consumi

Perché e come cambia l’idea di impresa responsabile

Che cosa significa essere impresa responsabile all’alba del 2017 in uno scenario di cambiamento continuo? Come si declina questa responsabilità per chi, Industria e Distribuzione, trae dal costante rapporto di fiducia con i consumatori e i clienti la propria ragione economica? Come sta cambiando il sentiment delle imprese a questo riguardo?

Il convegno organizzato da Gdoweek e Markup alla prima edizione di Cibus Connect ha cercato di dare alcune risposte e, soprattutto, ha fornito alcune indicazioni sulle riflessioni che il mondo del largo consumo sta facendo, nel ripensare a un modo di essere sul mercato consapevole del fatto che consumatori e clienti dettano le regole più che in passato e sono meno propensi ad affidarsi, nella maggior parte dei casi, alle marche e alle insegne in maniera acritica. Ma il cammino verso un rapporto più simmetrico tra offerta e domanda è ancora lungo.

Lamberto Biscarini, senior partner e managing director Boston Consulting Group, disegna un contesto nel quale la filiera alimentare è chiamata a progettare il proprio futuro. Trascorsi gli anni Ottanta e Novanta a qualificarsi come nicchia di alta qualità ed eccellenza da un lato e a proporsi come principale produttore low cost d’Europa (olio, vino, produzione industriale) e i primi quindici anni del nuovo secolo a spingere verso l’internazionalizzazione delle imprese italiane oltre a focalizzarsi su qualità ed eccellenza del food made in Italy, la filiera alimentare italiana ha di fronte una nuova sfida: quella di posizionare le aziende all’avanguardia del consumo sostenibile e responsabile. Inteso, quest’ultimo, con riferimento al controllo dell’ambiente, ai cibi biologici e naturali, al sostegno alle produzioni locali e dei territori, ai prodotti equo-solidali. 

«È un trend di consumo che ormai è qualcosa di più di una moda passeggera - afferma Biscarini – e già oggi il 75% degli americani intervistati al riguardo dichiara di acquistare già prodotti responsabili. Nel mondo sono il 66% con una crescita del 15% in tre anni, in Europa il 51%  e in Italia il 52%, in aumento rispettivamente del 14% e dell’8%».

Figura 1 – Consumatori propensi ad acquistare prodotti responsabili (%)

Fig 1 RESPONSABILITA_rid.jpeg

Fonte: Elaborazione Boston Consulting Group da Nielsen “Global Sustainability Report” 2015

Una sfida per la filiera alimentare italiana

Va però segnalato che di questa tendenza si avvantaggiano soprattutto i piccoli-medi produttori specializzati e le marche del distributore. Molto meno l’opportunità è colta dalle marche maggiori. «Anzi – precisa Biscarini – l’inerzia può portare a una significativa perdita di preferenze da parte dei consumatori: in presenza di un’offerta da parte delle aziende specializzate e delle marche dei distributori di prodotti responsabili, le marche perdono circa il 18% nelle preferenze dei consumatori rispetto a quando non c’erano questi prodotti».

Quali indicazioni allora dal consulente per arrivare a far si che la filiera alimentare italiana vinca la nuova sfida lanciata dal consumo responsabile, che già oggi, nei paesi sviluppati, si orienta verso l’attenzione alla produzione sostenibile, a una politica di prezzi trasparente, alla riduzione dei rifiuti e a un maggiore consumo dei cibi dei territori?

La risposta deve coinvolgere tutti gli attori della filiera. L’agricoltura puntando sulla diversificazione e sulla qualità delle materie prime, non solo sul miglioramento della resa agricola; la trasformazione promuovendo il consumo responsabile (filiera sostenibile, valori nutrizionali, riduzione delle esternalità negative) e aiutando i fornitori a monte (produzione agricola, trader e trasformazione primaria) a reinvestire in sostenibilità; la distribuzione ascoltando il consumatore, differenziando i propri formati e promuovendo la filiera sostenibile, con la massimizzazione degli acquisti locali.

In questo contesto diventa centrale il ruolo giocato dall’informazione sui prodotti, su ciò che fanno le aziende per dare valore a ciò che fanno per supportare questa domanda. E l’impegno per Industria e Retailer è massimo. «Mangiare meno e mangiare meglio è un imperativo necessario – commenta Mario Gasbarrino, presidente e amministratore delegato di Unes – perché è diffusa la consapevolezza che il cibo è salute, perché i modelli di riferimento delle grandi tavolate di una volta non valgono più, perché, soprattutto, il paradigma del consumatore è cambiato: fammi risparmiare ma non farmi sentire povero, dice ai distributori. La sfida per i retailer è quella di riuscire a rendere accessibile la qualità del cibo al maggior numero di persone. Questa considerazione dovrebbe far capire al mondo della distribuzione che bisogna smettere di inseguirsi facendo promozioni sempre sugli stessi prodotti, quando il cliente vuole un’offerta superiore».

Dal prezzo alla trasparenza

Intercettare ciò che il consumatore vuole è dunque il mantra. Assumendosene la responsabilità. Afferma Lucio Fochesato, direttore generale Despar Italia: «Ci stiamo impegnando a riformulare i prodotti, sia in riferimento alla direttiva del ministero della Salute per la riduzione di zuccheri, grassi e sale, ma anche aiutando il consumatore a capire i casi in cui ci sono dei livelli di attenzione immotivati. Il distributore oggi deve offrire un servizio di qualità ai clienti secondo un concetto di fiducia». «Si tratta di fare informazione consapevole perché il cliente possa fare una scelta consapevole – aggiunge Gasbarrino – vale a dire comunicare affinché il cliente possa scegliere».

Anche per l’industria di marca il terreno della comunicazione deve essere nuovamente fertilizzato, se si vuole recuperare quella parte di consumi responsabili intercettati dalle piccole e medie aziende specializzate. Lo storytelling pubblicitario ha già fato il suo tempo: «La fiducia non si conquista con lo storytelling - mette in guardia Francesco Pugliese, amministratore delegato e direttore generale di Conad – perché fino a ieri la fiducia era un fatto tecnico. Oggi saper fare bene le cose è un prerequisito. Per questo è importante per le aziende prendere posizione per essere riconosciute dalla parte dei consumatori. Ma questo richiede maggiore disciplina e maggiore attenzione, sapendo di essere parte di una comunità». Così la narrazione del prodotto va di pari passo con una presa di posizione riconoscibile. Che ogni impresa declina individualmente.

Per Giampiero Calzolari, presidente del Gruppo Granarolo si tratta di ri-raccontare il latte: in un mercato con consumi in flessione e in presenza di una iper segmentazione l’accento è posto sul legame con gli allevatori perché, afferma, «il latte buono si fa nella stalla» e contemporaneamente con i consumatori «non più prede ma collaboratori».

Armando De Nigris, presidente dell’omonimo acetificio si concentra sul rapporto con il trade per favorire la trasparenza di comunicazione nella categoria. Dice De Nigris: «La trasparenza in etichetta è fondamentale perché è la prima comunicazione con il consumatore. Attraverso l’etichetta comunichiamo al cliente le diversità qualitative e di utilizzo degli aceti e contemporaneamente diamo un’indicazione ai retailer per l’organizzazione dello scaffale».

Persino un prodotto come Nutella, vero e proprio superbrand, ha sentito la necessità di una comunicazione più pragmatica con la recente campagna televisiva. Ma Alessandro dEste concorda sul fatto che la responsabilità dell’impresa - che acquista il 70% della materia prima da piccole imprese contadine, che non fa comunicazione nelle fasce orarie rivolte ai bambini, che si è posta un limite di 100 calorie per unità di consumo – non è adeguatamente comunicata. E infatti pochi lo sanno.

In questa convinzione collettiva che la responsabilità è (anche) chiarezza nei confronti dei clienti e consumatori occorre ripensare ai ruoli reciproci, individuando i valori condivisi e abbandonando le guerre di campanile (d’Este) e fare delle scelte. «Dobbiamo adeguare i supermercati passando dall’offerta alla proposta, dobbiamo tornare a fare i commercianti con la diversificazione e la specializzazione», esorta Fochesato. E Pugliese aggiunge: «Dobbiamo dire basta alle generalizzazioni, non dare più copertura a chi non sa fare bene il proprio mestiere e tornare a ragionare in termini di sistema».

A cura di Fabrizio Gomarasca