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Dalla blockchain più valore a internet

La blockchain e le criptomonete sono la nuova frontiera disruptive per la collaborazione tra le aziende? O sono un fenomeno passeggero e di moda, uno dei tanti ai quali ci ha abituato la trasformazione digitale?

La tecnologia blockchain e i registri distribuiti sono la nuova frontiera disruptive nella gestione dei processi di collaborazione tra le aziende e, attraverso le criptomonete, dei pagamenti? O sono un fenomeno passeggero e di moda, uno dei tanti ai quali ci ha abituato la trasformazione digitale?

Valeria Portale, direttore del neonato Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger del Politecnico di Milano propende più per la prima ipotesi e afferma: «La rivoluzione digitale della blockchain è solo agli inizi. E la rivoluzione digitale non si può fermare. Le potenzialità sono enormi, in gran parte ancora da esplorare e non solo in ambito finanziario. In Italia il tema è ancora poco conosciuto e si evidenziano al momento poche sperimentazioni, ma è cruciale mettere a fuoco le opportunità per il business per cogliere i benefici di una tecnologia che potrebbe essere in grado di portare al cosiddetto Internet of value, una nuova generazione di internet in cui ci si possa scambiare valore allo stesso modo con cui ci si scambiano le informazioni».

La tecnologia della catena a blocchi è ancora poco conosciuta, ma sono 331 i progetti censiti a livello internazionale da gennaio 2016 a oggi, di cui 172 in fase di test oppure operativi, che vedono coinvolti banche, assicurazioni, aziende manifatturiere, media.

Ma andiamo con ordine, riprendendo le definizioni condivise. La blockchain è una tecnologia, inclusa nella famiglia dei distributed ledger technology (DLT), sistemi che permettono ai nodi di una rete di raggiungere il consenso sulle modifiche di un registro distribuito in assenza di un ente centrale, in cui il registro distribuito è strutturato come una catena di blocchi contenenti transazioni. Le sue principali caratteristiche sono l’immutabilità del registro, la tracciabilità delle transazioni e la sicurezza. E, ovviamente, l’assenza di un controllore centralizzato, perché ogni attore del network detiene un registro delle transazioni.

A sua volta l’Internet of value è una rete digitale di nodi che si trasferiscono valore, in assenza di fiducia, attraverso un sistema di algoritmi e regole crittografiche che permette di raggiungere il consenso sulle modifiche di un registro distribuito che tiene traccia dei trasferimenti di valore tramite asset digitali univoci.

L’interesse per le imprese

Le piattaforme blockchain possono essere pubbliche, come Bitcoin ed Ethereum, oppure private, come Hypreledger e Corda. Sebbene l’interesse mediatico e generalizzato si concentri sulle criptovalute, come i Bitcoin, è sulle blockchain private, o ibride come Ripple, che si sviluppa l’interesse del sistema delle imprese.

I motivi di questo interesse sono molteplici. Il primo è che le piattaforme private consentono una maggiore riservatezza, anche se è garantita in quelle pubbliche con il sistema della firma crittografica. Il secondo è che quella privata è la piattaforma più adatta quando non c’è fiducia tra gli attori. Viceversa se questa è presente, i database distribuiti che vanno per la maggiore sono più che adeguati. Il terzo motivo è che le transazioni che vengono effettuate (non necessariamente di tipo finanziario) sono immutabili, non possono essere cambiate.

Qualche caso tra supply chain e pagamenti

Così non stupisce che sui 331 progetti di blockchain censiti il 28% sia utilizzato per processi nei sistemi di pagamento, ma quelli con il maggior tasso di crescita sono relativi al tracciamento e alla supply chain (il 20,3% del totale, +557%) e la gestione dei dati e dei documenti (19,3% con una crescita del +350%).

Figura 1 - I settori più coinvolti nei progetti blockchain

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Fonte: Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger

Un caso interessante è quello proposto da Maersk e Ibm relativo al settore del trasporto merci via mare, che vale circa 4 mila miliardi di dollari. È un settore in cui i costi complessivi sono stimati in 1.800 miliardi di dollari, con elevate potenzialità di risparmio: solo il costo della documentazione processata è pari a un quinto del valore dei beni spediti. «Oltre a ciò», spiega Fabio Malosio, blockchain solution leader Ibm Italia «manca una visione end-to-end di tutti gli eventi del processo, vi sono buchi neri, molte connessioni peer-to-peer costose, è un processo lungo, permeabile alle frodi con costi amministrativi elevati. Con la blockchain tutti gli attori coinvolti hanno invece una visione condivisa di ciò che avviene, si riducono i rischi, il processo diventa sicuro, autentico e immutabile. Inoltre si abbattono i costi amministrativi e si eliminano quelli di movimentazione dei documenti attraverso le dogane. Con la blockchain, infatti, è la prova del documento che viene trasferita con la garanzia della sua autenticità».

Il progetto prevede infatti due servizi che migliorano l’efficienza dell’intera supply chain internazionale: la visibilità end-to-end, che abilita tutti gli attori coinvolti nella transazione di spedizione a scambiarsi eventi in tempo reale e la digitalizzazione dei documenti per l’import-export dei beni. In tal modo tutta la supply chain condivide un’unica vista di fiducia degli eventi di spedizione e può partecipare allo scambio di documenti digitali. «Con la blockchain si superano le inefficienze legate alla scarsa condivisione dei dati. Tanto che il progetto potrà essere messo a disposizione di tutto il mercato», conclude Malosio.

Esperienze italiane

Sebbene, come commenta Valeria Portale, il mercato italiano, nonostante la presenza di una solida comunità di sviluppatori, non abbia ancora saputo cogliere la sfida di innovazione connessa alla blockchain, l’Osservatorio ha individuato alcune sperimentazioni in corso in Italia basate su questa tecnologia.

Presentata proprio a Vinitaly è quella nata dalla collaborazione tra il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf), l’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (Agea), il Sistema Informativo Nazionale per lo sviluppo dell’agricoltura (SIN) e il partner tecnologico Almaviva. Si tratta della piattaforma di tracciabilità della filiera vitivinicola 4.0 che garantisce agli operatori del settore e ai consumatori qualità, sicurezza e tutela dei marchi Made in Italy. La sperimentazione utilizza una piattaforma di blockchain (Ethereum) pubblica che permette di avere un accesso alle informazioni libero e distribuito. Ogni attore della filiera, che aderisce alla blockchain, scrive i dati delle proprie operazioni (smart contract) e certifica il dato in modo sicuro, distribuito e immutabile.

Sempre nel settore vinicolo, EY Italia ha sviluppato una soluzione per la tracciabilità della filiera di produzione del vino (Wine Blockchain EY), che permette l’autocertificazione dell’intero processo produttivo. Il sistema offre un “km zero virtuale”, cioè una relazione digitale tra produttore e consumatore finale che attraverso un’etichetta intelligente consente di conoscere l’intero processo di produzione e trasformazione.

Ancora, sempre per rimanere nella supply chain, il progetto Enerchain lanciato da Enel ed E.ON, con la collaborazione della startup tedesca Ponton ed altre 37 società europee, mira a consentire lo scambio P2P di energia. Grazie alla disintermediazione delle transazioni, è possibile anche l’abbattimento dei costi dell’energia. Enel ed E.ON hanno completato con successo un primo scambio sperimentale a ottobre.

Verso un criptoeuro?

Anche sulle criptovalute sono in corso sperimentazione da parte di numerose banche per applicarne alcune caratteristiche alle valute tradizionali, creando delle "criptovalute vigilate". Un progetto di ricerca promosso da Reply in collaborazione con l'Osservatorio e con partecipazione dell'Associazione italiana prestatori servizi di pagamento (Apsp) ha provato a immaginare un ‘criptoeuro’, indagando se un sistema di criptovaluta vigilata potrebbe rendere più efficienti i processi di pagamento di alcuni settori (assicurazioni, utility, banche) con una valuta programmabile. La programmabilità della valuta, cioè la possibilità di aggiungere informazioni alla valuta, avrebbe numerosi vantaggi, tra cui una riduzione del rischio di credito in particolare per le PMI, ma anche, per esempio nel settore assicurativo, lo split payment tra imposte, fondo garanzia, commissioni dei brocker e la riconciliazione immediata.

«Il mercato italiano, nonostante la presenza di una solida comunità di sviluppatori, non ha ancora saputo cogliere la sfida di innovazione connessa alla blockchain. Da una parte c’è una difficoltà ad affrontare una tecnologia molto complessa, dall’altra una carenza culturale delle imprese che tendono a non investire in una tecnologia in una fase preliminare e ancora immatura. La blockchain potrebbe avere invece un impatto notevole per il Made in Italy in termini di tracciabilità e di anticontraffazione. È necessario non rimanere fermi per evitare un gap di competenze difficile da colmare», conclude Valeria Portale.

A cura di Fabrizio Gomarasca