Out of Stock – La visione del consumatore
Solo 4 giri spesa su 7 sono portati a termine con successo, gli altri consumatori si scontrano con l’indisponibilità dei prodotti a scaffale
Nel contesto del Largo Consumo degli ultimi anni, caratterizzato da dinamiche recessive e forte pressione competitiva, le leve per il miglioramento dei risultati lavorano sulla crescita del fatturato, la riduzione dei costi e l’ottimizzazione delle risorse e asset esistenti. È nel primo caso che si colloca la progressiva eliminazione dei fenomeni di Out-of-Stock. È in quest’ambito che si sviluppa l’iniziativa di ECR Italia in collaborazione con IRI finalizzata in primo luogo all’identificazione del fenomeno da parte dello shopper e alla sua quantificazione in termini di fastidio percepito e degli effetti sui comportamenti di acquisto nel breve e nel medio periodo, seguito poi dalla realizzazione di uno strumento[1] per la definizione di metriche condivise per misurare continuativamente e secondo parametri oggettivi il fenomeno all’interno dei canali della distribuzione moderna italiana.
È stato stimato che solo il 4% delle esperienze di acquisto[2], quelle che gli anglosassoni chiamano shopping trip, è portato a termine con totale successo e con la realizzazione delle aspettative espresse prima dell’ingresso nel punto vendita. Accade infatti che i consumatori siano costretti a rinunciare ad alcuni prodotti presenti nella lista della spesa semplicemente perché non disponibili sullo scaffale in quell’occasione che i classici del marketing definiscono moment of truth. E cambiano di conseguenza i loro comportamenti, attivando strategie alternative e scelte più o meno prevedibili, ma spesso molto dolorose per le marche con un rischio di perdita della vendita nel 73% dei casi.
Nel contesto italiano il consumatore conosce bene il problema dell’Out-of-Stock e negli studi IRI Shopper condotti tra il 2011 e il 2014 emergono molto chiaramente le quattro strategie adottate dal responsabile d’acquisto di fronte allo scaffale in mancanza del prodotto:
- Cancellazione dell’acquisto.
- Acquisto in altro punto vendita.
- Sostituzione nella categoria.
- Sostituzione fuori dalla categoria.
Analizzando i dati di circa 5500 shopping trip effettuate nel corso di un mese da parte di 780 acquirenti[3], è emerso che nel 41% dei giri spesa almeno 1 prodotto è stato trovato in condizione di Out-of-Stock. Semplificando: in 3 shopping trip su 7 effettuate in media in un mese il consumatore si è trovato di fronte ad uno scaffale dove un prodotto che cercava era fuori stock.
Se consideriamo i reparti nei quali il consumatore dichiara di trovare più spesso prodotti fuori stock, è nel peso variabile (gastronomia/carne/pesce/ortofrutta), nei freschi e nelle bevande analcoliche che si concentra la percentuale maggiore di Out-of-Stock – rispettivamente 14,7%, 11,5% e 10,8% del totale casi dichiarati.
Includendo nell’analisi il livello di fastidio che lo shopper ha provato di fronte all’OOS tuttavia, diventano hair care, personal care e surgelati i settori più critici.
Di fatto, la prima reazione dello shopper di fronte alla mancanza del prodotto desiderato sullo scaffale è un effettivo senso di fastidio: oltre 1 Acquirente su 2 dichiara di essere infastidito dall’OOS e ben il 25% registra un impatto decisamente sgradevole (molto + estremamente infastidito). Non tutti i comparti suscitano lo stesso livello di reazione negativa: è dove il coinvolgimento è maggiore e la selezione del prodotto più legata a bisogni funzionali specifici che il numero di chi dimostra fastidio è più elevato: ben il 38% per gli alimentari bambini e il 36% per il cibo per animali. Al contrario, dove l’offerta si è ampliata e normalizzata e la possibilità di esercitare scelte alternative è più elevata, la % di shopper infastiditi si riduce: salviettine per bambini, piatti pronti UHT, cereali e bagno doccia sono esempi delle categorie in cui il consumatore non è così negativamente influenzato.
Di fronte ad uno scaffale dove manca il prodotto inserito nella propria lista della spesa più di 6 shopper su 10 realizzano comunque un acquisto per sostituire il/i prodotto/i non trovati nel proprio giro di spesa, limitando quindi la probabilità di vendite perse a circa il 35% degli acquirenti.
Se per la distribuzione il «rischio» legato all’OOS è limitabile al 35%, diverso è il peso per l’Industria per la quale, aggiungendo il brand switching nella categoria (23%), la sostituzione con altra categoria (25%) e l’acquisto cancellato (25%) il potenziale di rischio cresce virtualmente al 73% degli shopper.
Per categorie in cui sono molto elevati sia la fiducia nel prodotto sia il legame di marca, l’incidenza di chi cambia punto vendita o cancella l’acquisto sale oltre il 40% (52% per gli alimentari per bambini e 43% per il petfood). Al contrario altamente sostituibili nella categoria risultano prodotti come salumi in busta (22%) e Latte (27%).
Una prima considerazione è quindi che il tasso di Out-of-Stock percepito e la conseguente reazione del consumatore sono funzione di variabili di categoria quali il livello di predeterminazione, la fedeltà alla marca, la profondità assortimentale e il comparto di riferimento (alimentare vs non alimentare).
Ma ciò non è sufficiente a spiegare il comportamento dello shopper di fronte ad un vuoto sullo scaffale; vi sono infatti almeno due importanti fattori aggravanti che aumentano il fastidio e incentivano, di conseguenza, azioni di distacco e allontanamento dalla marca e dal punto vendita: la condizione promozionale del prodotto e la sua presenza sul volantino.
Infatti solo l’1% del panel in osservazione dichiara di non ricevere, prendere e di non essere interessata ai volantini, mentre della quasi totalità dei consumatori ben l’83% dichiara di utilizzarlo per preparare la lista della spesa e il 53% di essere da essi guidato verso il punto vendita.
È pertanto intuitivo comprendere perché la % di shopper che dichiara un alto livello di fastidio in relazione al prodotto non trovato, cresce se quel prodotto era soggetto ad una condizione promozionale (59% vs 51%) ed è ancora più elevato se il prodotto era in volantino: 66%.
E poiché non solo l’esperienza dell’Out-of-Stock avviene nel punto vendita, ma sia la promozione che il volantino sono strumenti della distribuzione, nella prospettiva shopper la mancanza di prodotto a scaffale è di primaria «responsabilità» della distribuzione. Le cause sono identificate con esaurimento della scorta (23%) e non adeguata velocità nel caricamento degli scaffali (22%) e solo in parte minore con la marca che “non ha consegnato il prodotto” (11%).
Se nell’immediato, come visto in apertura, è la marca che rischia maggiori vendite perse, nel lungo periodo l’impatto atteso grava principalmente sul distributore e si può tradurre in erosione della fedeltà al punto vendita e ricerca di alternative di spesa.
A partire dai risultati dell’analisi sul comportamento dello shopper di fronte allo scaffale vuoto, ECR organizza una serie di workshop rivolti alle aziende aderenti: un momento di discussione e confronto per comprendere l’impatto sul comportamento di acquisto, sulla fedeltà alla marca, al punto vendita e all’insegna e per identificare insieme le priorità e le aree di intervento comuni tra industria e distribuzione.
Accanto all’analisi qualitativa realizzata sullo shopper, Ecr ha sviluppato in collaborazione con IRI il “Barometro ECR”, uno strumento che consente un monitoraggio continuativo del fenomeno nelle distribuzione moderna.
Per maggiori informazioni: ecr@gs1it.org
[1] Barometro ECR –IRI, Gennaio 2015
[2] ECR Europe/GS1 Forum Budapest (2011)
[3] IRI Shopper Insight Out of Stock per ECR Italia, Settembre 2014