sostenibilità

Quanto inquiniamo? Scriviamolo in fattura

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Il consumatore è sempre più consapevole del livello di sostenibilità dei propri consumi: ad esempio molti sono in grado di indicare quanta acqua serve per produrre un chilo di carne o una mela. Chi è molto motivato sa probabilmente addirittura indicare quante emissioni produce la spedizione di una messaggio e-mail. Chi utilizza un’automobile sta imparando a leggere la produzione di CO2 per chilometro; alcuni scelgono una vettura nuova dando grande importanza a questo fattore.

Ma chi si rende conto che solo per far arrivare ogni giorno in una città come Roma il cibo necessario al consumo servono circa 320 camion articolati? Quanta CO2 viene prodotta ogni giorno per questo flusso, destinato ad una sola città?

È indispensabile conoscere la quantità di CO2 prodotta dal trasporto e, ovviamente, fissare i criteri per questa misurazione. La consapevolezza ambientale ha portato a regole e standard anche in questo campo creando sempre più consenso verso la rilevazione delle emissioni. Bisogna imparare a calcolarle, tenendo in conto molti fattori: i chilometri percorsi ovviamente, ma anche il tipo di mezzo, la capacità, il tipo di carburante, il ritorno a vuoto o a pieno carico, ecc.

Come si fa a passare da una vaga consapevolezza alla conoscenza scientifica? È sufficiente un sistema volontario?

Il Freight Leaders Council ha pubblicato nel 2016 il Quaderno #25 sulla sostenibilità nei trasporti e nella logistica ed ha indicato alcune azioni per indirizzare ed accelerare il cammino verso una maggiore sostenibilità. Uno dei punti raccomandati è l’obbligo di indicare in fattura la CO2 prodotta in relazione al servizio fornito. Con questa informazione, si aggiungerebbe vicino al “costo”, l’informazione sui “gas serra prodotti”, facendo un passo fondamentale verso una maggiore e diffusa consapevolezza di quanto un trasporto impatti sull’ambiente.

La necessità di indicare un numero esatto renderebbe di uso comune strumenti come Ecologistico2 che permettono, dopo un semplice set up, un calcolo molto accurato della CO2 prodotta con il trasporto e la logistica collegata, indipendentemente dalla modalità utilizzata.

Si otterrebbe un risultato di grande importanza anche per la contrattazione, portandola su parametri più qualitativi. La conoscenza della CO2 prodotta, la possibilità reale di ridurla, aggiungerebbe una nuova dimensione di concorrenza tra chi esegue il trasporto. Le aziende più moderne e meglio gestite hanno già iniziato ad investire sui mezzi (aggiornando il proprio parco mezzi alla categoria Euro 6), sui carburanti (passando magari al GNL), sull’aerodinamica (lavorando accuratamente sui dispositivi già utilizzabili per migliorarla), sugli stili di guida, sui navigatori cosiddetti predittivi (che sono in grado di prevedere le condizioni del traffico), sugli pneumatici, hanno iniziato a gestire i certificati bianchi (o più propriamente Titoli di Efficienza Energetica (TEE), sono titoli che certificano i risparmi energetici)  partecipando a progetti anche complessi per la riduzione di emissioni. L’attenzione al green sta rimodulando le tariffe: sempre più committenti sono disposti a pagare di più il servizio di trasporto se quest’ultimo ha un impronta ambientale ridotta.

Dunque l’obbligatorietà di evidenziare in fattura la quantità di emissioni prodotte farebbe rapidamente decollare questo trend di miglioramento e, come si vede, chi è più veloce, monetizza prima i vantaggi: volgere al green vuol dire anche utilizzare meno carburante e quindi risparmiare. La Francia già lo ha fatto e i benefici non sono mancati: perché non farlo anche in Italia?