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Il risiko del fuori casa

Nei consumi alimentari che languono l’away from home è quello che cresce ed è destinato a un futuro ancora positivo. Trade Lab ne analizza le implicazioni per le imprese e disegna uno scenario possibile.

Accerchiata dall’e-commerce e dal discount, sotto il fuoco incrociato della recessione economica e del prevedibile aumento dell’Iva l’anno prossimo da un lato e dei provvedimenti di legge sulle chiusure domenicali dall’altro, la GDO ha un’altra minaccia che pesa sul proprio futuro, che però può trasformarsi in una chance per giocare su altri tavoli.

Stiamo parlando dei consumi fuori casa che, dopo la crisi del 2010-2013, hanno ripreso a salire in maniera robusta e valgono oggi 83 miliardi di euro sui 243 miliardi dei consumi alimentari e bevande, vale a dire il 34%. È significativo il fatto che nel periodo 2010-2017 siano cresciuti dl 6% a fronte di un calo dei consumi a casa del -5% e dei consumi food&beverage totali del -1%.

Da questi dati partono le considerazioni svolte nel corso del convegno "Away from home: quale futuro 203"0 organizzato da Trade Lab.

Figura 1 – La corsa dell’Away from home

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Fonte: Trade Lab su dati Istat

E proprio traguardando al 2030 la società di ricerca pone l’obiettivo di quota 40% dei consumi alimentari: 26 miliardi di crescita potenziale soprattutto nella ristorazione, di cui vengono prefigurate le linee evolutive.

Per capire bene però le ragioni di questa dicotomia, occorre guardare ad alcune trasformazioni della società che nascono da lontano.

Il fuori casa a casa

Secondo Luca Pellegrini, presidente di Trade Lab, vi è una stratificazione di motivi che si sono succeduti negli anni passati e che segnano anche quelli futuri: «Il tasso di partecipazione femminile al lavoro è pari al 51,6% (nel 2016). In altri termini, negli ultimi dieci anni circa un milione di donne in più sono entrate nel mercato del lavoro, vale a dire 365 milioni di ore in meno in cucina, assunto che la differenza di tempo dedicato alla preparazione del cibo tra una donna che non lavora e una che lavora è di 1 ora. Le conseguenze? Più piatti pronti e prodotti convenience, maggior ricorso al fuori casa, anche a casa con il food delivery. A questo fenomeno se ne aggiungono altri: le famiglie sono meno numerose e le abitazioni, ancorché piene di tecnologie, più piccole (una media di 35 mq pro-capite), il che sposta, per esempio, la dimensione della socializzazione e delle ricorrenze verso il fuori casa». Ancora, con l’invecchiamento della popolazione, cresce il tempo libero e il bisogno di socializzazione e le presenze turistiche (gli stranieri sono aumentati del 35% in dieci anni passando da 159,5 milioni a 216,4 milioni) hanno un impatto deciso con i consumi fuori casa.

Una ulteriore conferma arriva dall’ultimo Rapporto Fipe (l’associazione dei pubblici esercizi), che nota come “il tempo, la risorsa che scarseggia di più nella vita delle persone, sta fortemente condizionando la relazione con il cibo: il 32,7% degli intervistati ha dichiarato di cucinare a pranzo tutti i giorni, percentuale che sale al 53% per la cena, pasto che sta assumendo un ruolo sempre più importante nella nostra vita. Se nel 1998 il 78% delle persone erano solite pranzare a casa, in 20 anni la percentuale è scesa al di sotto del 72%, una contrazione che in assoluto equivale a circa 3,5 milioni di persone.

Tra coloro che cucinano “tutti i giorni” o “qualche volta” il 76,9% dedica 30 minuti al giorno a questa attività. In media sono 37 i minuti dedicati ogni giorno alla preparazione dei pasti, ma ancora di meno sono quelli dedicati al loro consumo: appena 29. Anche la spesa vuole la sua parte: il 48,6% degli intervistati dedica da una a due ore a settimana agli acquisti con un tempo medio settimanale di 105 minuti. Si nota un ritorno alla piccola spesa, ben il 50,1% degli intervistati preferisce acquistare il necessario giorno per giorno”.

Figura 2 – La preparazione dei piatti

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Fonte: Indgine Fipe-Formt, 2018

Un futuro low cost

A motivo di questa crescita della domanda, si è moltiplicata l’offerta di modalità di consumo non rilevata come tale dall’Istat, in una sorta di «fuori casa sommerso» dove risaltano la ristorazione d’albergo (che viene contemplata nel settore dell’ospitalità, l’offera di cibi pronti, take away e servizi di ristorazione fuori e dentro la linea casse, le proposte ibride, dalle librerie con ristorazione (o ristoranti con esposizione e vendita di libri?), i bar e ristoranti nelle grandi superfici specializzate, nei centri fitness e palestre, le ending machine e via di questo passo.

Un discorso a parte riguarda il food delivery. Vero è, come segnala il Rapporto Fipe, che “il 30,2% degli italiani ha avuto occasione di ordinare online il pranzo o la cena da piattaforme web”, ma Bruna Boroni, senior consultano Trade Lab, rileva che costituisce ancora il 2% del mercato con 500 milioni e siordinano per la maggior parte pizze, hamburger, piatti cinesi. «Si tratta di andare oltre i modelli attuali, come la creazione di dark kitchen virtuali, che non coincidono con il ristorante, o la creazione di veri e propri hub del food delivery, grandi laboratori dedicati, o una piattaforma di ordinazione via Facebook, o ancora l’entrata in capo della Gdo che vada oltre le sperimentazioni».

«Quota 40% da qui al 2030 – afferma Pellegrini – è più che realistica, forse è persino superabile, ma non riguarderà solo il fuori casa, ma riguarderà tutta l’area intermedia di casa e fuori casa, sarà contesa da tuti coloro che offrono al consumatore soluzioni a costi accettabili. La crescita del fuori casa arriva dall’aumento della partecipazione al lavoro e quindi dipende dalla modalità in cui si svolge, ma si dovrà considerare che l’aumento della domanda legata al lavoro richiede un’offerta low cost. Lo stesso per la richiesta di fuori casa per socializzare dei giovani e di parte dei senior».

Meno indipendenti, più organizzati

Se quindi l’orizzonte di crescita dei consumi away from home è principalmente nell’area del low cost, quali sono le implicazioni sull’assetto distributivo nel settore, caratterizzato peraltro da una pluralità di intermediari che hanno ruoli preminenti a seconda dei territori in cui operano?

«Sono tre – spiega Andrea Boi, senior consultant TradeLab – le derivanti dell’assetto distributivo attuale: il tipo di player, il loro numero, quale politica d’offerta li contraddistingue. Già oggi si registra una migrazione di grossisti e cash & carry verso l’away from home, sostanzialmente perché si riduce il numero di negozi tradizionali. Vi è poi un’accelerazione della concentrazione a livello regionale e territoriale sia nell’ambito dei grossisti, che diminuiscono, sia in quello delle catene cash&carry regionali. Infine, e conseguentemente, vi è un aumento della dimensione dei vari player, premiando quelli più organizzati a scapito degli indipendenti».

A scombinare il tavolo ci sono poi i nuovi entranti, alcuni già operativi, come gli specialisti dell’e-commerce, almeno nelle singole categorie, o la GDO che con i punti vendita può rafforzarsi in una logica di click & collect, Altri sono possibili più in là, come la Gdo i cui Cedi possono ragionevolmente sviluppare potenziali economie di scala, o gli specialisti della logistica dell’ultimo miglio, compatibilmente con una loro strutturazione (le nuove politiche di mobilità cittadina possano potrebbero influire su questo segmento di operatori, ndr).

In questo contesto quelli definiti full service (che integrano sia il delivery sia il pick-up) sono in aumento perché garantiscono una maggior presa sul mercato: «La vera sfida sarà la capacità di integrare tutti i reparti offrire una visibilità adeguata della profondità di gamma», sottolinea Boi.

Nel percorso verso questo scenario, vi sono alcune implicazioni critiche e altre abilitanti: «Nel primo caso sono necessarie dimensioni adeguate per gli investimenti necessari in tecnologia tali da ottenere un vantaggio competitivo. Inoltre mancano le professionalità e le competenze per supportare sia la specializzazione sia il full assortment. Tra i fattori agevolanti, vi sono nuovi modelli di contrattualistica più orientati al mercato fuori casa e finalizzati a sfruttare le stesse opportunità di business. La creazione di un’infrastruttura di sistema in logica Ecr poi, con la creazione di un albero delle categorie away from home e di un albero dei formati dei punti di consumo, consentirebbe di sistematizzare la messa a fuoco delle leve di demand side di interesse sia dell’industria di marca sia degli intermediari», conclude Boi.

Il gioco è solo all'inizio.

A cura di Fabrizio Gomarasca @gomafab