotti con materiali con minore impatto ambientale, disassemblabili, rispondenti a precisi criteri di manutenzione, e così via. È importante, in sostanza, non considerare Circol-Up come uno strumento a sé stante, ma utile per sviluppare una cultura della sostenibilità e della circolarità all’interno dell’azienda e presso gli stakeholder».
Infine, con le nuove funzionalità già allo studio sarà possibile avere un elenco di buone pratiche suggerite a seconda dei propri risultati della misurazione, che permetterà alle aziende di pianificare azioni future per la massimizzazione della circolarità all’interno dei processi. Inoltre, sarà fattibile l’analisi visiva delle variazioni nel tempo (ogni anno) e la possibilità di confrontarsi rispetto a un benchmark settoriale che sarà utile per avere parametri comuni e condivisi come proposto dal Piano d’azione per l’economia circolare e dal Green Deal europeo.
A cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab