02. L’alternativa dell’economia circolare

L’economia circolare costituisce l’elemento fondamentale per ripensare a un modello di business che ponga al centro la sostenibilità, coinvolgendo i diversi attori di ciascuna filiera, con la Distribuzione e il largo consumo quale snodo centrale.

Un settore che, tuttavia, sembra procedere a piccoli passi e in ordine sparso verso le pratiche sostenibili. Analizzando il numero di notizie rilasciate dalle imprese del largo consumo (Industria e Distribuzione) l’Osservatorio Plef-Distribuzione Moderna rileva un sostanziale ritardo del settore se confrontato con i 17 obiettivi dell’agenda per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Solo per le aree salute, sicurezza, istruzione e città e comunità sostenibili (quindi quelle a maggiore impatto sociale) le attività delle imprese del largo consumo sono in tendenziale crescita, ancorché numericamente ridotte, mentre in riduzione sono quelle sull’ambiente nell’area delle energie rinnovabili e della lotta al cambiamento climatico.

È una situazione a macchia di leopardo, come ha mostrato Paolo Palomba di Iplc Europe riprendendo la mappa della comunicazione sulla sostenibilità ambientale della grande distribuzione elaborato da Tetra Pack con Nomisma. Non tutte le catene infatti sono attive in quest’ambito e solo in pochi casi il retailer fa dichiarazioni sulla sostenibilità ambientale con obiettivi misurabili. Sono gli stessi consumatori, però, che parlano di necessità di misurazioni trasparenti, a significare che il greenwashing non si può più fare. È il ruolo del retail che deve necessariamente emergere.

In alcuni casi questo avviene e Natalia Massi di Kiki Lab ha citato i casi di riciclo creativo della spagnola Ecoalf o dell’Italiana Orange Fiber, la prima che realizza abbigliamento dalla plastica recuperata in mare, la seconda che produce filati dalla fibra di cellulosa ricavata dalle bucce d’arancia, ma anche il “supermercato sostenibile” di Lidl a Torino (copertura a pannelli fotovoltaici, metà della superficie dedicata al verde, un orto urbano di 1400 metri quadrati, stazioni di ricarica per bici e auto elettriche).

È anche il caso di Decò Végé, che in Campania ha sviluppato un sistema di raccolta delle bottiglie di pet per bevande che, in collaborazione con il consorzio Coripet, vengono poi trasformate in materia da riutilizzare per la produzione di altre bottiglie in pet. Il consumatore che conferisce i contenitori riceve in cambio dei buoni spesa. È una “spinta gentile” nei confronti del consumatore a farsi carico del problema. Se poi utilizza o meno il buono spesa è indifferente. Con quattordici macchine ecocompattatrici installate sono stati raccolti in pochi mesi 5 milioni di bottiglie, ma sono previste ulteriori installazioni.

L’economia circolare può così costituire un significativo cambio di passo nei modelli di business e di processo che può far fare un salto di qualità al settore verso la sostenibilità ambientale.

«E necessario comprendere come facilitare la transizione verso l’economia circolare – afferma Bruno Aceto, ceo GS1 Italy – perché si tratta di ripensare ai modelli distributivi, produttivi, di consumo, di capire che cosa significa approcciare in modo nuovo i processi aziendali avendo ben in mente che è un approccio innovativo al mercato».

In questo è significativa quella che Filippo Corsini, ricercatore della Scuola Sant’Anna di Pisa ha definito simbiosi industriale: «Questa simbiosi si articola secondo tre direttrici. Lo scambio di sottoprodotti o rifiuti come sostituti di materie prime per migliorare le risorse delle aziende; la condivisione delle attrezzature e dei servizi, come i sistemi di fornitura di acqua, energia o impianti di trattamento delle acque reflue; la condivisione di servizi accessori come la sicurezza, la pulizia, la gestione dei rifiuti». Ma le opportunità dell’economia circolare riguardano anche la revisione delle modalità di approvvigionamento, l’ecodesign dei prodotti, la trasformazione dei prodotti in servizi (car sharing, per esempio).

Quali i vantaggi per le aziende? Corsini ne mette in fila alcuni come l’innovazione di prodotto che favorisca la durabilità e la riciclabilità a fine vita, le azioni di marketing per comunicare la propria circolarità, la razionalizzazione della catena di fornitura e la riduzione dei costi, la riduzione degli impatti complessivi e la transizione da rifiuto a risorsa con possibili percorsi di riutilizzo dei sottoprodotti.

Il momento dell’azione

Efficienza, miglioramento delle performance ambientali, innovazione di prodotto sono alla base di alcune esperienze illustrate nel corso dell’incontro. Quella di Eurodisplay, con il progetto Neverending display: un concetto di display box per le promozioni totalmente smontabile, in cartone non plastificato e supporti in plastica riciclata, che alla fine della promozione può essere agevolmente conferito alla raccolta differenziata per il riciclo successivo. «A oggi nessuno si occupa della massa di espositori che vanno a finire nella raccolta indifferenziata, stimata per difetto in 17,5 milioni di unità ­– afferma Andrea Tempesta, amministratore delegato di Eurodisplay – responsabili di emissioni per 12,9 milioni Kg di CO2. Con gli espositori riciclabili disassemblabili le emissioni scenderebbero a 4,61 milioni di chili, il 64% in meno».

Un esempio di economia circolare applicata al food&beverage è quello di Biova project, per la trasformazione delle eccedenze di pane in birra. Partito dalla Val Baraita nel cuneese con la collaborazione dei panificatori della zona (3 mila litri di birra prodotti con 100 chili di pane e un risparmio del 30% di malto d’orzo), sta raccogliendo l’interesse anche di altre realtà come Coop Nord-Ovest e la catena di ristoranti torinesi, MBun. «Il progetto – afferma Gianni Giovine, uno dei fondatori di Biova project – mette l’accento sul pane invenduto, cioè 13 mila quintali al giorno sui 72 mila prodotti, per realizzare una birra con una ricetta specifica in funzione del tipo di pane raccolto. La birra così prodotta e personalizzata viene data a chi ha conferito il pane per essere poi venduta».

Per una nuova consapevolezza

Nel passare da un modello lineare a un modello circolare della catena del valore, infatti, l’aspetto fondamentale è che si preserva il valore creato. Ma sono ancora molte le barriere che fanno da freno alle iniziative individuali. Nelle aziende è sentita la necessità, secondo le parole di Bruno Aceto, «di sviluppare la consapevolezza delle alternative che incrociano l’economia circolare, di avere a disposizione uno strumento a supporto delle decisioni all’interno di un determinato processo. La collaborazione tradizionale non è più sufficiente per l’economia circolare».

GS1 Italy nella sua attività di supporto alle imprese anche in tema di sostenibilità vista come il contatto tra efficienza dei processi e riduzione degli sprechi, insieme alla Scuola Sant’Anna e all’Università Bocconi ha avviato un programma per fornire elementi di misurazione sintetica della circolarità. «Al progetto partecipano 19 aziende con le quali sono state messe a punto 50 domande per definire un quadro della posizione dell’azienda rispetto al settore in cui opera e al mercato in generale», ha spiegato Giuseppe Luscia, project manager di GS1 Italy.

Quello che manca ancora è una visione e una regia sistemica nell’universo delle imprese, nonché un superamento dell’ossessione per il prezzo più basso a scapito della sostenibilità perché, come ha ricordato Stanislao Fabbrino, amministratore delegato Fruttagel riferendosi alla filiera alimentare: «Parlare di prezzo è tattico, parlare di sostenibilità non lo è». Da ultimo, una logica collaborativa estesa che allarghi il campo di intervento a tanti soggetti.

È poi vero che il consumatore deve metterci qualcosa in più. Ma come in altri casi (l’e-commerce, per esempio) il consumatore è pronto, disponibile a passare all’azione. Deve essere sollecitato con proposte da parte dell’offerta: il bottle to bottle di Decò Végé lo insegna, così come i risultati della ricerca di Astarea e i dati delle vendite diffuse dall’Osservatorio Immagino. Deve però essere messo in grado di fare una scelta consapevole. E questo ributta la palla nel campo delle imprese della distribuzione e del largo consumo.

A cura di Fabrizio Gomarasca