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Servizi, dati e intelligenza artificiale spingono l’Internet of things

L’innovazione nel mercato dell’internet delle cose è spinta essenzialmente dai servizi abilitati dagli oggetti connessi, che diventano alleati del business

IoT.jpgL’innovazione nel mercato dell’Internet delle cose, quantificato dall’Osservatorio IoT della School of Management del Politecnico di Milano in 6,2 miliardi di euro (+24%) è trainata, al di là degli obblighi normativi che impattano favorevolmente soprattutto sulle smart utilities (contatori intelligenti di luce e gas e prossimamente di acqua e calore), essenzialmente dal business.

Lo spiega chiaramente Giulio Salvadori, direttore dell’Osservatorio quando afferma che «da un lato i servizi fanno evolvere l’offerta delle imprese. Stiamo parlando di manutenzione predittiva, ma anche di assistenza alle persone con monitoraggio di parametri fisici in remoto, di videosorveglianza, tanto che si sta facendo strada un processo di “servitizzazione”, con modelli di business che evolvono verso logiche pay-per-use o pay-per-performance (l’auto pagata in funzione dei chilometri percorsi, i macchinari industriali pagati sulla base delle ore di utilizzo, l’illuminazione in cui al cliente viene data la possibilità di pagare solo la luce consumata, senza divenire proprietario dei dispositivi d’illuminazione utilizzati.). Dall’altro ciò è reso possibile dalla raccolta dei dati in tempo reale (un mercato valutato in 30 miliardi di euro nel mondo) che consente l’ottimizzazione dei processi, ma anche la profilazione dei consumatori in chiave di marketing e predittiva».

È il caso ad esempio dei frigoriferi smart utilizzati in contesti retail: grazie a specifiche videocamere, sensori e display installati sulle porte dei frigoriferi stessi, è possibile creare pubblicità mirate per ogni utente che si trova nelle immediate vicinanze sulla base di alcune variabili come l’età, il sesso e le preferenze personali. Sempre in ambito smart retail, le tecnologie IoT consentono di raccogliere moltissimi dati sul comportamento dei clienti all’interno dei negozi, rendendo possibile una loro profilazione più puntuale e dando la possibilità di effettuare promozioni e offerte personalizzate. Il potenziale non si limita però alla sfera del marketing: ad esempio, monitorare all’interno di un negozio di abbigliamento i capi che i clienti portano in camerino e il loro successivo acquisto – o meno – può fornire informazioni preziose ai designer impegnati nello sviluppo delle nuove collezioni.

Anche in questa fase di emergenza legata al coronavirus alcune applicazioni Internet of Things svolgono un ruolo importante nel supportare cittadini e imprese. Ad esempio, servizi di teleassistenza tramite dispositivi hardware permettono di monitorare i parametri vitali dei pazienti da remoto; veicoli a guida autonoma robotizzati possono effettuare consegne a domicilio senza rischiare il contagio, come avvenuto in Cina; sistemi di sorveglianza connessi controllano sedi produttive, uffici e magazzini chiusi, attivando centrali operative e pronto intervento in caso di tentativi di effrazione.

«Tuttavia, le aziende devono ancora comprendere come valorizzare al meglio i dati raccolti. Coloro che già lo fanno sono in grado di estendere la propria offerta con servizi a valore aggiunto e, in alcuni casi, di rivoluzionare il proprio modello di business», sottolinea Salvadori.

Figura 1 – Dai dati nuovi modelli di business

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Fonte: School of Management Politecnico di Milano “Osservatorio Internet of Things” 2020

Intelligenza artificiale e protezione dei dati

Va da sé che un ruolo centrale in questo ambito è svolto dall’intelligenza artificiale. Assistenti vocali integrati nei dispositivi connessi, soluzioni per la termoregolazione degli ambienti domestici, che modificano autonomamente la temperatura della casa in base alle abitudini degli occupanti e alle condizioni ambientali sono alcuni esempi di applicazione. Così come, in ambito smart retail, gli algoritmi di riconoscimento facciale sono utilizzati per potenziare le telecamere e interpretare le emozioni dei consumatori quando si trovano in prossimità di un prodotto, con lo scopo di  ottimizzare il layout del punto vendita e aumentare le vendite.

Insomma l’Intelligenza artificiale può semplificare l’interazione tra l’utente e il dispositivo connesso, grazie alla comprensione del parlato; può agire “dentro” gli oggetti connessi, come nel caso di telecamere; può fornire un supporto di stampo “manageriale”, consentendo ad esempio di gestire meglio città, terreni agricoli o impianti industriali complessi.

Ma a fronte della crescente mole di dati proveniente dagli oggetti connessi, garantire la privacy e la protezione delle informazioni scambiate diventa un punto fondamentale per le aziende. È un tema enorme, se, come sostengono alcune ricerche, nel 2030 ogni persona sarà connessa a 15 apparecchiature di diverso tipo.

Figura 2 – I nuovi servizi dall’Intelligenza artificiale

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Fonte: School of Management Politecnico di Milano “Osservatorio Internet of Things” 2020

Sebbene i consumatori attribuiscano per il 57% un valore fondamentale ai dati, nel corso degli ultimi anni è cresciuto il livello di preoccupazione per la privacy e la sicurezza, fino al 54% degli intervistati nell’indagine Doxa che ha supportato la ricerca, tanto che la protezione della privacy e dei dati scambiati diventa sempre più un’importante leva di marketing per le aziende.

Il dibattito emerso in queste settimane sulla necessità di disporre di sistemi per il tracciamento degli spostamenti delle persone una volta allentato il lockdown da coronavirus e contemporaneamente di salvaguardare la privacy delle persone è un esempio evidente.

Eppure le potenzialità offerte dall’Internet delle cose anche per la vita quotidiana sono immense. Si pensi allo smart health, un ambito di applicazioni solo agli albori. Qualche esempio di applicazione? La tracciabilità dei farmaci e di dispositivi medici all’interno degli ospedali, l’integrazione di dispositivi hardware per il monitoraggio di parametri vitali da remoto con servizi volti a migliorare la qualità della cura e a ridurre il ricorso all’ospedalizzazione, l’invio di farmaci a domicilio e la videochiamata con un medico, che possono ridurre l’ospedalizzazione e, grazie all’intelligenza artificiale, la rilevazione con sensori sul comportamento di un anziano o un malato cronico per comprenderne le abitudini e rilevare anomalie comportamentali (come la mancata apertura del frigorifero per molto tempo all’interno di un’abitazione).

Il ritardo delle PMI

Come si muovono le aziende in questo contesto? È stata condotta un’indagine, che ha coinvolto 100 grandi aziende e 525 PMI con sede in Italia, con l’obiettivo di comprendere i progetti di Industrial IoT (termine che riunisce le applicazioni di smart factory, smart lifecycle e smart logistics) realizzati e le aspettative per il futuro. «Ne emerge un forte divario tra grandi aziende e PMI in termini di conoscenza e progetti avviati», spiega Angela Tumino, direttore dell’Osservatorio Internet of Things. «Il 97% delle grandi imprese conosce le soluzioni IoT per l’Industria 4.0 (era il 95% nel 2018) e il 54% ha attivato almeno un progetto di I-IoT nel triennio 2017-2019, mentre solo il 39% delle PMI ha sentito parlare di queste soluzioni e appena il 13% ha avviato delle iniziative. Le applicazioni più diffuse sono quelle per la gestione della fabbrica (smart factory, 51% dei casi), impiegate soprattutto per il controllo in tempo reale della produzione e la manutenzione preventiva e predittiva, seguite dalle applicazioni per la logistica (28%), dedicate alla tracciabilità dei beni in magazzino e lungo la filiera, e per lo smart lifecycle (21%), con progetti che puntano a migliorare le fasi di sviluppo di nuovi modelli e di aggiornamento dei prodotti».

Le principali barriere che frenano le imprese nell’avvio di progetti I-IoT sono la mancanza di competenze (indicata dal 56% del campione) e la scarsa comprensione dei benefici di queste soluzioni (44%), ma soltanto il 44% prevede piani di formazione sulle competenze IoT o l’assunzione di personale specializzato. A trainare le scelte delle grandi aziende sono i benefici di efficienza (indicati dal 69% del campione) e di efficacia (46%), mentre cresce il desiderio di sperimentare soluzioni innovative (34%, +14%), a discapito degli incentivi del Piano Nazionale Industria 4.0, non più ritenuti indispensabili per attivare i progetti (38%, -8%). L’efficienza è il principale obiettivo anche delle PMI che avviano progetti di I-IoT (49%), seguita dal miglioramento dell’immagine aziendale (40%). Solo una su quattro ha iniziato a sfruttare gli incentivi del Piano Nazionale Industria 4.0 per attivare iniziative

La strada da percorrere per l’innovazione in ottica 4.0 nel nostro paese è quindi ancora lunga. Ma il sistema dei prodotti connessi già sta spostando i confini competitivi verso i sistemi di sistemi, che rimodellano la concorrenza all'interno di un settore, fino ad ampliare la definizione del settore stesso.

A cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab